Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

* * *

«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

* * *

«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

30 giugno 2010

Rapporto da Mosca

di Otto Rühle (1920)*


[Tratto da Denis Authier - Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981; pubblicato originariamente in “Der Kommunist”, n.37, settembre 1920](1)

I

Viaggiai illegalmente verso la Russia. La vicenda fu difficile e piena di pericoli, tuttavia ebbe buon esito. Il 16 giugno mettevo piede sul suolo russo, il 19 ero a Mosca.
La partenza dalla Germania era stata precipitosa. Su invito di Mosca, il KAPD(2) aveva inviato, in aprile, due compagni quali negoziatori all’Esecutivo, con lo scopo di discutere l’adesione del KAPD alla III Internazionale. Si seppe, ad un certo momento, che i due compagni erano stati arrestati in Estonia, durante il viaggio di ritorno. Si trattava quindi di riprendere immediatamente le trattative e di portarle a termine e, eventualmente, di fare un rapporto al KAPD ancora prima del congresso, in modo da poter avere da esso informazioni per il congresso stesso. Il tutto nella massima fretta, dato che il congresso doveva iniziare già il 15 giugno.
Una volta arrivato in Russia, constatai che la notizia dell’arresto dei due compagni era falsa. Essi erano in viaggio di ritorno partendo da Murmans, quindi attraverso la Norvegia verso la Germania. Appresi, inoltre, che il congresso sarebbe iniziato non il 15 giugno, bensì il 15 luglio.
Meno rallegranti furono le altre constatazioni (...); essi non erano (...) stati all’altezza della diplomazia e dello strapotere politico dell’Esecutivo di Mosca. Inoltre, in importanti questioni di partito, essi avevano ceduto alle pressioni esercitate su di essi ed avevano fatto concessioni che – mi fu chiaro sin dal primo momento – mi era impossibile coprire. Su singoli punti essi avevano abbandonato completamente l’ottica il cui mantenimento il KAPD aveva considerato particolarmente importante. In più – e questo è decisamente ancora più enorme! – essi si erano impegnati per iscritto ad intervenire a favore dell’espulsione dei compagni Laufenberg, Wolffheim(3) e Rühle dal KAPD. Ed a questo proposito essi non hanno voluto assolutamente sentire il mio parere poiché, in quanto autore dell’opuscolo Dresdner Revolution, ero stato accusato da Mosca di aver messo in atto degli intrighi pericolosi per il partito. Quindi: condanna a morte dell’imputato senza nemmeno averlo interrogato prima! Ed era pur sempre una concessione!
Il mio primo colloquio con Radek(4) fu, obiettivamente, uno scontro. Durato ore e ore. A volte molto acceso. Ogni frase di Radek era una frase della Rote Fahne(5). Ogni sua argomentazione, un’argomentazione spartachista. Radek è praticamente il signore e padrone del KPD(6). Il dottor Levi(7) e consorte sono i suoi docili pappagalli. Essi non hanno alcuna opinione propria e vengono pagati da Mosca.
Io cercai di farmi consegnare da Radek la Lettera Aperta indirizzata al KAPD. Egli me lo promise senza peraltro mantenere la parola. Glielo ricordai ripetutamente e glielo feci ricordare, senza ottenerla. Quando, in seguito, appresi che anche i due compagni, che avevano condotto i negoziati, erano venuti a conoscenza della Lettera Aperta solo all’ultimissimo momento precedente la loro partenza, allora mi fu chiaro, sul piano psicologico, tutto il comportamento di Radek; lui, il più scaltro ed il più privo di scrupoli degli individui provava, dinanzi alle perfide menzogne ed agli spudorati insulti dei quali proprio la Lettera Aperta abbonda, una sorta di vergogna, al punto che gli appariva come un reale spauracchio doversi trovare faccia a faccia e rendere conto di tutto ciò alle persone insultate e calunniate.
I metodi che ho avuto modo di vedere applicati a Mosca provocarono la mia più violenta ripugnanza. Ovunque osservai: cambiamenti di scena politici, basati sul bluff, in modo da poter mascherare, [al di là di] un’appariscente scena rivoluzionaria, la realtà opportunistica che vi sta dietro. Mi sarebbe piaciuto estremamente abbandonare tutto ciò e partire. Decisi tuttavia di rimanere finché non fosse arrivato il secondo delegato, il compagno Merges di Braunschweig.
Approfittai di questo periodo per fare degli studi.
In primo luogo girai Mosca guardandomi bene attorno, per lo più senza un accompagnamento ufficiale, in modo da poter vedere anche quello che, dall'alto, non era destinato ad essere visitato. Intrapresi quindi un lungo viaggio automobilistico verso Kashira ed un altro viaggio verso Niznj-Novgorod, Kazan, Simbirsk, Samara, Saratow, Tambow, Tula etc., conoscendo cosi le principali località della Russia centrale. Una massa di impressioni, più deprimenti che rallegranti. La Russia soffre di tutti i mali in tutte le sue parti. E come potrebbe, del resto, essere altrimenti? Molto si potrebbe raccontare, ma l’esempio di Crispien e Dittmann(8) non mi incita ad imitarli. A chi è servito, infatti? Solo ai nemici del comunismo. Ma tutte queste deficienze e questi inconvenienti non sono una prova contro il comunismo. Al massimo possono parlare contro i metodi e la tattica della Russia attuati nel tentativo di realizzare il comunismo. Ma a questo proposito è necessario polemizzare, ed in modo completamente diverso, con i compagni russi.

II

(...) Il principio per essi basilare del centralismo è stato dai bolscevichi così conseguentemente sviluppato e, alla fine, spinto all'estrema conseguenza che ha portato all'ipercentralismo. E questo i bolscevichi non l’hanno certo fatto per sfizio o per il gusto di esperimenti. È la rivoluzione che li ha costretti a ciò. E se oggi i difensori tedeschi della forma organizzativa di partito si indignano e tentano di esorcizzare gli aspetti dittatoriali e terroristici degli avvenimenti russi, non manca certo loro il materiale di cui discutere. Se essi si trovassero al posto del governo russo, dovrebbero agire allo stesso identico modo. Ed una volta il potere nelle loro mani, essi sarebbero altrettanto privi di scrupoli e brutali che i loro compagni russi, tuttavia senza il loro animo e senza la loro energia. Ciò che in Russia appare come una caricatura è la conseguenza di un sistema sbagliato perché storicamente superato. Il centralismo è il principio organizzativo dell’era capitalistico-borghese. Sulla sua base è possibile costruire lo stato borghese e l'economia capitalistica. Non però lo stato proletario e l'economia socialista. Per essi è necessario il sistema consigliare. In Russia i consigli sono ormai solo delle ombre. Una foglia di fico per la burocrazia della dittatura di partito. Ed appoggiandosi alla burocrazia, la Russia perviene solo ad una caricatura politica ed economica del comunismo. Ad un comunismo di stato rozzo, sterile ed insopportabile, e ad una rozza, sterile ed insopportabile schiavitù di stato.
Come arrivano i compagni russi all'errore? Essi sono prigionieri della fede nella forma partito. Essi vedono nel partito lo strumento della rivoluzione e dell’edificazione socialista. Ma il partito – quale forma organizzativa – è l'incarnazione del principio centralistico. Questa è la causa originaria dell'errore. Questa è la causa prima e più profonda dello stravolgimento della tattica. E qui bisogna colpire se si vuole combattere l'ipercentralismo ed in tal modo il centralismo tout court.
Per il KAPD – in totale contrasto con Mosca – la rivoluzione non è affare di partito(9), il partito non è un'organizzazione autoritaria strutturata dall’alto verso il basso, il capo non è un superiore in una gerarchia militare, la massa non è una truppa condannata ad una disciplina totale e passiva, la dittatura non è il dispotismo di una cricca di capi, il comunismo non è il trampolino per l'ascesa di una nuova borghesia sovietica.
Per il KAPD, la rivoluzione è il problema di tutta la classe proletaria, all’interno della quale il partito comunista costituisce solamente l'avanguardia più matura e decisa. Il KAPD non si attende l'emancipazione della massa e la sua elevazione alla maturità politica di questa avanguardia attraverso la tutela dei capi, la disciplina e la regolamentazione. Al contrario: in un proletariato avanzato come quello tedesco, questi metodi sortiscono il risultato diametralmente opposto. Essi soffocano l’iniziativa, paralizzano l'attività rivoluzionaria, menomano la forza combattiva ed affievoliscono il senso di responsabilità. Qui si tratta di lasciare libero corso all’iniziativa delle masse, di emanciparle dall'autorità, di sviluppare la loro coscienza di sé, di formare la loro autonomia d’azione e di accrescere in tal modo la loro partecipazione alla rivoluzione. Ogni combattente deve sentire e sapere per che cosa egli combatte, perché combatte e in nome di chi. Ciascuno, nella propria coscienza della lotta, deve divenire un attivo fautore della lotta rivoluzionaria ed un elemento creativo dell'edificazione comunista. Ma la libertà a ciò necessaria non verrà mai acquisita all’interno del sistema coercitivo del centralismo, nelle strette del dominio burocratico-militare, sotto la pressione di una dittatura di capi e fra gli intralci degli ineluttabili fenomeni concomitanti: arbitrio, culto della personalità, autoritarismo, corruzione, violenza. Perciò: trasformazione del concetto di partito nel concetto di una comunità federativa nel senso del pensiero consigliare. Perciò: sostituzione del legame e della costrizione esterna con l’adesione e la disponibilità intime. […]
Il KAPD è pervenuto a questo modo di vedere attraverso la semplice costatazione di una circostanza estremamente ovvia. Ogni paese ed ogni popolo, possedendo una loro specifica economia, una struttura sociale, tradizione e maturità del proletariato, vale a dire specifiche premesse e condizioni rivoluzionarie, devono anche possedere delle proprie rivoluzionarie leggi, metodi, scadenze, e forme fenomeniche. La Russia non è la Germania, la politica russa non è la politica tedesca e la rivoluzione russa non è la rivoluzione tedesca. Perciò nemmeno la tattica della rivoluzione russa può essere la tattica della rivoluzione tedesca. Lenin può dimostrare cento volte che la tattica dei bolscevichi si è brillantemente affermata nella rivoluzione russa – ciò non servirà, né ora né per molto tempo ancora, a creare la giusta tattica della rivoluzione russa. Ogni tentativo di imporci questa tattica deve trovare da parte nostra la più decisa reazione di difesa.
Mosca attua questo tentativo terroristico. Essa vuole erigere il suo principio a principio della rivoluzione mondiale. Il KPD è il suo agente. Esso lavora secondo ordini russi e secondo uno schema russo. Esso è il ripetitore di Mosca. E poiché il KAPD non vuole contribuire a svolgere questo ruolo da eunuchi, ma possiede anzi una propria idea precisa, allora diviene oggetto di un odio mortale. È sufficiente leggere le oltraggiose ingiurie, le velenose menzogne ed i sospetti con i quali veniamo combattuti – senza il minimo riguardo per la situazione rivoluzionaria nella quale ci troviamo e per gli effetti che questa infame pratica può provocare presso i nostri avversari borghesi. Il dottor Levi ed Heekert sono costretti a lanciarci contro tutte le argomentazioni che Radek e Zinoviev fanno scivolare loro nelle mani. È per questo che sono pagati i due spregevoli individui. Ma poiché il KAPD, nonostante tutto, non si lascia abbattere, è quindi necessario che esso venga costretto dal Congresso della III Internazionale a piegarsi alle imposizioni di Mosca. Tutto era stato eccellentemente preparato. La ghigliottina era stata eretta. Con aria soddisfatta, Radek verificò il taglio della lama. E già l’alta corte aveva preso posto. Doveva essere veramente una grande scena. Per lo meno così se l’era immaginata l’esecutivo. Troppo bella per arrivare a realizzazione.
Crispien e Dittmann riferiscono della miseria degli operai tedeschi emigrati, delle disastrose condizioni delle fabbriche russe, dell’avversione e dell’incapacità del popolo russo verso il lavoro, dell'incapacità dell’amministrazione russa di arrivare a controllare, per mezzo di iniziative e disposizioni, la crescente trascuratezza dell’organismo economico. Essi riferiscono inoltre dell’antisocialista politica contadina, del sistema della coercizione di stato, dell'insopportabile e malefica burocratizzazione e militarizzazione dell’amministrazione, dell’economia, del partito etc. Essi dipingono a fosche tinte un quadro estremamente tetro.
Si rimarrà sorpresi e meravigliati se, in opposizione a tutto questo, si leggerà il libro di Alfons Goldschmidt, Moskau 1920. Qui i medesimi fatti appaiono completamente diversi. Ed in altre relazioni essi assumono tinte ed aspetto ancora diversi. A1 momento, una folla di persone viene sospinta da tutti i paesi verso la Russia allo scopo di studiare la situazione russa e di scriverci sopra.
Politici e letterati, comunisti e socialdemocratici, rivoluzionari e pacifisti, teorici e pratici, cooperativisti e sindacalisti, ciechi e non ciechi, pochi intenzionati seriamente a dare una mano e molti, molti parassiti. Ognuno di essi porta con sé diverse premesse e misure, diverse illusioni, diverse disposizioni di spirito e di mente, diverse intenzioni e diversi obiettivi. In tal modo, ogni relazione finisce per essere radicalmente diversa. Il libro di Goldschmidt, ad esempio, si intrattiene in modo del tutto inaudito non solamente con la lingua tedesca, bensì anche con la verità. Esso brulica di inesattezze e la tendenza ad incensare e ad adulare è, nella sua assoluta inopportunità, totalmente disgustosa. Al contrario, i fatti riferiti da Crispien e Dittmann sono nel complesso degni di fede. Certo, su questi stessi fatti si potrebbero fare molte altre affermazioni e molto peggiori.
Ma – e questo mi sembra essere il primo interrogativo e la prima obiezione — è proprio importante giudicare la situazione russa e quindi questi fatti? Che il popolo russo è afflitto da una terribile amnistia, lo sappiamo; e come potrebbe, del resto, essere altrimenti dopo tanti paurosi anni di guerra, di blocco, di rivoluzione e controrivoluzione? Che esso patisca enormemente per il freddo e per la carenza di abiti, calzature, sapone, articoli industriali etc., lo sappiamo. E ci è anche noto che il popolo russo è pigro per natura e che solo con l’uso di argomenti draconiani è possibile costringerlo al lavoro. Non solo, ma siamo anche al corrente del fatto che il governo russo, nel tentativo di evitare il quasi irrimediabile crollo economico e politico, è costretto a por mano a tali strumenti draconiani quali l’obbligo del lavoro, la violenza, la militarizzazione. È quindi facile comprendere come [gli] operai tedeschi, i quali abbagliati e resi ciechi di fronte alla realtà, speravano di trovare in Russia un vero paradiso, dinanzi alla tetra realtà della generale miseria sparsa per la Russia si sentono ora mortalmente infelici e vogliono ritornare a casa. Ma che cosa devono poi dimostrare tutti questi fatti? Che cosa vogliono dimostrare con essi Crispien e Dittmann?
Per l’opinione pubblica borghese queste relazioni devono servire a dimostrare che il comunismo è follia, è pazzia, o per lo meno un sistema economico completamente sbagliato, che esso non porta al lavoratore la promessa liberazione ed emancipazione dal bisogno, e che quindi l'umanità si deve ben guardare da esso. Il borghese vede in questi rapporti la conferma della sua politica antisocialista, delle sue tendenze controrivoluzionarie. Se è vero ciò che gli stessi Crispien e Dittmann oggi sono costretti ad ammettere, e precisamente che il popolo russo è stato cacciato in una sciagura indicibile, questa è una conseguenza necessaria dell’autoconservazione, della legittima difesa, del tentativo di salvarsi dalla fine – si dice la canaglia borghese –, ed ora la rivoluzione viene sconfitta, il movimento comunista viene soffocato, gli agitatori comunisti vengono abbattuti con una fucilata o mandati in carcere. E i compagni dell’USPD(10) vorrebbero appoggiare, con le loro relazioni, una simile argomentazione? Vorrebbero essere i soci dei Kautsky, Hilferding e consorti, manutengoli della controrivoluzione? Vorrebbero, con la loro tattica, dare una continuazione a quella fino ad ora praticata, pugnalando alle spalle l’azione del fronte proletario con trattative, compromessi e dilazioni?
Gli uomini dell’USPD ci assicurano di non voler questo. Essi non possono comunque contraddire il fatto che il loro comportamento ha questo effetto, che essi sono di fatto servitori della controrivoluzione. Come tutta la loro politica, anche il resoconto dalla Russia sfocia in un effetto controrivoluzionario. In tal modo le loro relazioni diventano delle azioni criminose, delle azioni da guardia bianca, infami complotti contro la rivoluzione ed il comunismo.
Secondo il loro pensiero – e questa è la seconda questione – a che cosa mirano i resoconti dell’USPD con le relazioni dalla Russia? Qual è il loro obiettivo? Quale meta li attira? Essi vogliono illuminare criticamente il centralismo ed il terrorismo della tattica russa, vogliono bollare col fuoco a dovere la dittatura di una piccola schiera di capi e l’inetta onnipotenza del sistema burocratico dimostrando la sua assoluta incapacità con innumerevoli insuccessi. Essi credono di essere autorizzati a ciò dal semplice fatto che la III Internazionale è in procinto di imporre all’USPD la tattica russa.
A questo proposito bisogna dire quanto segue: la questione se la tattica del più duro centralismo, attuata in Russia dal governo sovietico – la quale culmina in una militarizzazione e in un terrorismo diffusi in tutta la vita statale, politica ed economica, insopportabili per il sentimento di un tedesco – sia corretta o meno nell’ambito della situazione russa, non è possibile che venga risolta da noi, perlomeno non qui dalla Russia. La situazione russa è cosi peculiare e cosi abnorme, i compagni russi sono venuti a trovarsi, fin dall’inizio del loro dominio, in una storica situazione forzata così terribile ed atroce che, secondo la mia idea, la tattica dai essi messa in atto non può essere definita né buona né cattiva, ma è stata anzi per essi l’unica possibile, l’unica pensabile, l’unica adottabile. E su questo problema non è il caso che ci scervelliamo. La tattica russa è in primo luogo una faccenda relativa ai compagni russi. E di ciò i compagni russi sono responsabili verso il loro proletariato, verso gli altri compagni socialisti e verso la storia mondiale.
Certo, dicono Crispien e Dittmann, questo è anche il nostro punto di vista. Tuttavia i compagni russi tentano di imporre con la forza la loro tattica al proletariato tedesco. E contro ciò noi dobbiamo combattere. Infatti, tentare di portare a compimento la rivoluzione tedesca con una tattica russa, ci sembra una sciagura ed un crimine contro cui il proletariato tedesco deve lottare con decisione.
A questo bisogna dare una risposta: se l’USPD si crede chiamato a combattere contro la tattica del centralismo e del burocratismo, contro lo spirito della dittatura deii capi e dei bonzi, in tal caso esso dovrà iniziare questa lotta in primo luogo in casa propria e nella situazione che gli è propria. La tattica russa, infatti, altro non è che la tattica tedesca dell’USPD tradotta in russo. L’USPD denuncia il suo proprio sistema, bolla il suo proprio metodo politico e condanna la sua propria politica rivoluzionaria con ogni parola e con ogni frase che esso ha indirizzato contro la Russia sovietica. Esso non ha in nessun caso il diritto, né morale né politico, di ergersi a giudice dei compagni russi. La [sua] organizzazione è costruita sugli stessi principi. La [sua] burocrazia di partito è altrettanto arrogante, altrettanto onnipotente ed altrettanto impotente di quella russa. La [sua] direzione professionale non differisce in niente da quella russa. La [sua] politica delle istanze, il [suo] terrore spirituale, il [suo] insistere su autorità e disciplina, tutta la [sua]o gerarchia di bonzi, in tutte le diverse gradazioni reperibili nel [suo] ripugnante allevamento – tutto ciò è spirito dello stesso spirito, carne della stessa carne, di quella stessa Russia, cioè, che ora viene condannata fin dalla radice.
Ma perché viene condannata tanto drasticamente? Perché in Russia tutte queste forme fenomeniche del sistema autoritario sarebbero maggiormente sviluppate, perché i capi del partito russo sarebbero più scaltri, più energici e maggiormente privi di scrupoli, perché il dispotismo dei bonzi russi – ora trasportato anche in territorio tedesco – potrebbe porre velocemente fine al limitato, vile, infame ed indeciso dispotismo dei bonzi dell'USPD. È il terrore di ricevere la meritata pedata nella schiena che mette nella penna di questi mammalucchi simili relazioni sulla Russia. Essi vogliono aizzare i loro compagni contro la Russia, vogliono seminare la diffidenza, diffondere sentimenti ostili allo scopo di impedire l’adesione alla III Internazionale, in modo che essi possano mantenere i loro posti, non rischiare di perdere le loro cariche, non vedere menomato il loro influsso politico, in modo da continuare ad essere essi stessi dei bonzi. E’ una pietosa ipocrisia, un pietoso egoismo quello che si manifesta nelle relazioni dei Crispien e Dittmann, pietosa demagogia di individui che muovono solo a pietà.
Anche il KAPD è nemico della tattica russa. Certo, noi siamo i suoi unici e reali oppositori poiché noi la respingiamo, per la Germania, non solo con le parole ma anche con i fatti. Noi la rifiutiamo con tutte le sue conseguenze. Per questo motivo abbiamo smesso di essere un partito, nel senso tradizionale del termine, abbiamo rotto con il sistema dei capi di professione, abbiamo abbandonato il centralismo come principio della tattica politica, abbiamo totalmente rigettato il sistema rappresentativo proprio del parlamentarismo, e perciò combattiamo la politica della direzione sindacale, centralistico-burocratica e perciò necessariamente controrivoluzionaria. Se si è nemici della tattica russa, bisogna combatterla non tanto in Russia, quanto piuttosto in Germania, all’interno del proprio partito, in casa propria.
Se l'USPD dovesse arrivare, in Germania, al governo,conseguentemente alla sua concezione dell'organizzazione ed alla sua complessiva concezione tattica, esso finirà per governare esattamente secondo il modello russo. Forse con un centralismo ed un burocratismo leggermente addolciti, all’europea, ma certamente non senza le ineliminabili conseguenze dell’arbitrio, della corruzione, del disastro e del finale fallimento. Esso non sarebbe comunque assolutamente in grado di realizzare ciò che esso oggi proclama come antitesi della tattica russa: lo sviluppo, cioè, della personalità e della coscienza del proletariato in modo che l’intera massa proletaria svolga un ruolo attivo nel senso della propria emancipazione. Sulle sue (dell’USPD, ndt) labbra, queste espressioni non sono che frasi demagogiche. Fintantoché esso stesso rimane un partito a struttura centralistica, finché pratica una politica elitaria, bazzica il parlamento e collabora alla politica controrivoluzionaria delle centrali sindacali, fintantoché esso alleva nelle sue file una schiera di capi e di bonzi e, nello stesso tempo, combatte e respinge la tattica del KAPD, fintantoché tra il suo ed il sistema russo continuerà a non sussistere alcuna differenza sostanziale, esso non ha alcun diritto, né politico né morale, di rivolgere alcuna critica alla Russia dei Soviet. In questo senso, condannando la Russia, l’USPD non fa che condannare se stesso.

NOTE:
* Nell'ottobre 1920 Rühle sarà espulso dal KAPD, a causa di disaccordi circa l'opportunità di entrare a far parte della III Internazionale. L'anno successivo sarà tra gli animatori della cosiddetta organizzazione unitaria (AAUD-E)
(1) La traduzione del seguente articolo – la cui storia e [le] vicende connesse sono ampiamente esposte nel capitolo 16 del presente testo [Denis Authier - Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania] – è stata condotta sulla fotocopia eseguita su un originale presso l’International Institut voor Social Geschiedenis di Amsterdam, gentilmente fornitaci dagli autori del testo francese.
Esistono tuttavia delle perplessità: il salto nella continuità del discorso fa supporre che alcune righe dell’originale siano del tutto assenti nella fotocopia. Inoltre, mancano evidentemente le fotocopie di una o più pagine (di giornale) dato che la seconda pagina (fotocopiata) inizia con la chiusura di un paragrafo evidentemente iniziato più sopra e non presente nella pagina precedente. Il capitolo 16 riporta, alle pagine 101 e 102, la traduzione quasi completa della sola prima pagina delle due (fotocopiate) del giornale. A pagina 102, inoltre, vengono riportate le seguenti frasi, evidentemente tradotte dall'originale tedesco, ma che mancano nella fotocopia a nostra disposizione:
«La dittatura dei bolscevichi è la dittatura del 5 per cento di una classe sulle altre classi e sul 95 per cento della propria classe...».
«... associazione, l’IC, nella quale si accettano persone che hanno la responsabilità del terrore praticato da un partito sull'intero popolo russo».
«Gli operai russi sono ancora più asserviti, oppressi, sfruttati degli operai tedeschi...». [ndt]
(2) KAPD, Partito comunista operaio di Germania. [lmjf]
(3) Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim furono i principali animatori, ad Amburgo, della corrente nazional-bolscevica, che sarà effettivamente espulsa dal KAPD di lì a poco. Cfr. Note sul “nazional-bolscevismo”, di prossima pubblicazione sulle pagine di questo blog. [lmjf]
(4) Karl Radek (1885-1939): di origine polacca, bolscevico, attivo nel movimento rivoluzionario tedesco tra il 1918 e il 1920, anno in cui viene eletto alla carica di segretario della III Internazionale. Entra a far parte dell'Opposizione di sinistra nel 1923. Nel 1927 viene espulso dal Partito russo. Morirà assassinato in un campo di lavoro nel 1939. [lmjf]
(5) Organo di stampa della Lega Spartaco, prima, e della direzione spartachista del KPD, poi. [lmjf]
(6) KPD, Partito Comunista di Germania, fondato nel gennaio 1919 in seguito alla rottura della Lega Spartaco con l'USPD (cfr. nota 9) e alla sua unificazione con la sinistra comunista (IKD, Comunisti internazionalisti di Germania). Nonostante la sinistra antiparlamentare e antisindacale sia maggioritaria, la direzione del partito sarà controllata sin dall'inizio dalla “destra” spartachista. [lmjf]
(7) Paul Levi (1883-1930), segretario del KPD tra il 1919 e il 1921. [lmjf]
(8) Wilhelm Dittman e Arthur Crispien, esponenti dell'USPD (cfr. nota 9), [lmjf]
(9) La rivoluzione non è affare di partito! è il titolo di un celebre articolo di Otto Rühle, risalente al medesimo periodo. 
(10) USPD: Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania, fondato nell'aprile 1917 in seguito all'espulsione dallo SPD dell'opposizione di sinistra, contraria alla guerra. Gli spartachisti (Luxemburg, Levi, Pieck etc.) aderiscono al nuovo partito come gruppo autonomo. Duplicato di sinistra dello SPD ed espressione tedesca di ciò che Lenin definisce “centrismo”, l'USPD, “conformemente al suo dualismo è il partito di tutti i compromessi, che nel momento in cui un'azione viene ripresa o lanciata dalla sua ala sinistra, la negozia non appena appare pericolosa per l'ordine stabilito” (Jean Barrot, Denis Authier, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981). [lmjf]

28 giugno 2010

Il KAPD e l'AAUD-E


[Tratto da Denis Authier e Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981]

[...]

La fondazione del KAPD

I delegati al congresso (4-5 aprile [1920]) rappresentano 38.000 militanti; altri gruppi si aggiungeranno al nuovo partito dopo la sua fondazione. Il KAPD(1) comprende dunque la quasi totalità del KPD(2), con un'analoga composizione sociale (tutti i vari settori della classe operaia, con una predominanza dei giovani e dei disoccupati). Benché vi siano tre tendenze (Berlino, Amburgo e Dresda), l'atmosfera è particolarmente "calorosa", e i congressisti hanno l'impressione di partecipare a qualcosa di completamente nuovo(3). La rottura con lo spartachismo rappresenta la rottura definitiva con la socialdemocrazia. Le tendenze vengono riconosciute come tali e il presidium del congresso comprende un rappresentante per ciascuna di esse.
In realtà, non si tratta di una scissione nei confronti di un'organizzazione già esistente (malgrado l'apparenza contraria data dal gioco delle sigle, come se il KAPD fosse una scissione del KPD), ma dell'autorganizzazione, in piena fase rivoluzionaria, di una nuova corrente che rifiuta l'eredità del passato rappresentata dalla direzione spartachista; quest'ultima è ridotta ad un puro scheletro finanziato da Mosca, finché non si unirà all'ala di sinistra dell'USPD (4). L'entusiasmo dei membri del KAPD è simile a quello dei primi fondatori delle confraternite, unioni, leghe operaie del XIX secolo. Queste innovazioni e questa vitalità – che faranno dire a Rühle(5) che "il KAPD non è un partito nel senso tradizionale del termine" – si esprimeranno in modo eloquente nella vita interna dell'organizzazione.
Il KAPD si afferma come "partito delle masse", a differenza del KPD, "partito di capi", che utilizza le masse per i propri fini politici. In quel periodo, il KAPD rappresenta la maggior parte del partito comunista e le masse rivoluzionarie. Appena un anno più tardi, la polemica sembra rovesciarsi, quando il KPD, divenuto VKPD(6) si trasforma in "partito di massa" (Massenpartei, mentre il KAPD si considera Partei der Massen) e il KAPD lo critica per questa ragione al terzo congresso dell'IC(7). In realtà si potrebbe parlare di rovesciamento di posizioni solo nel caso in cui il KAPD, abbandonando la posizione "massa" – all'interno della contrapposizione massa/capo – fosse passata alla posizione "capo". Un "partito di massa" è, al contrario, un "partito di capi".
Terreno favorito della sinistra tedesca, dalla sua nascita alla sua morte, il dibattito massa/capi, nato dal trauma prodotto dal "tradimento dei capi" del 1914(8), è particolarmente ozioso. Esso fa parte di quel tipo di contrapposizioni, nell'ambito delle quali il termine positivo trova la sua ragion d'essere in quello negativo e viceversa. Lo stesso si verifica, per un argomento analogo, nella contrapposizione centralismo/federalismo. Al tradimento dei capi si contrappone la libera attività delle masse. Ma finché le masse rimangono "masse", vale a dire finché il proletariato non si costituisce in classe, esse produrranno dei capi: e parlare di masse è un linguaggio tipico dei capi.
Gorter(9) è più preciso quando sviluppa la sua posizione sul partito, inteso come un raggruppamento di "puri" che non cadono nell'opportunismo: ma questa è una visione legata soprattutto a fasi di reazione. Le concezioni di Gorter e del KAPD sono accomunate dal loro confusionismo, poiché il partito delle "masse rivoluzionarie" si trasforma necessariamente in un piccolo gruppo, quando queste masse non sono più rivoluzionarie. E' vero anche che la sinistra pecca di educazionismo: una costante della Terza Internazionale – propagandata da Lenin, tendente a sostituire [l']"ideologia socialista" [alla] "ideologia borghese" degli operai  – e di cui la sinistra tedesca non riesce a disfarsi(10).
La maggioranza (Berlino) rifiuta il nazional-bolscevismo(11), ma fa un compromesso provvisorio con la tendenza di Rühle che vuole abolire immediatamente la forma di partito. È per questo che nel programma si legge: "Il KAPD non è un partito nel senso tradizionale". È questa la tesi che Rühle presenta nel suo La rivoluzione non è un affare di partito!, scritto quando era ancora nel KAPD.
La discussione sugli statuti tende ad "individuare la forma che permetta alla volontà delle masse di esprimersi". In un altro contesto, si può paragonare questo atteggiamento con quello di Lenin nel 1913, quando quest'ultimo ricercava una forma di statuto in grado di sbarrare la strada all'opportunismo del partito. Queste discussioni formali sono caratteristiche di tutto questo periodo rivoluzionario, a livello mondiale, insieme al dibattito sulla democrazia e sull'apporto della coscienza agli operai da parte degli intellettuali. Molto rare sono le correnti, o meglio gli individui che sfuggono a questa caratteristica. La tendenza è così forte che persino coloro che avevano criticato, per esempio, il feticismo organizzativo, in seguito ricadono nell'errore: lo stesso Trotskij, che ha aderito al leninismo dopo il 1917. Democrazia, feticismo organizzativo e illuminismo sono tipici dell'ideologia borghese(12).
Queste idee e pratiche politiche sono il riflesso dell'evoluzione del rapporto tra le classi nella società borghese, che porta alla crisi rivoluzionaria della fine della guerra. La piccola borghesia, spesso minacciata quanto gli operai dalla modernizzazione del capitale, scende in lotta a suo modo, considerandosi come l'unica al mondo, e priva della prospettiva del comunismo. In Russia la frazione più radicale di questa classe, unita al proletariato, assume il potere. Anche l'occidente conosce i problemi legati all'evoluzione e alla riorganizzazione dei gruppi sociali. Anche i movimenti più estremisti portano il segno dell'epoca.
La storia molto breve del KAPD mette chiaramente in luce come lo stesso tipo di statuto sia stato applicato a due orientamenti completamente opposti: inizialmente alla vita effettiva di un'organizzazione rivoluzionaria, in seguito alla sua decomposizione. Si può dire che questi statuti fossero estremamente democratici; è più importante constatare però, che durante tutto il periodo che va dalla fondazione del KAPD nel marzo del '20 all'estate del '21, essi sono stati l'espressione fedele di un'organizzazione in cui non esisteva una "base", secondo la formula tradizionale: ogni membro sapeva quel che doveva fare, e non stava nel KAPD per ricevere degli ordini e farsi dettare la propria condotta. I congressi e le varie riunioni generali erano molto frequenti. Non c'era un comitato centrale investito di tutti i poteri per un periodo indeterminato: c'era, da un lato, un comitato di gestione degli affari correnti (Geschäftsführung) e dall'altro un "comitato centrale" (Hauptausschuss) che si riuniva ogni volta che bisognava prendere delle decisioni importanti e che, a differenza delle altre organizzazioni, ogni volta, per la maggior parte, veniva rieletto dai vari gruppi locali; esso comprendeva il comitato permanente di gestione e alcuni delegati inviati dai vari gruppi. Si può dire che la linea da seguire, fosse decisa permanentemente dall'insieme del partito, il che testimonia dell'enorme forza presente nel KAPD; è solo per recuperare tale forza che l'IC tollerava la presenza di questo partito, che non ha mai cessato di attaccare apertamente e violentemente il suo opportunismo (13). Nel suo periodo migliore, all'interno del KAPD si è attuato ciò che Bordiga definiva come "centralismo organico".
Quando ebbe inizio il periodo di decomposizione del KAPD, gli stessi statuti – resi più complessi, a partire dal momento in cui non erano più la semplice formalizzazione di una pratica reale – vennero utilizzati per coprire tutte le manovre della lotta di tendenza.
Ognuno tenta a suo modo di sfuggire al feticismo organizzativo. Secondo Gorter: "L'organizzazione, l'unione, sono legate all'impresa, di conseguenza ci sarà sempre da temere che ostacolino la rivoluzione, al fine di ottenere piccoli miglioramenti, di conquistare un potere solo apparente"(14). Ma ognuno denuncia il feticismo degli altri. Mattick scrive che il KAPD "sembrava più bolscevico dei bolscevichi stessi"(15) per la sua salvaguardia della purezza rivoluzionaria. Sia il KAPD che il Pcd'I(16) mescolano insieme una sopravvalutazione del ruolo del partito (composto da elementi radicali che riuscivano a difendersi dall'accerchiamento capitalistico grazie alla forza dei principi), con una sopravvalutazione delle organizzazioni operaie ([unioni](17) nel primo caso, sindacati nel secondo). Il meccanismo di pensiero e la pratica sono, in fondo, molto simili fra loro, con alcune differenze nell'applicazione degli stessi principi, dovuti alla diversità del contesto tedesco e italiano. Un problema diverso è invece il modo in cui l'uno e l'altro si raffigurano la propria attività e quella dell'altro: a questo livello il groviglio di tradizioni e idee impedisce di capirsi e di comprendere ciò che fa l'altro. In ogni caso, si tratta della stessa concezione del partito inteso come "nucleo"(18): "un ambiente che possa accogliere il proletariato quando, grazie allo sviluppo generale, sarà indotto a lottare". La sinistra italiana condivide con quella tedesca il rifiuto della conquista della maggioranza prima della fase rivoluzionaria, e l'idea del partito-programma: "Ogni comunista deve poter essere un dirigente sul campo – deve poter resistere, e ciò che lo fa resistere, che lo rende forte, è il suo programma"(19).
E' inutile scagionare a tutti i costi la sinistra tedesca dall'accusa di "anarchismo" citando i testi in cui essa si esprime in favore di un partito forte e puro, un "partito-nucleo-ultraformato"(20). Lungi dal vedervi la prova del carattere marxista del KAPD, al contrario noi vi scorgiamo la contraddizione nella quale si dibatte questo partito, posto al centro di un proletariato combattivo ma poco numeroso, e obbligato a cercare un modo per rafforzarsi come organizzazione, illudendosi sul suo ruolo di propulsore delle lotte. Non è possibile cogliere il significato profondo della sinistra, nell'affermazione esasperata di ciò che la distingue dal resto del proletariato (21).
In agosto [1920] ha luogo un secondo congresso che adotta il programma. L'insieme del partito è convinto che in questa fase sono presenti tutte le condizioni favorevoli alla rivoluzione (si può confrontare questa posizione con quella del secondo congresso dell'IC riunito nello stesso periodo). In maggio-giugno scoppiano delle sommosse contro la fame. Viene votato un progetto di legge, pronto da parecchi mesi, per disarmare tutti i civili che avevano conservato le armi. Si ritiene che questa iniziativa provocherà delle reazioni di difesa che occorrerà "spingere in avanti". Il congresso decide di concentrare il partito su questo punto: ma andrà incontro a un fallimento perché sarà il solo a battersi.
Comunque resta in sospeso una questione importante: il chiarimento dei rapporti con la tendenza della Sassonia orientale (Rühle). Le divergenze vertono sul problema dell'IC. Rühle non viene espulso, ma il suo atteggiamento a Mosca viene condannato. Il congresso respinge brutalmente un ultimatum del CEIC [Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista] che intima al KAPD di ritornare nel KPD. Rühle e i suoi seguaci vengono espulsi solo alla fine di ottobre [1920] durante una seduta del CC.
Alla metà di agosto del 1920, l'Armata Rossa è alle porte di Varsavia, e l'Intesa invia ai polacchi un grosso aiuto attraverso la Germania. Il KAPD, l'AAUD(22) e il FAUD(23) si abbandonano ad azioni di sabotaggio, che complessivamente raggiungono lo scopo, e cercano di levarvi un'azione insurrezionale, che però fallisce completamente. Il KAPD ne addossa la colpa alle denunce pubbliche del KPD e dell'USPD(24). Là dove gli ostacoli materiali impediscono di far arrivare il contrordine al movimento, si verifica la presa dei poteri a livello locale da parte degli insorti: per esempio, la "repubblica dei consigli" di Köthen, nella Germania centrale, fatta cadere nel ridicolo da coloro che hanno contribuito al suo fallimento. Molti radicali vengono arrestati. "Il KAPD è stato l'unico partito ad aver avuto la possibilità di realizzare i suoi contenuti antidemocratici nel lavoro quotidiano"(25).
Un anno dopo (al terzo congresso dell'IC), il KAPD ritornerà ancora con insistenza sull'"azione" di agosto del '20, accusando il KPD e l'USPD di averlo abbandonato. Secondo Jung (26), l'agosto del '20 non è affatto un episodio isolato. C'è stato da parte dei russi un cambiamento di programma completamente imprevisto. Quando Jung era a Mosca (prima del secondo congresso dell'IC), era stato previsto, d'accordo con il KAPD, il KPD e l'USPD, che l'Armata Rossa, nella sua controffensiva verso i polacchi, non avrebbe avuto come primo obiettivo Varsavia, ma l'Alta Slesia (regione industriale tedesca dove il movimento rivoluzionario era forte e che stava per essere riannessa alla Polonia). Qui si sarebbe formato un esercito rosso di operai tedeschi e solo allora sarebbe stato intrapreso l'attacco contro Varsavia e il grosso dell'esercito polacco. I russi non ritenevano che la loro armata da sola sarebbe stata in grado di affrontare a Varsavia tutto l'esercito polacco, equipaggiato più modernamente e che oltretutto era regolarmente rifornito dall'Intesa; per questa ragione essi contavano essenzialmente sull'appoggio del movimento rivoluzionario in Germania.
I partiti comunisti tedeschi e l'USPD dovevano tenersi pronti ad appoggiare questa manovra e passare all'offensiva armata. La decisione di dirigersi direttamente su Varsavia in agosto venne presa improvvisamente dal comando dell'armata russa; il KAPD – i cui membri erano organizzati militarmente – non riesce a comprenderne il motivo. In realtà i russi si erano fatti delle illusioni sui loro primi successi militari. Ma con questa decisione dimostreranno di non curarsi affatto del movimento rivoluzionario al di fuori dei propri interessi. (Come è noto, la controffensiva di Pilsudski fu fulminea).
Jung, pur restituendo tutta la sua importanza all'avvenimento, tuttavia non mette in luce l'apatia generale degli operai tedeschi che i gruppi militari comunisti tentavano di far sollevare. Durante uno sciopero generale del settore dell'energia elettrica, il KAPD, fedele a se stesso, "spinge" il movimento, denunciando il tradimento del KPD, dell'SPD, ecc. Il governo stesso deve reprimere lo sciopero. Dopo il marzo del '21, il KAPD lavora alla formazione di comitati d'azione nelle fabbriche e all'attuazione di occupazioni "all'italiana". Il quarto congresso (settembre 1921) si dà come compito quello di "mantenere desta la volontà rivoluzionaria del proletariato tedesco". Il KAPD ha dunque optato per l'attivismo, ridiventando un "partito nel senso tradizionale". Con il riflusso definitivo della fase rivoluzionaria, si verificano nuove divisioni interne e la trasformazione del KAPD in setta. Sia la realtà esterna (numerosi morti nelle varie azioni) che quella interna (attivismo e scontro tra tendenze) riducono drasticamente il numero delle ultime isole rivoluzionarie. La creazione dell'AAUD-E è un tentativo – vano – di reagire a questa situazione.

Il dibattito sull'organizzazione "unitaria"

In contrapposizione ai bolscevichi e ai socialdemocratici, tutti i gruppi della sinistra tedesca sono d'accordo su un punto: non è "il" partito che dovrebbe assicurare il potere durante e dopo la rivoluzione, ma i consigli, organi che permettono ai proletari di esercitare sia il potere politico che quello economico. Ma il programma del KAPD fa una distinzione tra consigli "politici" ed "economici": segno di una divergenza sui tempi di dissoluzione del partito. L'AAUD-E, al contrario, rappresenta la corrente favorevole alla dissoluzione immediata.
La concezione dell'organizzazione unitaria era apparsa per la prima volta a Brema(27): del resto essa era l'unico aspetto nuovo di questo testo, ancora favorevole alla struttura sindacale di mestiere e al parlamentarismo. Tale concezione rimane per lungo tempo poco chiara, e si sviluppa con gli scioperi selvaggi durante la guerra e dopo il 1918. Gli operai rivoluzionari si organizzano allora su base aziendale e regionale, sabotando sindacati ed elezioni.
Il confusionismo e le cause delle divergenze e delle successive scissioni traggono origine dal fatto che a propagandare questa concezione sono individui e gruppi appartenenti ad un partito preciso: il KPD. La sinistra la difende al congresso di fondazione, contro la Luxemburg e la destra, affinché i compiti dei sindacati vengano assicurati dopo la rivoluzione dai consigli(28). Poiché coloro che fanno propaganda per un'organizzazione che nega il partito, appartengono anch'essi ad un partito, si ha l'impressione che questo partito (KPD(O) divenuto poi KAPD) debba sciogliersi nell'organizzazione unitaria. Schematicamente si delineano due posizioni: scioglimento immediato o dopo un "certo periodo". Questo "certo periodo" genera ovviamente nuove tendenze, non appena si passa ad una valutazione più seria. Nel frattempo, si mantiene il partito come "un male necessario", come afferma Schröeder nel suo Agli arbori della nuova società(29): i sostenitori dell'organizzazione unitaria, non essendo molto numerosi tra il proletariato, non possono fare altro che unirsi al partito.
Mentre l'insieme della sinistra (tutte le tendenze unite) è ancora organizzata nel KAPD, la rottura – come spesso accade – si verifica su un argomento diverso: l'atteggiamento da tenere verso la Russia e l'IC. Rühle, risolutamente antibolscevico e contrario all'entrata del KAPD nell'IC, viene espulso dal KAPD che vuole collaborare con l'IC. Si è spesso rimproverato a Rühle il suo "semianarchismo". Ma il KAPD tenta di superare il problema contrapponendo marxismo e anarchismo come il bianco al nero. Uno dei suoi delegati al terzo congresso mondiale [dell'IC] ritiene che gli anarchici disprezzassero "la lotta di classe organizzata (...) si erano trovati a vivere anzitempo nella storia, la loro tattica era prematura di varie decine d'anni". Un giudizio certamente insufficiente, ma il movimento rivoluzionario in nuova ascesa opera una sintesi dei contenuti migliori sia del marxismo che dell'anarchismo, criticando implicitamente(30) le valutazioni di Marx ed Engels(31).
La posizione di Rühle sulla Russia è subito ripresa dalla tendenza per l'organizzazione unitaria immediata, e quindi la rottura tra il KAPD e l'AAUD si consuma rapidamente. In dicembre il KAPD della Sassonia orientale si scioglie nell'AAUD. Successivamente l'AAUD di Amburgo espelle tutti coloro che vogliono restare nel KAPD. In tutta la Germania, una parte della sinistra passa rapidamente all'organizzazione unitaria. Essa criticherà apertamente il KAPD all'epoca dell'azione di marzo (32).
Nell'ottobre del '21, questo movimento dà vita alla sua prima conferenza autonoma e si dà il nome di AAUD-E, dove "E" sta per "unitaria". Essa adotta le "Linee di orientamento per l'AAUD-E". L'AAUD-E in quel periodo comprende tredici distretti economici che raccolgono parecchie decine di migliaia di membri, ma si disgregherà ancor più rapidamente delle altre organizzazioni di sinistra. La linea teorica dell'AAUD-E è espressa essenzialmente in "Die Aktion", a partire dal 1920, e negli opuscoli di Rühle, che sono ognuno lo sviluppo del precedente (33).
Pannekoek(34), benché al di fuori di qualsiasi gruppo a partire dal 1920, con una sua lettera del 5 luglio dello stesso anno, dimostra di essere più vicino all'AAUD-E che a qualsiasi altra corrente di sinistra: "L'idea che debbano esservi due organizzazioni degli operai distinte è falsa" (35). Nel 1931, è proprio sul principio dell'organizzazione unitaria che verrà fondata la KAUD (Unione Comunista Operaia Tedesca), comprendente i resti dei vari gruppi della sinistra tedesca.

NOTE:
(1) KAPD: Partito Comunista Operaio di Germania. [lmjf]
(2) KPD: Partito Comunista di Germania, fondato nel gennaio 1919 in seguito alla rottura della Lega Spartaco con l'USPD (cfr. nota 4), e alla sua unificazione con la sinistra comunista (IKD, Comunisti internazionalisti di Germania). Nonostante la sinistra antiparlamentare e antisindacale sia maggioritaria, la direzione del partito sarà controllata sin dall'inizio dalla “destra” spartachista (Rosa Luxemburg). [lmjf]
(3) Hans M. Bock, Syndikalismus und Linkskommunismus von 1918-1923. Zur Geschichte und Soziologie der Freien Arbeiter-Union Deutschlands und der Kommunistischen Arbeiter-Partei Deutschlands, 1969.
(4) USPD: Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania, fondato nell'aprile 1917 in seguito all'espulsione dallo SPD dell'opposizione di sinistra, contraria alla guerra. Gli spartachisti (Luxemburg, Levi, Pieck etc.) aderiscono al nuovo partito come gruppo autonomo. Duplicato di sinistra dello SPD ed espressione tedesca di ciò che Lenin definisce “centrismo”, l'USPD, “conformemente al suo dualismo è il partito di tutti i compromessi, che nel momento in cui un'azione viene ripresa o lanciata dalla sua ala sinistra, la negozia non appena appare pericolosa per l'ordine stabilito” (Jean Barrot, Denis Authier, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981).[lmjf]
(5) Otto Rühle (1874-1943), fu il principale teorico della tendenza AAUD-E (organizzazione unitaria), e autore di testi quali La rivoluzione non è affare di partito!, Dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione proletaria, Le questioni fondamentali dell'organizzazione, La lotta contro il fascismo comincia dalla lotta contro il bolscevismo. [lmjf]
(6) VKPD: Partito Comunista Unificato di Germania, nato nel dicembre del 1920 in seguito alla fusione dei resti del KPD con l'ala sinistra dell'USPD, sulla base della tattica del “fronte unico” voluta da Mosca e dall'Internazionale Comunista, e rigettata dalle sinistre. Al momento della fondazione conta circa 400.000 membri (per lo più provenienti dall'USPD). [lmjf]
(7) Internazionale Comunista (Comintern), fondata nel marzo del 1919. Malgrado una forte presenza delle tendenze di sinistra, la maggioranza dell'IC (fin dall'inizio controllata di fatto dai bolscevichi) è favorevole al “parlamentarismo rivoluzionario”, al lavoro nei sindacati e alle lotte di liberazione nazionale nelle colonie. “All'epoca le posizioni dei russi erano conosciute molto male e talvolta completamente sconosciute […] I rapporti tra comunisti occidentali e russi (e dunque l'IC) negli anni '19-20 sono caratterizzati da un'incomprensione che verrà dissipata solo dopo il '21 (benché alcuni siano stati più lucidi: Rühle, per sempio)” (Jean Barrot, Denis Authier, op. cit.). Dopo il 1921, l'IC diverrà niente più che uno strumento della politica estera dello Stato russo.[lmjf]
(8) Il 4 agosto 1914, la SPD, come la maggior parte dei partiti aderenti alla Seconda Internazionale, vota i crediti di guerra. Sia la socialdemocrazia che i sindacati riformisti si dichiarano a favore dello sforzo bellico. Fanno eccezione i bolscevichi, la sinistra del Partito Socialista italiano (Bordiga), i marxisti di sinistra olandesi (Pannekoek e Gorter), il Partito Socialista serbo etc. La maggioranza del Partito Socialista italiano fa propria l'ambigua parola d'ordine del “né aderire, né sabotare”. [lmjf]
(9) Hermann Gorter (1864-1927), poeta e teorico marxista olandese. Uscito dal Partito Comunista olandese (KPN) nel 1919, prende parte nell'aprile del 1920 alla fondazione del KAPD. Insieme ad Anton Pannekoek, è il più importante teorico della sinistra comunista tedesco-olandese, autore di testi quali Lettera aperta al compagno Lenin (in Risposta all'“Estremismo” di Lenin, Samonà e Savelli, Roma, 1970), Le lezioni delle “giornate di marzo”, L' Internazionale Comunista Operaia, La rivoluzione mondiale. [lmjf]
(10) "Programme Communiste", n. 56, passim. Analoga critica può essere rivolta a Maximilien Rubel, che in Marx vede soprattutto un "educatore": cfr. la sua Prefazione alle Pages choisies de Karl Marx, Payot, Paris, 1970, e Marx critique du marxisme, Payot, Paris, 1974 [Marx critico del marxismo, Cappelli, Bologna, 1981].
(11) Il “nazional-bolscevismo” è una tendenza nata in seno alla sinistra comunista tedesca, animata ad Amburgo da Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim. Fu estromessa dal KAPD all'indomani del congresso di fondazione. Cfr. Note sul “nazional-bolscevismo”, in appendice a Jean Barrot, Denis Authier, op. cit., e di prossima pubblicazione su questo blog. [lmjf]
(12) Marx-Engels, Textes sur l'organisation, Spartacus, Paris, 1970. [Come notano ancora Authier e Barrot, “secondo tutte le correnti di quel periodo, il socialismo è un problema di gestione: le divergenze vertono sulla forma della gestione operaia della produzione (da parte del partito, del consiglio, del sindacato, dell'unione etc.)”. lmjf]
(13) Si intende per "opportunismo" l'azione “giorno per giorno”, la tendenza al compromesso che sacrifica la prospettiva rivoluzionaria al risultato immediato. Tuttavia, sostengono gli Autori, “nel modo in cui viene definito da Engels, il concetto di opportunismo (ripreso da Lenin) rovescia la realtà. […] Infatti, se si vuole parlare di opportunismo bisognerà lanciare l'accusa […] all'insieme del proletariato stesso per tutta un'epoca. […] Questo riformismo pratico, alla base si trasforma, qualche volta, nel suo opposto: l'azione rivoluzionaria […]. Non esiste frattura tra rivoluzione e riformismo – c'è invece opposizione irrimediabile tra le forme paralizzanti del riformismo (che spesso non sono adatte neppure per un “buon” riformismo) e le forme organizzative rivoluzionarie; c'è una lotta sanguinosa tra il proletariato rimasto riformista e il proletariato diventato rivoluzionario […].
In un primo tempo, la socialdemocrazia e i sindacati tedeschi costituiscono l'organizzazione di questa lotta spontaneamente riformista del proletariato tedesco […]. Tuttavia si opera rapidamente una separazione tra organizzazioni del movimento operaio e movimento operaio stesso […]. A partire da questo momento le organizzazioni operaie tradizionali, lo SPD e i sindacati, hanno una loro logica propria, una loro funzione specifica nella società esistente […]
“Non è dunque più possibile per dei rivoluzionari rimanere nelle organizzazioni operaie (Engels) o collaborare con esse (Lenin), per spingerle a trasformarsi (Engels) o a smascherarsi (Lenin). Esse non possono cambiare perché hanno una natura propria, né possono smascherarsi perché gli operai rimangono riformisti ed al massimo rimproverano loro una certa debolezza nella lotta riformista, ma non certo la mancanza di spirito rivoluzionario” (Jean Barrot, Denis Authier, op. cit.) [lmjf]
(14) Citato da Béla Kun, Du sectarisme à la contre-révolution, in "L'Internationale Communiste", n. 18, ottobre 1921.
(15) Paul Mattick, Conseils ouvriers..., p. 102. [Paul Mattick (1904-1981). A 14 anni aderisce alla Lega di Spartaco. Operaio alla Siemens, dove fu membro del Consiglio operaio come rappresentante degli apprendisti, prende parte a diverse azioni durante la rivoluzione, radicalizzandosi e avvicinandosi alle posizioni della sinistra comunista. Aderisce al KAPD, nella primavera del 1920. In seguito, entra a far parte dell'AAU di Colonia, ma rimane in contatto anche con esponenti dell'AAUD-E di Rühle. Nel 1926, emigra negli Stati Uniti, dove inizia un lavoro di approfondimento teorico incentrato sulla critica marxiana dell'economia politica. Fa parte, per qualche tempo degli IWW (Industrial Workers of the World). Nel 1934, fonda il Council Communist Group e dà vita a una rete di rapporti internazionali con altre formazioni “consiliari” (International Council Correspondance), entrando in contatto, tra l'altro, con i Comunisti Internazionalisti olandesi (GIC-H) e con Karl Korsch, che offrì regolari contributi al giornale del gruppo. Il gruppo-rivista, nel 1938, cambia nome in "Living Marxism" e successivamente in "New Essays" (1942). Per una buona biografia di Mattick, in lingua italiana, si veda http://www.left-dis.nl/i/bibpm.htm. Cfr., inoltre, la bibliografia in appendice a Paul Mattick, Il marxismo ultimo rifugio della borghesia?, Sedizioni, 2009 (lmjf)]
(16) Il Partito Comunista d'Italia fu fondato a Livorno nel 1921, in seguito alla fuoriuscita dal Partito Socialista della Frazione comunista astensionista (Bordiga) e del gruppo di “Ordine Nuovo” (Gramsci) che confluirono nella nuova organizzazione. Fino al 1923 (arresto di Bordiga), la direzione del partito rimarrà in mano alla sinistra, che pur rinunciando al proprio astensionismo in nome della disciplina dell'IC, si opporrà sin da subito alla tattica del “fronte unico” con i partiti socialisti, contrapponendovi il “fronte unico sindacale” (unità di tutti gli sfruttati all'interno dei sindacati). Cfr. Tesi di Roma (1922). La “bolscevizzazione” del partito, dopo il 1923, proseguirà solo con grande difficoltà, essendo la sinistra ancora maggioritaria alla base del partito. La sua sconfitta sarà definitivamente sancita dal Congresso di Lione (1926). [lmjf]
(17) Le Unionen sono la forma organizzativa che il proletariato rivoluzionario tedesco si dà all'indomani della Prima guerra mondiale, sulla base della parola d'ordine Fuori dai sindacati!. Diversamente dai sindacati riformisti, organizzati su base di mestiere, ma distinguendosi anche dall'unionismo industriale (IWW), strutturato per settore industriale, i settori più radicali del proletariato tedesco si organizzano su base sia di impresa che di regione economica: essi tendono “a un raggruppamento geografico strategico in vista dell'azione rivoluzionaria”. “Nel 1919, le unioni sono organizzazioni transitorie che lavorano alla formazione di consigli”. (Jean Barrot, Denis Authier, op. cit.). [lmjf]
(18) Cfr. Hempel in Denis Authier (a cura di), La gauche allemande (textes), La Vecchia Talpa, 1973, a proposito del dibattito intorno alla relazione sulla tattica al III Congresso mondiale.
(19) Ibidem.
(20) "Rèvolution Internationale", nuova serie, n. 6, per un riassunto dell'opera menzionata in precedenza.
(21) Lettera di Marx a Schweitzer del 13 ottobre 1868: "La setta cerca la sua raison d'être e il suo point d'honneur non in ciò che essa ha in comune con il movimento di classe, bensì in un segno particolare che la distingue da tale movimento". Cfr. Marx-Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma, 1980, v. XLIII, p. 619.
(22) AAUD: fondata nel febbraio 1920, è l'organizzazione che riunisce a livello nazionale le unioni operaie (Unionen). Si distingue dalle organizzazioni anarco-sindacaliste, in quanto non rifiuta il concetto di dittatura del proletariato (che deve essere esercitata dall'intera classe operaia attraverso i consigli). “Gli organismi come l'AAUD sono stati eccezionalmente sovversivi poiché erano tutt'uno col movimento rivoluzionario; superavano la contrapposizione tra movimento e organizzazione stabile” (Jean Barrot, Denis Authier, op. cit., p. 69) [lmjf]
(23)FAUD: organizzazione anarco-sindacalista fondata nel dicembre del 1919. [lmjf]
(24) Denis Authier, op. cit.
(25)Kommunistik Programm, La Gauche allemande et la question syndicale dans la III Internationale, 1971.
(26) Franz Jung, [Der Weg nach Unten], pp. 186 e seg.
(27) Hans M. Bock, op. cit.
(28) Ibidem, p. 98.
(29) Frits Kool, [Die Linke gegen Parteiherrschaft], p. 353.
(30) Cfr. Hempel, op. cit.
(31) Lettera di Engels a Lafargue dell'11 giugno del 1889.
(32) “Azione di marzo”: movimento a carattere insurrezionale che, nel marzo del 1921, investe la Germania centrale e la Sassonia. Esso nasce da un movimento difensivo autonomo del proletariato (le rivendicazioni iniziali sono la riduzione dell'orario di lavoro e l'eliminazione della polizia privata all'interno delle aziende). “Gli emissari di entrambi i partiti [VKPD e KAPD] si riveleranno incapaci di influenzare il corso degli avvenimenti” (Jean Barrot, Denis Authier, op. cit., p. 95). La sconfitta dell'Azione di marzo segnerà l'inizio del riflusso del movimento rivoluzionario e della disgregazione delle organizzazioni della sinistra comunista. [lmjf]
(33) Cfr. HansM. Bock, op. cit., documento n. XIV.
(34) Si veda, risalente a questo periodo, Rivoluzione mondiale e tattica comunista (1920). [lmjf]
(35) Frits Kool, op. cit., p. 128.

25 giugno 2010

Assemblee autonome. L'autonomia operaia e l'organizzazione


Introduzione. Alcune considerazioni sul documento delle assemblee autonome: “L’autonomia operaia e l’organizzazione” (1973)

Il documento che pubblichiamo, diffuso all'epoca in numerose copie, rappresentava un primo tentativo di indicazione programmatica per i compagni impegnati nel tentativo di dare all'autonomia operaia gli strumenti pratici e teorici per meglio esprimersi sfuggendo al controllo di gruppi e partiti politici. Il punto di riferimento principale nella costruzione di momenti di autorganizzazione, che all'epoca venivano, di norma, definiti "assemblee autonome", era che le modalità e gli obiettivi dell'intervento dovevano essere decisi all'interno delle situazioni stesse, da parte di coloro che erano i diretti interessati e protagonisti dello scontro di classe, coordinando le esperienze e le forze direttamente tra di loro per un programma più generale, senza alcuna subordinazione verso apparati o "intelligenze" esterne. Quando si facevano le assemblee di coordinamento degli organismi autonomi partecipavano anche esterni, interessati al progetto, che davano anche un sostegno dal punto di vista organizzativo e avevano la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, ma le decisioni orientative erano di competenza di coloro che facevano parte effettiva degli organismi autonomi.
I tre organismi autonomi, firmatari del documento che riportiamo, che avevano elaborato il progetto iniziale erano:
- il Comitato di Lotta Sit-Siemens (oggi Italtel), principalmente impegnato nel settore della costruzione delle centrali telefoniche, che era nato come evoluzione del Gruppo di studio operai-impiegati;
- l'Assemblea Autonoma della Pirelli che nasce da una spaccatura dell'originale Comitato Unitario di Base (CUB), che era stata una delle prime importanti esperienze di massa della contestazione operaia e che, successivamente, Avanguardia Operaia, con una pratica entrista, aveva trasformato in una propria cinghia di trasmissione e riprodotto in diverse altre aziende, attribuendo ai CUB un ruolo di “sinistra sindacale”;
- l'Assemblea Autonoma dell'Alfa Romeo che, in quel momento, grazie al proprio radicamento, esprimeva la forza maggiore.
Intorno a questo organismi autonomi, la cui importanza derivava soprattutto da quella delle fabbriche in cui si erano sviluppati, altri organismi autonomi di aziende minori e singoli militanti di vari luoghi di lavoro si aggregavano coordinando gli sforzi e dibattendo su comuni strategie di lotta.

Rapporto, a livello nazionale, con gli altri organismi autonomi

Fuori dall'area milanese furono presi contatti e stabiliti collegamenti con altre realtà, come l'Assemblea Autonoma di Porto Marghera, che aveva una dimensione territoriale ed era costituita in parte da militanti del Petrolchimico provenienti dall'esperienza del gruppo Potere Operaio , che si era sciolto, ma anche da realtà di altri luoghi di lavoro. Furono stretti rapporti anche con il Collettivo dell'ENEL e con quello del Policlinico di Roma, che in un secondo tempo avrebbero costituito la componente dell'area dell'Autonomia conosciuta come "i Volsci", dal nome della via in cui avevano la sede.
Il punto di incontro di queste realtà autonome in quel momento erano le lotte ed il loro sviluppo e, soprattutto, l'elaborazione dell'intervento costruito unicamente all'interno delle situazioni.
I contenuti del salario garantito, dell'egualitarismo salariale, della riduzione d'orario, del rifiuto della gerarchia del lavoro in fabbrica, assieme al collegamento con le lotte nel sociale, principalmente le occupazioni di case e l'autoriduzione degli affitti, erano gli obiettivi principali delle nostre lotte. Si fece un importante convegno a carattere nazionale a Bologna nel tentativo di collegare tutte le realtà autorganizzate nelle varie aziende, per creare un forte e visibile punto di riferimento generale. La partecipazione fu rilevante, il dibattito serrato, molti gli osservatori interessati nell'area del movimento. La volontà dell'area romana di stringere i tempi per una sterzata organizzativa che, sugli obiettivi della riduzione d'orario e del salario garantito, potesse agire da direzione della crescita di un movimento autorganizzato a livello nazionale, fu frenata dall'area degli organismi autonomi milanesi che vedevano in questa accelerazione un pericolo di burocratizzazione e di avanguardismo che rischiava di bruciare le tappe di una crescita articolata e veramente autonoma all'interno delle situazioni.
Quindi quel convegno non si concluse con quel salto organizzativo che alcune frazioni auspicavano.

Il rapporto degli organismi autonomi con i gruppi dell'estrema sinistra

- Avanguardia Operaia: operava nelle aziende attraverso i CUB. Non ci furono grandi rapporti se non quelli che si instauravano naturalmente durante le lotte all'interno delle aziende stesse. Si era, comunque, divisi dalla loro metodologia di intervento che li poneva su di un ristretto piano di sinistra sindacale.
- Potere Operaio: si era da poco sciolto proprio mentre nascevano i primi coordinamenti delle Assemblee Autonome. Da parte di diversi militanti e dirigenti di questo gruppo ci fu, inizialmente, un grande interesse che si concretizzò nella disponibilità ad un apporto organizzativo esterno e nell'assidua frequentazione delle riunioni, senza che però riuscissero ad assumere un ruolo di direzione esterna a causa delle premesse, già segnalate, su cui si basavano gli organismi autonomi. A poco a poco questi militanti si sganciano. L'area che fa riferimento a Toni Negri inizia un rapporto con il Gruppo Gramsci, presente soprattutto a Milano con militanti presenti nella sinistra sindacale, soprattutto FIM ma anche FIOM. Questo connubio determina una mutazione della linea politica del Gruppo Gramsci, che si scioglie, mentre una parte dei suoi militanti da vita ad alcuni collettivi di fabbrica, tra cui quello della FACE STANDARD e quello della stessa SIT-SIEMENS. Da questo percorso di collaborazione fra militanti ex P.O. ed ex Gruppo Gramsci nasce la pubblicazione "ROSSO", portavoce di uno dei principali gruppi dell'area dell'Autonomia che si sono costituiti in seguito.
- Lotta Continua: questo gruppo che, notoriamente, era una delle maggiori organizzazioni dell'estrema sinistra a livello nazionale, interveniva sui luoghi di lavoro direttamente attraverso i suoi nuclei e le sue sezioni. Ad un certo punto, dimostra un particolare interesse nei confronti delle Assemblee Autonome dell'area milanese ed inizia un percorso di confronto dal quale scaturisce un convegno operaio dei militanti di Lotta Continua a Bologna, convegno al quale viene richiesta la partecipazione degli organismi autonomi. Ai compagni degli organismi autonomi milanesi viene dato molto spazio e se ne mette in evidenza il ruolo e la funzione. Ne consegue un periodo di attiva collaborazione sui luoghi di lavoro. La direttiva per i militanti di Lotta Continua era quella di entrare negli organismi autonomi rinunciando all'intervento, nelle situazioni nelle quali si faceva questa scelta, come organizzazione specifica. Ma quando i dirigenti si accorgono che è molto difficile esercitare un controllo dall'alto sull'autonomia di tali organismi, si constata il ritiro dei militanti operai di Lotta Continua che riprendono l'intervento come organizzazione separata, anche se, comunque, rimarranno di norma buoni rapporti di collaborazione nelle fabbriche.

La lotta di classe arretra

L'autonomia di classe si trova ad essere sempre più schiacciata: da un lato continua il processo ristrutturativo come risposta del potere padronale, che si vale della complicità del PCI del compromesso storico e del sindacato dei sacrifici; dall'altro lato l'azione sempre più esterna e prevalente dei gruppi armati produce un clima di paura e fornisce gli strumenti per una repressione generalizzata.
Il quadro che si delinea toglie ossigeno all'autonomia di classe che si affloscia progressivamente. Inizia la stagione delle grandi svendite confederali che si protrae sino ad oggi, secondo l'impietosa legge del pendolo della storia. [Precari Nati]

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L'autonomia operaia e l'organizzazione
(Milano, febbraio 1973)

Documento di discussione proposto dall'Assemblea Autonoma della Pirelli-Alfa Romeo e dal Comitato di Lotta della Sit Siemens.

La contropiattaforma padronale
La contropiattaforma attorno alla quale si svolge oggi sostanzialmente lo scontro, rappresenta il contrattacco padronale alle lotte imposte dall'autonomia operaia in questi anni; rappresenta il suo progetto di ristrutturazione da imporre alla classe operaia; ha anche il significato di costringere il movimento dei lavoratori a lottare su posizioni di difensiva. Ma ci sbaglieremmo di grosso, se pensassimo che i punti avanzati dalla Confindustria nella contropiattaforma siano solo un atto di provocazione nei confronti del movimento operaio. Questi punti (regolamento dell'assenteismo; pieno utilizzo degli impianti, con turni a scorrimento delle festività; regolamentazione dello sciopero articolato e delle lotte aziendali) rappresentano il cardine di una linea strategica nella quale le forze padronali intendono muoversi e che già vuole ottenere dei risultati parziali, fin dai presenti contratti. Soprattutto, su tale linea padronale si vuole chiamare in causa, e lo si dice esplicitamente, la responsabilizzazione delle organizzazioni sindacali.

Sindacati e consigli di fabbrica
Le organizzazioni sindacali sono nella seconda fase del processo di integrazione.
La prima, che è rappresentata da tutto il periodo dal dopoguerra in poi, è la fase della ricostruzione nazionale dello sviluppo capitalistico. La seconda fase è quella in cui il sindacato deve impegnarsi più scopertamente in un ruolo di collaborazione con il piano di ristrutturazione capitalista e di sviluppo riformista.
L'attuale attacco duro delle forze padronali, con la contropiattaforma e il governo di centro- destra, ha lo scopo principale di sfrondare i sindacati e i partiti della sinistra operaia da quanto di ribellismo esista ancora in essi, e di costringere la classe operaia ad assumere una posizione di assoluta passività nei confronti del piano del capitale. Infatti, il sindacato, di fronte a questo attacco, contratta la piattaforma, si appella anch'esso alla produttività, costringe all'autolimitazione delle forme di lotta di classe operaia, proprio come richiesto dalle forze padronali. Contropartita di questa palese svendita dei contratti e delle forme di lotta, che la classe operaia si è conquistata in questi anni, non può che essere , come chiedono il sindacato e i partiti della sinistra parlamentare, la restaurazione del centro-sinistra, legata alla ripresa di un progetto di riforme che veda la sinistra parlamentare maggiormente coinvolta.

Ruolo del consiglio di fabbrica
L'ipotesi che il consiglio di fabbrica sia lo strumento dell'organizzazione di base che la classe operaia ha saputo imporre come espressione della crescita della propria autonomia, non la riteniamo esatta. È chiaro, invece, che di fronte alla spinta della base, alla crescita e allo sviluppo dell'autonomia operaia, che nelle sue fasi spontaneiste spesso sfuggiva al controllo dei vertici sindacali, questi sono stati costretti a cedere verso un modello di organizzazione più di base che però, nel contempo, desse loro maggiori possibilità di controllo sulla base stessa. Facendo un bilancio, dalla costituzione dei consigli fino ad oggi, non possiamo che constatare come essi siano sempre stati controllati dai vertici sindacali. Questi ultimi, li fanno funzionare quando sanciscono ciò che è già stato stabilito dalla propria linea e li bloccano non appena prevalgono istanze di base. Abbiamo visto come nel momento dell'elaborazione della piattaforma contrattuale dei metalmeccanici, tutta una serie di posizioni avanzate prevalse nei confronti delle maggiori fabbriche milanesi, siano state tagliate fuori nel momento conclusivo del convegno di Genova.
Lo vediamo con maggior chiarezza attualmente, quando di fronte alla decisione dei vertici sindacali di frenare le lotte, facendo prontamente marcia indietro ogni qualvolta il padronato attua le sue forme di repressione, lo strumento dei consigli di fabbrica resta pressoché impotente a far passare la posizione contrastante. Il guardare con religiosità al consiglio di fabbrica come al modello ideologico, unico punto di riferimento per l'organizzazione della classe operaia, significa, realisticamente, rimettersi al disegno dei vertici sindacali di espropriare di ogni potere decisionale le assemblee dei lavoratori e tutte le forme organizzative che direttamente esprimono le lotte dell'autonomia operaia. Il processo con cui si realizza e avanza l'organizzazione dell'autonomia operaia, deve essere inverso: deve partire dalla capacità operaia di decidere e attuare direttamente le forme di lotta e gli obbiettivi idonei a battere la linea del padronato. Occorre ridurre lo spazio ad ogni mediazione volta a castrare l'azione diretta della classe operaia. Questo non significa che non bisogna tener conto della realtà esistente dei consigli di fabbrica, ma che bisogna cercare di intervenire in questo spazio, quando è possibile, per far passare la linea espressa dalla base operaia. Si vuole però mettere in evidenza, quanto sia erroneo e castrante un atteggiamento di assoluta subordinazione dell'azione diretta operaia alle decisioni del consiglio di fabbrica. Semmai il processo deve essere inverso: cioè l'azione diretta operaia deve condizionare il consiglio e il sindacato. In tal senso la realizzazione dei comitati operai di reparto, collegati tra di loro nella fabbrica, espressione della volontà di base, alla quale debbono fornire gli strumenti di attuazione immediata, sono una indicazione fondamentale in questo momento.

Ristrutturazione e assenteismo
La ristrutturazione è la risposta del capitale alla lotta di classe; rappresenta anche l'adeguamento alle necessità dello sviluppo del capitalismo, come derivazione dell'unificazione di più monopoli e come necessità di conversioni di impianti, derivante dalla saturazione di certi mercati.
È chiaro che tutto questo processo, dal punto di vista padronale deve essere fatto sulla pelle dei lavoratori. La risposta della classe operaia a questo disegno del capitale si deve muovere su due direttive: una deve essere rappresentata dall'attacco alla struttura produttivistica dell'organizzazione del lavoro. Infatti, nel momento in cui la ristrutturazione viene usata per aumentare la produzione, determinando da un lato, l'aumento del carico di lavoro per una parte di operai, dall'altro la cassa integrazione e i massicci licenziamenti per un'altra parte, la migliore risposta deve essere quella di passare dalla fase dell'assenteismo (momento di legittima difesa individuale contro nocività e ritmi), ad una forma più politicamente cosciente di rifiuto del lavoro. Tale rifiuto deve essere realizzato attraverso una linea di non collaborazione permanente articolata nel rifiuto del cottimo, nella riduzione dei ritmi, nel rifiuto dei lavori nocivi. Deve nascere nell'operaio una vera e propria coscienza antiproduttivistica, in cui netta deve essere la demarcazione tra quelli che sono gli interessi di produzione e di profitto capitalistico e gli interessi della classe operaia. L'altro elemento della risposta operaia alla ristrutturazione, è il porsi come obbiettivo il salario garantito. E' chiaro che tale obbiettivo vuole essere una risposta ai licenziamenti e alle sospensioni ed ha un significato reale nella misura in cui viene generalizzato e concretamente articolato nelle varie situazioni.

Il governo Andreotti e il nostro programma politico
Il governo Andreotti di centro-destra vuol essere una risposta dura dei padroni all'attacco che l'autonomia operaia sta portando in questi anni. I provvedimenti repressivi che hanno caratterizzato l'attuale governo li abbiamo tutti presenti: dalla riduzione degli aumenti ai pensionati, all'estensione massiccia della cassa integrazione, dall'attacco ai picchetti alle migliaia di denunce, alla riduzione degli spazi democratici di manifestazione ecc., all'attacco ai magistrati democratici, dall'aumento di contingenti di polizia alla presentazione della proposta di legge del fermo di polizia, fino alla licenza di uccidere per i poliziotti.
È chiaro che l'abbattimento del governo Andreotti, punta avanzata ed organizzata della repressione padronale, messo apposta per la stagione dei contratti, deve essere uno degli obbiettivi che la classe si deve porre.. Ma deve oltretutto essere ben chiaro alla coscienza operaia che qualsiasi governo verrà messo dai padroni, sia di centro-destra che di centro-sinistra, risponderà con gli stessi strumenti repressivi, quando la lotta di classe [minaccerà] i privilegi su cui regge il potere capitalistico. Il governo Andreotti ha de compiti da assolvere, compiti che rientrano nella necessità strategica del sistema: la ristrutturazione, il controllo della classe operaia nel momento della produzione, l'annientamento delle forze eversive, l'allineamento dei sindacati, sono necessità strategiche del sistema non un pallino di Andreotti. Qualsiasi governo dovrà assolvere a questi compiti, lo potrà fare in modo più o meno elegante ed efficiente, ma lo farà. Quindi la parola d'ordine "abbattere il governo Andreotti", rischia di fare confusione nell'essenziale punto precedente e di diventare un diversivo opportunistico, un falso obbiettivo politico. Inoltre, nel caso specifico dell'abbattimento del governo Andreotti, bisogna stare ben attenti a non dare spallate a una porta già aperta. Infatti, la valutazione che abbiamo dato circa la svendita dei contratti e delle forme di lotta aperte dai sindacati, in pieno accordo con i partiti della sinistra parlamentare, potrebbe prevedere già come contropartita da parte del potere, l'ipotesi del ritorno al centro-sinistra. In tal senso, agire da sollecitazione per la caduta del governo Andreotti senza mettere in discussione nel contempo, con la lotta, lo stesso sistema di produzione capitalistica, significa facilitare il gioco a quelle forze che mirano solo a portare la classe operaia da un ingabbiamento più rigido ad un ingabbiamento più riformista, senza però dare spazio all'alternativa rivoluzionaria.

L'antifascismo e la lotta di classe
In questo senso, tutta l'ipotesi a cui si da molto fiato in questi ultimi tempi, cioè di usare un discorso unitario e nello stesso tempo di lotta dura sulla base dell'antifascismo, come sollecitazione all'abbattimento del governo Andreotti, rischia di essere un obbiettivo fuorviante. Da una parte perché si sta dando al movimento tutta una caratterizzazione manifestaiola, che poi porta allo svuotamento del movimento stesso. Dall'altra, l'ipotesi della lotta unitaria, e nel contempo dura, alla fine diventa, per l'impostazione che si è data, sempre più unitaria e meno dura, e sempre più recuperabile dalle organizzazioni riformiste. Soprattutto, non si può fare di un obbiettivo che è parziale nella lotta di classe, il fulcro della stessa, rischiando di cadere nella trappola riformista. Non ci può essere una crescita di lotta antifascista se non parte concretamente e organicamente dalla situazione di classe e se non si articola in obbiettivi che siano nello stesso tempo anticapitalistici, cioè di attacco all'organizzazione del lavoro (contro la nocività, i ritmi, la produttività, le qualifiche) e della società (affitti, prezzi, trasporti, ecc.); e se non si esprime nelle forme proprie dell'illegalitarismo proletario. Quindi, nel [momento] in cui la situazione è effettivamente difficoltosa all'interno delle fabbriche, per la posizione frenante ormai frontalmente assunta rispetto alle lotte dal sindacato, stiamo ben attenti a non cadere in suggestive fughe manifestaiole, che poi sono bolle di sapone che si rompono al primo urto: frutto di questa tendenza è la direzione esterna e intellettualistica del movimento, che trova nei gruppi la propria tendenza organizzativa.

Caratterizzazione dell'organizzazione dell'autonomia operaia
Uno dei motivi per cui la lotta di fabbrica trova difficoltà ad esprimersi in tutta la sua durezza, deriva, oltre che dall'azione frenante dei sindacati, dalla sempre minor credibilità che le lotte del contratto vengono ad assumere agli occhi dei lavoratori. Dopo la lotta contrattuale del '69, e la notevole avanzata del movimento nelle fabbriche, con il conseguimento di conquiste considerevoli, si sono visti anche i limiti che tale lotta comporta dal momento in cui si è staccata dal contesto sociale. Ed è proprio sul terreno sociale che i padroni hanno avuto la loro rivincita, come dimostra il continuo aumento del costo della vita. Il sindacato cerca di recuperare l'esigenza della classe operaia di allargare la lotta sul terreno sociale, inserendosi con la sua ipotesi di lotta per le riforme di struttura, inseguendo il disegno della conciliabilità di interessi tra padroni e classe sfruttata nella via dello sviluppo capitalistico. Unico sbocco di tutto ciò è la collaborazione interclassista. Oggi le lotte contro il costo dei trasporti, per il diritto alla casa da conquistarsi con l'occupazione dei palazzi sfitti e con lo sciopero degli affitti, sono tutti momenti di lotta del proletario sul terreno sociale. È importante creare su questi momenti di attacco parziale e in forma diretta, fuori dalla fabbrica, degli organismi complessivi gestiti dalla base proletaria e collegati con le lotte in fabbrica, prendendo impulso proprio dalle attuali lotte contrattuali e come risposta al taglio sulla busta paga come conseguenza degli scioperi. Oggi, però, rischia di prodursi nuovamente la vecchia prassi, anche se in forme nuove e più attualizzate. Portatori di questa tendenza rischiano di farsi i gruppi rivoluzionari nella misura in cui riproducono la vecchia logica, quando cioè vogliono affidare agli organismi autonomi di massa un ruolo più economicista di subordinazione alla linea politica generale del gruppo stesso. La riproduzione del vecchio schema, anche se in forma nuova , [della separazione] tra lotta economica e lotta politica, tende a riportare verso l'integrazione il movimento, o verso un nuovo tipo di avventurismo, a seconda della linea di tendenza che più lo caratterizza: diventa avventurismo quando si sollecita lo sviluppo del movimento su linee sostanzialmente sindacaliste, mascherate da un opportuno linguaggio rivoluzionario, linee che fanno sostanzialmente leva su uno spazio legalitaristico, da allargare progressivamente rosicchiando sempre più terreno al sistema. In realtà, questa tendenza ottiene l'effetto di far spaventare i padroni e di impegnarli a dare una risposta repressiva molto dura che poi non trova il movimento di classe complessivamente preparato a reagire al livello di scontro deciso dai padroni. Anche con il privilegiare il momento politico-armato sul movimento di massa, facendosene falsamente interprete, si corre lo stesso rischio di far precipitare la repressione sulla classe non organizzata, al livello di scontro provocato dal medesimo gruppo rivoluzionario armato. In questo senso è giusto che gli organismi autonomi si muovano su una linea che unifichi la lotta politica e quella economica, facendosi carico complessivamente delle esigenze richieste dal livello di scontro della classe operaia, su tutto il terreno nel quale ci si muove, compreso quello dell'illegalismo proletario.

Contratto e lotte sociali
Lo sviluppo corretto dell'autonomia operaia deve muoversi su tre linee di tendenza:
1) La natura sempre anticapitalista e antiproduttivistica , cioè di attacco alla struttura del lavoro, degli obbiettivi che il movimento si pone.
2) Il terreno non legalitaristico, ma legato alle necessità di lotta che richiedono gli obbiettivi che ci poniamo, è condizionato solo alla coscienza del nostro rapporto di forza.
3) Lo sviluppo continuo della capacità di autogestione dello scontro, in tutti i suoi aspetti, condotto direttamente dalle stesse masse sfruttate. In questo senso gli organismi autonomi non debbono [assolvere un compito] di burocratica rappresentatività dell'autonomia operaia, quanto invece assolvere ad una funzione dialettica e di costante indicazione politica complessiva, e di accumulo organizzativo dell'azione rivoluzionaria rispetto al movimento.

Lotta di classe e azione diretta
Ogni processo rivoluzionario passa per la via dell'azione diretta. Le leggi attuali sono il frutto del consolidamento di una certa struttura sociale che si regge sul potere di una classe sull'altra, le cui condizioni di privilegio per essere mantenute hanno necessità di una forza violenta (polizia, magistratura, fascisti, ecc.) che ne mantengono il rispetto rigoroso contro chi sfruttato, si ribelli. All'interno di questa struttura viene concesso un margine di mobilità apparente (democrazia borghese) frutto delle lotte precedenti, il cui confine è quello di non mettere in discussione, non con le parole, ma con i fatti, le condizioni della classe privilegiata. Il movimento che non si propone il discorso dell'illegalità della lotta in senso strategico e non solo tattico, non potrà mai avere una funzione rivoluzionaria. Ecco che qui nasce l'altro aspetto dell'analisi, all'interno di chi ha accettato la via illegale non riformista, sulla violenza di massa o sulla violenza staccata dalla massa. Qui nessuno sarà mai disposto ha dichiarare che la violenza proletaria da lui esercitata è fuori dalle masse. Quindi, per verificare se si tratta di braccio armato o no, di auto-elezione abusiva a rappresentanti della lotta illegale proletaria o sua espressione naturale, bisogna darsi dei criteri di valutazione, di cui riaffermiamo il primo enunciato, che abbiamo sopra messo in evidenza: IL PROLETARIATO DEVE AGIRE NON NELLA CONVENZIONE DELLE LEGGI BORGHESI, MA NELLA CONVENIENZA DELLA PROPRIA LOTTA.
Per stabilire i criteri di giudizio sulla convenienza della lotta proletaria, ci basiamo sui seguenti principi: che l'azione susciti adesione, approvazione, partecipazione e riproduzione in seno alle masse; raggiungendo il fine di una maggiore radicalizzazione della coscienza rivoluzionaria. Che si unisca con il senso di giustizia e di proporzione quando si colpiscono gli effettivi responsabili della repressione operaia (non si rompe un uovo a martellate!). Che il danno provocato alla struttura padronale abbia una sua proporzione con la capacità, sia nel grado di coscienza che di organizzazione della classe operaia, di reagire e contrattaccare nuovamente alla risposta della repressione padronale. Che le eventuali azioni devono essere coordinate dall'azione politica generale, cioè devono essere interne allo scontro di classe, nel senso di essere utili e funzionali al conseguimento degli obbiettivi che sono il sostegno della lotta sia in senso tattico che strategico. È chiaro che da questo punto di vista il criterio con cui i compagni si fanno carico all'interno della situazione di classe, della capacità di muoversi sul terreno dell'azione diretta, non può essere niente che faccia riferimento ad un servizio d'ordine katanghese o di tipo "braccio armato".
Tutto deve essere riversato sulla capacità politica dei nuclei operai di sapere colpire nel momento buono, nella direzione giusta, secondo il polso e il grado di coscienza operaia, contro l'organizzazione capitalistica del lavoro e la sua struttura produttivistica, contro gli strumenti della repressione padronale.

Localismo o organizzazione generale
La possibilità di sviluppo degli organismi autonomi, con la funzione che correttamente faccia fronte alle necessità che l'autonomia operaia esprime, si deve basare su tre principi: la gestione della lotta nella fabbrica, in tutte le sue implicazioni, e fuori della fabbrica, attraverso collegamenti diretti, deve essere assicurata dalla capacità di direzione operaia. L'organismo autonomo deve saper saldare, negli obbiettivi, nei momenti organizzativi, nella linea strategica che ne consegue, la lotta economica con quella politica, rifiutando il riprodursi della separazione tipica delle organizzazioni operaie tradizionali, tutte naufragate nel riformismo, tra sindacato da una parte e partito dall'altra.
L'organismo autonomo deve diventare un momento centrale in cui, dall'interno della situazione di classe e sotto il diretto controllo della direzione operaia, si elabora e si verifica nello stesso tempo, la linea complessiva che deve tendere strategicamente ad opporsi al disegno del capitale, attaccandolo sul piano rivoluzionario.
E' chiaro che per poter svolgere correttamente questa funzione si debbano attuare collegamenti sempre più stabili tra i vari organismi autonomi delle fabbriche e del terreno sociale, che emergono dalle situazioni di classe. Questo collegamento [che] deve essere fatto sempre in forma diretta e non attraverso un gruppo politico specializzato in tal senso, contribuisce a quella crescita reciproca che da una parte ci fa maturare di contenuti nella singola situazione interna, dall'altro opera [per] una corretta omogeneizzazione verso una medesima linea di tendenza strategica. Forse questo progetto sarà più lungo di altri, ma siamo convinti che sia capace di costruire sul concreto. Il processo inverso, quello di far calare a priori la scelta di una linea strategica da parte di una struttura sostanzialmente esterna, caratteristica questa insita nel gruppo che sfugge al controllo e alla verifica della direzione operaia […], diventa astrazione dal processo rivoluzionario espresso dall'autonomia operaia.

Lotta economica e lotta politica
La separazione che le organizzazioni tradizionali della sinistra, quali il sindacato e il partito, riproducono tra lotta economica e lotta politica, divisione che abbiamo visto come porti ad una progressiva integrazione, era stata largamente messa sotto critica dalla rinascita del movimento rivoluzionario di questi anni. Oggi è matura la situazione perché, sullo slancio delle lotte contrattuali e per dare più ossigeno alle medesime, parta un programma di lotta su obbiettivi unificanti fra le varie categorie e per tutto il proletariato sul terreno sociale, aprendo una vertenza diretta contro lo stato. Questa piattaforma, deve avere le sue radici negli obbiettivi di fabbrica partendo dall'attacco alla produzione e dalla opposizione a trattare la contropiattaforma padronale, per impedire la divisione nelle trattative tra i padroni privati, i padroni di stato e i piccoli padroni, e bloccare ogni tentativo di far passare l'autolimitazione delle forme di lotta. Sul piano più specificatamente sociale, il programma deve andare avanti sulla base degli obbiettivi unificanti della lotta contro i prezzi, basandosi su richieste specifiche come la riduzione degli affitti per tutti, invece che la riforma della casa; il pagamento dei trasporti a carico dei padroni, l'eliminazione delle tasse sulla busta paga, il non pagamento delle bollette (luce, gas, ecc.). Sul piano degli obbiettivi più specificatamente contro il rafforzamento dello Stato, non deve passare la proposta del Fermo di Polizia e deve essere combattuta qualsiasi tendenza all'aumento della capacità repressiva della struttura statale (es. allontanamento dei tre magistrati milanesi che interpretavano in maniera corretta lo Statuto dei Lavoratori ). Portare avanti un simile programma significa anche porsi l'obbiettivo dell'abbattimento del governo Andreotti, ma su una base ben precisa di attacco anticapitalistico alla stessa struttura di sfruttamento.