"La ristrutturazione del modo di produzione capitalistico, attraverso una lunga fase di crisi, ha avuto come risultato essenziale, dopo i primi anni Ottanta, la scomparsa di ogni identità operaia, prodotta, riprodotta e confermata all’interno di esso. Il proletariato non può più produrre un movimento operaio organizzato della stessa natura di quello degli anni Sessanta-Settanta, quando la rivoluzione poteva ancora darsi come affermazione del proletariato all’interno del modo di produzione capitalistico. L’antagonismo tra proletariato e capitale si dà in una forma nuova, con nuovi obiettivi: il democratismo radicale.
"Il sindacalismo e il riformismo esprimevano ed esprimono l’esistenza della classe nei rapporti sociali capitalistici, il democratismo radicale anche. Quest’ultimo, sul piano organizzativo, non può che essere molto più ridotto e frammentato del vecchio movimento operaio, composto com’è da una miriade di formazioni e di correnti, le quali, nessuna esclusa, propugnano la costruzione di un’alternativa all’interno del modo di produzione capitalistico.
"Contrariamente al programma di crescita del potere e dell’affermazione del proletariato che fu dominante fino alla fine degli anni Sessanta, il democratismo radicale non pone come sua mediazione necessaria lo sviluppo del capitale; è esso stesso la mediazione, il fine e il movimento verso questo fine.
"Il democratismo radicale oppone al "primato dell’economia", al "capitalismo selvaggio", alla globalizzazione liberista e allo strapotere della finanza un nuovo "primato della politica": finita l’epoca in cui lo Stato sociale temperava benignamente il capitalismo, e volendo costruire un’alternativa al "neoliberismo" e alla "mondializzazione", il democratismo radicale vagheggia di un capitalismo "reale" – meno "finanziario", meno "speculativo" – fatto di veri lavoratori e veri investitori, questi ultimi tanto coscienti della loro responsabilità sociale da non potersi più definire "capitalisti". Sogna imprenditori-cittadini alla testa di aziende-cittadine, in cui l’apporto dei lavoratori-cittadini venga adeguatamente riconosciuto, sotto la benevola e protettiva tutela di uno Stato democratico partecipativo, che regoli l’equa distribuzione del plusvalore-cittadino.
"Il democratismo radicale frequenta i corridoi della politica e i cortili dei centri sociali. Offre i suoi saperi alle grandi organizzazioni internazionali e anima i meeting no global. Una cosa sola lo offende: che il proletariato, negandosi, abolisca lo Stato, la democrazia e il capitalismo (produttivo), giacché il democratismo radicale ama il lavoratore in quanto lavoratore e il plusvalore in quanto pluslavoro. Ama la lotta di classe al punto da non volerne mai la fine, in quanto la sua ragione d’essere è il movimento perpetuo dell’alternativa e della critica sociale.
"Il democratismo radicale ha i suoi eroi: il subcomandante Marcos, José Bové e adesso Chavez; ha il suo guru teorico in Pierre Bourdieu; ha i suoi luoghi sacri: Seattle, Porto Alegre e la foresta Lacandona. Non è una specialità nazionale bensì un movimento mondiale. Sarebbe soltanto patetico e ridicolo, se non fosse un elemento efficiente, inevitabile, ancorato nel nuovo ciclo di lotte del proletariato contro il capitale, come formalizzazione di tutti i limiti di tale ciclo, e se non anticipasse la controrivoluzione prossima, che ne costituirà il compimento e la realizzazione." (Roland Simon, Le démocratisme radical, Éditions Senonevero, Paris, 2002)
[Tratto da http://guerrasociale.altervista.org/senonevero.htm; questo invece il link al sito della rivista Théorie communiste: http://theoriecommuniste.communisation.net/]
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