Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

25 giugno 2010

Assemblee autonome. L'autonomia operaia e l'organizzazione


Introduzione. Alcune considerazioni sul documento delle assemblee autonome: “L’autonomia operaia e l’organizzazione” (1973)

Il documento che pubblichiamo, diffuso all'epoca in numerose copie, rappresentava un primo tentativo di indicazione programmatica per i compagni impegnati nel tentativo di dare all'autonomia operaia gli strumenti pratici e teorici per meglio esprimersi sfuggendo al controllo di gruppi e partiti politici. Il punto di riferimento principale nella costruzione di momenti di autorganizzazione, che all'epoca venivano, di norma, definiti "assemblee autonome", era che le modalità e gli obiettivi dell'intervento dovevano essere decisi all'interno delle situazioni stesse, da parte di coloro che erano i diretti interessati e protagonisti dello scontro di classe, coordinando le esperienze e le forze direttamente tra di loro per un programma più generale, senza alcuna subordinazione verso apparati o "intelligenze" esterne. Quando si facevano le assemblee di coordinamento degli organismi autonomi partecipavano anche esterni, interessati al progetto, che davano anche un sostegno dal punto di vista organizzativo e avevano la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, ma le decisioni orientative erano di competenza di coloro che facevano parte effettiva degli organismi autonomi.
I tre organismi autonomi, firmatari del documento che riportiamo, che avevano elaborato il progetto iniziale erano:
- il Comitato di Lotta Sit-Siemens (oggi Italtel), principalmente impegnato nel settore della costruzione delle centrali telefoniche, che era nato come evoluzione del Gruppo di studio operai-impiegati;
- l'Assemblea Autonoma della Pirelli che nasce da una spaccatura dell'originale Comitato Unitario di Base (CUB), che era stata una delle prime importanti esperienze di massa della contestazione operaia e che, successivamente, Avanguardia Operaia, con una pratica entrista, aveva trasformato in una propria cinghia di trasmissione e riprodotto in diverse altre aziende, attribuendo ai CUB un ruolo di “sinistra sindacale”;
- l'Assemblea Autonoma dell'Alfa Romeo che, in quel momento, grazie al proprio radicamento, esprimeva la forza maggiore.
Intorno a questo organismi autonomi, la cui importanza derivava soprattutto da quella delle fabbriche in cui si erano sviluppati, altri organismi autonomi di aziende minori e singoli militanti di vari luoghi di lavoro si aggregavano coordinando gli sforzi e dibattendo su comuni strategie di lotta.

Rapporto, a livello nazionale, con gli altri organismi autonomi

Fuori dall'area milanese furono presi contatti e stabiliti collegamenti con altre realtà, come l'Assemblea Autonoma di Porto Marghera, che aveva una dimensione territoriale ed era costituita in parte da militanti del Petrolchimico provenienti dall'esperienza del gruppo Potere Operaio , che si era sciolto, ma anche da realtà di altri luoghi di lavoro. Furono stretti rapporti anche con il Collettivo dell'ENEL e con quello del Policlinico di Roma, che in un secondo tempo avrebbero costituito la componente dell'area dell'Autonomia conosciuta come "i Volsci", dal nome della via in cui avevano la sede.
Il punto di incontro di queste realtà autonome in quel momento erano le lotte ed il loro sviluppo e, soprattutto, l'elaborazione dell'intervento costruito unicamente all'interno delle situazioni.
I contenuti del salario garantito, dell'egualitarismo salariale, della riduzione d'orario, del rifiuto della gerarchia del lavoro in fabbrica, assieme al collegamento con le lotte nel sociale, principalmente le occupazioni di case e l'autoriduzione degli affitti, erano gli obiettivi principali delle nostre lotte. Si fece un importante convegno a carattere nazionale a Bologna nel tentativo di collegare tutte le realtà autorganizzate nelle varie aziende, per creare un forte e visibile punto di riferimento generale. La partecipazione fu rilevante, il dibattito serrato, molti gli osservatori interessati nell'area del movimento. La volontà dell'area romana di stringere i tempi per una sterzata organizzativa che, sugli obiettivi della riduzione d'orario e del salario garantito, potesse agire da direzione della crescita di un movimento autorganizzato a livello nazionale, fu frenata dall'area degli organismi autonomi milanesi che vedevano in questa accelerazione un pericolo di burocratizzazione e di avanguardismo che rischiava di bruciare le tappe di una crescita articolata e veramente autonoma all'interno delle situazioni.
Quindi quel convegno non si concluse con quel salto organizzativo che alcune frazioni auspicavano.

Il rapporto degli organismi autonomi con i gruppi dell'estrema sinistra

- Avanguardia Operaia: operava nelle aziende attraverso i CUB. Non ci furono grandi rapporti se non quelli che si instauravano naturalmente durante le lotte all'interno delle aziende stesse. Si era, comunque, divisi dalla loro metodologia di intervento che li poneva su di un ristretto piano di sinistra sindacale.
- Potere Operaio: si era da poco sciolto proprio mentre nascevano i primi coordinamenti delle Assemblee Autonome. Da parte di diversi militanti e dirigenti di questo gruppo ci fu, inizialmente, un grande interesse che si concretizzò nella disponibilità ad un apporto organizzativo esterno e nell'assidua frequentazione delle riunioni, senza che però riuscissero ad assumere un ruolo di direzione esterna a causa delle premesse, già segnalate, su cui si basavano gli organismi autonomi. A poco a poco questi militanti si sganciano. L'area che fa riferimento a Toni Negri inizia un rapporto con il Gruppo Gramsci, presente soprattutto a Milano con militanti presenti nella sinistra sindacale, soprattutto FIM ma anche FIOM. Questo connubio determina una mutazione della linea politica del Gruppo Gramsci, che si scioglie, mentre una parte dei suoi militanti da vita ad alcuni collettivi di fabbrica, tra cui quello della FACE STANDARD e quello della stessa SIT-SIEMENS. Da questo percorso di collaborazione fra militanti ex P.O. ed ex Gruppo Gramsci nasce la pubblicazione "ROSSO", portavoce di uno dei principali gruppi dell'area dell'Autonomia che si sono costituiti in seguito.
- Lotta Continua: questo gruppo che, notoriamente, era una delle maggiori organizzazioni dell'estrema sinistra a livello nazionale, interveniva sui luoghi di lavoro direttamente attraverso i suoi nuclei e le sue sezioni. Ad un certo punto, dimostra un particolare interesse nei confronti delle Assemblee Autonome dell'area milanese ed inizia un percorso di confronto dal quale scaturisce un convegno operaio dei militanti di Lotta Continua a Bologna, convegno al quale viene richiesta la partecipazione degli organismi autonomi. Ai compagni degli organismi autonomi milanesi viene dato molto spazio e se ne mette in evidenza il ruolo e la funzione. Ne consegue un periodo di attiva collaborazione sui luoghi di lavoro. La direttiva per i militanti di Lotta Continua era quella di entrare negli organismi autonomi rinunciando all'intervento, nelle situazioni nelle quali si faceva questa scelta, come organizzazione specifica. Ma quando i dirigenti si accorgono che è molto difficile esercitare un controllo dall'alto sull'autonomia di tali organismi, si constata il ritiro dei militanti operai di Lotta Continua che riprendono l'intervento come organizzazione separata, anche se, comunque, rimarranno di norma buoni rapporti di collaborazione nelle fabbriche.

La lotta di classe arretra

L'autonomia di classe si trova ad essere sempre più schiacciata: da un lato continua il processo ristrutturativo come risposta del potere padronale, che si vale della complicità del PCI del compromesso storico e del sindacato dei sacrifici; dall'altro lato l'azione sempre più esterna e prevalente dei gruppi armati produce un clima di paura e fornisce gli strumenti per una repressione generalizzata.
Il quadro che si delinea toglie ossigeno all'autonomia di classe che si affloscia progressivamente. Inizia la stagione delle grandi svendite confederali che si protrae sino ad oggi, secondo l'impietosa legge del pendolo della storia. [Precari Nati]

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L'autonomia operaia e l'organizzazione
(Milano, febbraio 1973)

Documento di discussione proposto dall'Assemblea Autonoma della Pirelli-Alfa Romeo e dal Comitato di Lotta della Sit Siemens.

La contropiattaforma padronale
La contropiattaforma attorno alla quale si svolge oggi sostanzialmente lo scontro, rappresenta il contrattacco padronale alle lotte imposte dall'autonomia operaia in questi anni; rappresenta il suo progetto di ristrutturazione da imporre alla classe operaia; ha anche il significato di costringere il movimento dei lavoratori a lottare su posizioni di difensiva. Ma ci sbaglieremmo di grosso, se pensassimo che i punti avanzati dalla Confindustria nella contropiattaforma siano solo un atto di provocazione nei confronti del movimento operaio. Questi punti (regolamento dell'assenteismo; pieno utilizzo degli impianti, con turni a scorrimento delle festività; regolamentazione dello sciopero articolato e delle lotte aziendali) rappresentano il cardine di una linea strategica nella quale le forze padronali intendono muoversi e che già vuole ottenere dei risultati parziali, fin dai presenti contratti. Soprattutto, su tale linea padronale si vuole chiamare in causa, e lo si dice esplicitamente, la responsabilizzazione delle organizzazioni sindacali.

Sindacati e consigli di fabbrica
Le organizzazioni sindacali sono nella seconda fase del processo di integrazione.
La prima, che è rappresentata da tutto il periodo dal dopoguerra in poi, è la fase della ricostruzione nazionale dello sviluppo capitalistico. La seconda fase è quella in cui il sindacato deve impegnarsi più scopertamente in un ruolo di collaborazione con il piano di ristrutturazione capitalista e di sviluppo riformista.
L'attuale attacco duro delle forze padronali, con la contropiattaforma e il governo di centro- destra, ha lo scopo principale di sfrondare i sindacati e i partiti della sinistra operaia da quanto di ribellismo esista ancora in essi, e di costringere la classe operaia ad assumere una posizione di assoluta passività nei confronti del piano del capitale. Infatti, il sindacato, di fronte a questo attacco, contratta la piattaforma, si appella anch'esso alla produttività, costringe all'autolimitazione delle forme di lotta di classe operaia, proprio come richiesto dalle forze padronali. Contropartita di questa palese svendita dei contratti e delle forme di lotta, che la classe operaia si è conquistata in questi anni, non può che essere , come chiedono il sindacato e i partiti della sinistra parlamentare, la restaurazione del centro-sinistra, legata alla ripresa di un progetto di riforme che veda la sinistra parlamentare maggiormente coinvolta.

Ruolo del consiglio di fabbrica
L'ipotesi che il consiglio di fabbrica sia lo strumento dell'organizzazione di base che la classe operaia ha saputo imporre come espressione della crescita della propria autonomia, non la riteniamo esatta. È chiaro, invece, che di fronte alla spinta della base, alla crescita e allo sviluppo dell'autonomia operaia, che nelle sue fasi spontaneiste spesso sfuggiva al controllo dei vertici sindacali, questi sono stati costretti a cedere verso un modello di organizzazione più di base che però, nel contempo, desse loro maggiori possibilità di controllo sulla base stessa. Facendo un bilancio, dalla costituzione dei consigli fino ad oggi, non possiamo che constatare come essi siano sempre stati controllati dai vertici sindacali. Questi ultimi, li fanno funzionare quando sanciscono ciò che è già stato stabilito dalla propria linea e li bloccano non appena prevalgono istanze di base. Abbiamo visto come nel momento dell'elaborazione della piattaforma contrattuale dei metalmeccanici, tutta una serie di posizioni avanzate prevalse nei confronti delle maggiori fabbriche milanesi, siano state tagliate fuori nel momento conclusivo del convegno di Genova.
Lo vediamo con maggior chiarezza attualmente, quando di fronte alla decisione dei vertici sindacali di frenare le lotte, facendo prontamente marcia indietro ogni qualvolta il padronato attua le sue forme di repressione, lo strumento dei consigli di fabbrica resta pressoché impotente a far passare la posizione contrastante. Il guardare con religiosità al consiglio di fabbrica come al modello ideologico, unico punto di riferimento per l'organizzazione della classe operaia, significa, realisticamente, rimettersi al disegno dei vertici sindacali di espropriare di ogni potere decisionale le assemblee dei lavoratori e tutte le forme organizzative che direttamente esprimono le lotte dell'autonomia operaia. Il processo con cui si realizza e avanza l'organizzazione dell'autonomia operaia, deve essere inverso: deve partire dalla capacità operaia di decidere e attuare direttamente le forme di lotta e gli obbiettivi idonei a battere la linea del padronato. Occorre ridurre lo spazio ad ogni mediazione volta a castrare l'azione diretta della classe operaia. Questo non significa che non bisogna tener conto della realtà esistente dei consigli di fabbrica, ma che bisogna cercare di intervenire in questo spazio, quando è possibile, per far passare la linea espressa dalla base operaia. Si vuole però mettere in evidenza, quanto sia erroneo e castrante un atteggiamento di assoluta subordinazione dell'azione diretta operaia alle decisioni del consiglio di fabbrica. Semmai il processo deve essere inverso: cioè l'azione diretta operaia deve condizionare il consiglio e il sindacato. In tal senso la realizzazione dei comitati operai di reparto, collegati tra di loro nella fabbrica, espressione della volontà di base, alla quale debbono fornire gli strumenti di attuazione immediata, sono una indicazione fondamentale in questo momento.

Ristrutturazione e assenteismo
La ristrutturazione è la risposta del capitale alla lotta di classe; rappresenta anche l'adeguamento alle necessità dello sviluppo del capitalismo, come derivazione dell'unificazione di più monopoli e come necessità di conversioni di impianti, derivante dalla saturazione di certi mercati.
È chiaro che tutto questo processo, dal punto di vista padronale deve essere fatto sulla pelle dei lavoratori. La risposta della classe operaia a questo disegno del capitale si deve muovere su due direttive: una deve essere rappresentata dall'attacco alla struttura produttivistica dell'organizzazione del lavoro. Infatti, nel momento in cui la ristrutturazione viene usata per aumentare la produzione, determinando da un lato, l'aumento del carico di lavoro per una parte di operai, dall'altro la cassa integrazione e i massicci licenziamenti per un'altra parte, la migliore risposta deve essere quella di passare dalla fase dell'assenteismo (momento di legittima difesa individuale contro nocività e ritmi), ad una forma più politicamente cosciente di rifiuto del lavoro. Tale rifiuto deve essere realizzato attraverso una linea di non collaborazione permanente articolata nel rifiuto del cottimo, nella riduzione dei ritmi, nel rifiuto dei lavori nocivi. Deve nascere nell'operaio una vera e propria coscienza antiproduttivistica, in cui netta deve essere la demarcazione tra quelli che sono gli interessi di produzione e di profitto capitalistico e gli interessi della classe operaia. L'altro elemento della risposta operaia alla ristrutturazione, è il porsi come obbiettivo il salario garantito. E' chiaro che tale obbiettivo vuole essere una risposta ai licenziamenti e alle sospensioni ed ha un significato reale nella misura in cui viene generalizzato e concretamente articolato nelle varie situazioni.

Il governo Andreotti e il nostro programma politico
Il governo Andreotti di centro-destra vuol essere una risposta dura dei padroni all'attacco che l'autonomia operaia sta portando in questi anni. I provvedimenti repressivi che hanno caratterizzato l'attuale governo li abbiamo tutti presenti: dalla riduzione degli aumenti ai pensionati, all'estensione massiccia della cassa integrazione, dall'attacco ai picchetti alle migliaia di denunce, alla riduzione degli spazi democratici di manifestazione ecc., all'attacco ai magistrati democratici, dall'aumento di contingenti di polizia alla presentazione della proposta di legge del fermo di polizia, fino alla licenza di uccidere per i poliziotti.
È chiaro che l'abbattimento del governo Andreotti, punta avanzata ed organizzata della repressione padronale, messo apposta per la stagione dei contratti, deve essere uno degli obbiettivi che la classe si deve porre.. Ma deve oltretutto essere ben chiaro alla coscienza operaia che qualsiasi governo verrà messo dai padroni, sia di centro-destra che di centro-sinistra, risponderà con gli stessi strumenti repressivi, quando la lotta di classe [minaccerà] i privilegi su cui regge il potere capitalistico. Il governo Andreotti ha de compiti da assolvere, compiti che rientrano nella necessità strategica del sistema: la ristrutturazione, il controllo della classe operaia nel momento della produzione, l'annientamento delle forze eversive, l'allineamento dei sindacati, sono necessità strategiche del sistema non un pallino di Andreotti. Qualsiasi governo dovrà assolvere a questi compiti, lo potrà fare in modo più o meno elegante ed efficiente, ma lo farà. Quindi la parola d'ordine "abbattere il governo Andreotti", rischia di fare confusione nell'essenziale punto precedente e di diventare un diversivo opportunistico, un falso obbiettivo politico. Inoltre, nel caso specifico dell'abbattimento del governo Andreotti, bisogna stare ben attenti a non dare spallate a una porta già aperta. Infatti, la valutazione che abbiamo dato circa la svendita dei contratti e delle forme di lotta aperte dai sindacati, in pieno accordo con i partiti della sinistra parlamentare, potrebbe prevedere già come contropartita da parte del potere, l'ipotesi del ritorno al centro-sinistra. In tal senso, agire da sollecitazione per la caduta del governo Andreotti senza mettere in discussione nel contempo, con la lotta, lo stesso sistema di produzione capitalistica, significa facilitare il gioco a quelle forze che mirano solo a portare la classe operaia da un ingabbiamento più rigido ad un ingabbiamento più riformista, senza però dare spazio all'alternativa rivoluzionaria.

L'antifascismo e la lotta di classe
In questo senso, tutta l'ipotesi a cui si da molto fiato in questi ultimi tempi, cioè di usare un discorso unitario e nello stesso tempo di lotta dura sulla base dell'antifascismo, come sollecitazione all'abbattimento del governo Andreotti, rischia di essere un obbiettivo fuorviante. Da una parte perché si sta dando al movimento tutta una caratterizzazione manifestaiola, che poi porta allo svuotamento del movimento stesso. Dall'altra, l'ipotesi della lotta unitaria, e nel contempo dura, alla fine diventa, per l'impostazione che si è data, sempre più unitaria e meno dura, e sempre più recuperabile dalle organizzazioni riformiste. Soprattutto, non si può fare di un obbiettivo che è parziale nella lotta di classe, il fulcro della stessa, rischiando di cadere nella trappola riformista. Non ci può essere una crescita di lotta antifascista se non parte concretamente e organicamente dalla situazione di classe e se non si articola in obbiettivi che siano nello stesso tempo anticapitalistici, cioè di attacco all'organizzazione del lavoro (contro la nocività, i ritmi, la produttività, le qualifiche) e della società (affitti, prezzi, trasporti, ecc.); e se non si esprime nelle forme proprie dell'illegalitarismo proletario. Quindi, nel [momento] in cui la situazione è effettivamente difficoltosa all'interno delle fabbriche, per la posizione frenante ormai frontalmente assunta rispetto alle lotte dal sindacato, stiamo ben attenti a non cadere in suggestive fughe manifestaiole, che poi sono bolle di sapone che si rompono al primo urto: frutto di questa tendenza è la direzione esterna e intellettualistica del movimento, che trova nei gruppi la propria tendenza organizzativa.

Caratterizzazione dell'organizzazione dell'autonomia operaia
Uno dei motivi per cui la lotta di fabbrica trova difficoltà ad esprimersi in tutta la sua durezza, deriva, oltre che dall'azione frenante dei sindacati, dalla sempre minor credibilità che le lotte del contratto vengono ad assumere agli occhi dei lavoratori. Dopo la lotta contrattuale del '69, e la notevole avanzata del movimento nelle fabbriche, con il conseguimento di conquiste considerevoli, si sono visti anche i limiti che tale lotta comporta dal momento in cui si è staccata dal contesto sociale. Ed è proprio sul terreno sociale che i padroni hanno avuto la loro rivincita, come dimostra il continuo aumento del costo della vita. Il sindacato cerca di recuperare l'esigenza della classe operaia di allargare la lotta sul terreno sociale, inserendosi con la sua ipotesi di lotta per le riforme di struttura, inseguendo il disegno della conciliabilità di interessi tra padroni e classe sfruttata nella via dello sviluppo capitalistico. Unico sbocco di tutto ciò è la collaborazione interclassista. Oggi le lotte contro il costo dei trasporti, per il diritto alla casa da conquistarsi con l'occupazione dei palazzi sfitti e con lo sciopero degli affitti, sono tutti momenti di lotta del proletario sul terreno sociale. È importante creare su questi momenti di attacco parziale e in forma diretta, fuori dalla fabbrica, degli organismi complessivi gestiti dalla base proletaria e collegati con le lotte in fabbrica, prendendo impulso proprio dalle attuali lotte contrattuali e come risposta al taglio sulla busta paga come conseguenza degli scioperi. Oggi, però, rischia di prodursi nuovamente la vecchia prassi, anche se in forme nuove e più attualizzate. Portatori di questa tendenza rischiano di farsi i gruppi rivoluzionari nella misura in cui riproducono la vecchia logica, quando cioè vogliono affidare agli organismi autonomi di massa un ruolo più economicista di subordinazione alla linea politica generale del gruppo stesso. La riproduzione del vecchio schema, anche se in forma nuova , [della separazione] tra lotta economica e lotta politica, tende a riportare verso l'integrazione il movimento, o verso un nuovo tipo di avventurismo, a seconda della linea di tendenza che più lo caratterizza: diventa avventurismo quando si sollecita lo sviluppo del movimento su linee sostanzialmente sindacaliste, mascherate da un opportuno linguaggio rivoluzionario, linee che fanno sostanzialmente leva su uno spazio legalitaristico, da allargare progressivamente rosicchiando sempre più terreno al sistema. In realtà, questa tendenza ottiene l'effetto di far spaventare i padroni e di impegnarli a dare una risposta repressiva molto dura che poi non trova il movimento di classe complessivamente preparato a reagire al livello di scontro deciso dai padroni. Anche con il privilegiare il momento politico-armato sul movimento di massa, facendosene falsamente interprete, si corre lo stesso rischio di far precipitare la repressione sulla classe non organizzata, al livello di scontro provocato dal medesimo gruppo rivoluzionario armato. In questo senso è giusto che gli organismi autonomi si muovano su una linea che unifichi la lotta politica e quella economica, facendosi carico complessivamente delle esigenze richieste dal livello di scontro della classe operaia, su tutto il terreno nel quale ci si muove, compreso quello dell'illegalismo proletario.

Contratto e lotte sociali
Lo sviluppo corretto dell'autonomia operaia deve muoversi su tre linee di tendenza:
1) La natura sempre anticapitalista e antiproduttivistica , cioè di attacco alla struttura del lavoro, degli obbiettivi che il movimento si pone.
2) Il terreno non legalitaristico, ma legato alle necessità di lotta che richiedono gli obbiettivi che ci poniamo, è condizionato solo alla coscienza del nostro rapporto di forza.
3) Lo sviluppo continuo della capacità di autogestione dello scontro, in tutti i suoi aspetti, condotto direttamente dalle stesse masse sfruttate. In questo senso gli organismi autonomi non debbono [assolvere un compito] di burocratica rappresentatività dell'autonomia operaia, quanto invece assolvere ad una funzione dialettica e di costante indicazione politica complessiva, e di accumulo organizzativo dell'azione rivoluzionaria rispetto al movimento.

Lotta di classe e azione diretta
Ogni processo rivoluzionario passa per la via dell'azione diretta. Le leggi attuali sono il frutto del consolidamento di una certa struttura sociale che si regge sul potere di una classe sull'altra, le cui condizioni di privilegio per essere mantenute hanno necessità di una forza violenta (polizia, magistratura, fascisti, ecc.) che ne mantengono il rispetto rigoroso contro chi sfruttato, si ribelli. All'interno di questa struttura viene concesso un margine di mobilità apparente (democrazia borghese) frutto delle lotte precedenti, il cui confine è quello di non mettere in discussione, non con le parole, ma con i fatti, le condizioni della classe privilegiata. Il movimento che non si propone il discorso dell'illegalità della lotta in senso strategico e non solo tattico, non potrà mai avere una funzione rivoluzionaria. Ecco che qui nasce l'altro aspetto dell'analisi, all'interno di chi ha accettato la via illegale non riformista, sulla violenza di massa o sulla violenza staccata dalla massa. Qui nessuno sarà mai disposto ha dichiarare che la violenza proletaria da lui esercitata è fuori dalle masse. Quindi, per verificare se si tratta di braccio armato o no, di auto-elezione abusiva a rappresentanti della lotta illegale proletaria o sua espressione naturale, bisogna darsi dei criteri di valutazione, di cui riaffermiamo il primo enunciato, che abbiamo sopra messo in evidenza: IL PROLETARIATO DEVE AGIRE NON NELLA CONVENZIONE DELLE LEGGI BORGHESI, MA NELLA CONVENIENZA DELLA PROPRIA LOTTA.
Per stabilire i criteri di giudizio sulla convenienza della lotta proletaria, ci basiamo sui seguenti principi: che l'azione susciti adesione, approvazione, partecipazione e riproduzione in seno alle masse; raggiungendo il fine di una maggiore radicalizzazione della coscienza rivoluzionaria. Che si unisca con il senso di giustizia e di proporzione quando si colpiscono gli effettivi responsabili della repressione operaia (non si rompe un uovo a martellate!). Che il danno provocato alla struttura padronale abbia una sua proporzione con la capacità, sia nel grado di coscienza che di organizzazione della classe operaia, di reagire e contrattaccare nuovamente alla risposta della repressione padronale. Che le eventuali azioni devono essere coordinate dall'azione politica generale, cioè devono essere interne allo scontro di classe, nel senso di essere utili e funzionali al conseguimento degli obbiettivi che sono il sostegno della lotta sia in senso tattico che strategico. È chiaro che da questo punto di vista il criterio con cui i compagni si fanno carico all'interno della situazione di classe, della capacità di muoversi sul terreno dell'azione diretta, non può essere niente che faccia riferimento ad un servizio d'ordine katanghese o di tipo "braccio armato".
Tutto deve essere riversato sulla capacità politica dei nuclei operai di sapere colpire nel momento buono, nella direzione giusta, secondo il polso e il grado di coscienza operaia, contro l'organizzazione capitalistica del lavoro e la sua struttura produttivistica, contro gli strumenti della repressione padronale.

Localismo o organizzazione generale
La possibilità di sviluppo degli organismi autonomi, con la funzione che correttamente faccia fronte alle necessità che l'autonomia operaia esprime, si deve basare su tre principi: la gestione della lotta nella fabbrica, in tutte le sue implicazioni, e fuori della fabbrica, attraverso collegamenti diretti, deve essere assicurata dalla capacità di direzione operaia. L'organismo autonomo deve saper saldare, negli obbiettivi, nei momenti organizzativi, nella linea strategica che ne consegue, la lotta economica con quella politica, rifiutando il riprodursi della separazione tipica delle organizzazioni operaie tradizionali, tutte naufragate nel riformismo, tra sindacato da una parte e partito dall'altra.
L'organismo autonomo deve diventare un momento centrale in cui, dall'interno della situazione di classe e sotto il diretto controllo della direzione operaia, si elabora e si verifica nello stesso tempo, la linea complessiva che deve tendere strategicamente ad opporsi al disegno del capitale, attaccandolo sul piano rivoluzionario.
E' chiaro che per poter svolgere correttamente questa funzione si debbano attuare collegamenti sempre più stabili tra i vari organismi autonomi delle fabbriche e del terreno sociale, che emergono dalle situazioni di classe. Questo collegamento [che] deve essere fatto sempre in forma diretta e non attraverso un gruppo politico specializzato in tal senso, contribuisce a quella crescita reciproca che da una parte ci fa maturare di contenuti nella singola situazione interna, dall'altro opera [per] una corretta omogeneizzazione verso una medesima linea di tendenza strategica. Forse questo progetto sarà più lungo di altri, ma siamo convinti che sia capace di costruire sul concreto. Il processo inverso, quello di far calare a priori la scelta di una linea strategica da parte di una struttura sostanzialmente esterna, caratteristica questa insita nel gruppo che sfugge al controllo e alla verifica della direzione operaia […], diventa astrazione dal processo rivoluzionario espresso dall'autonomia operaia.

Lotta economica e lotta politica
La separazione che le organizzazioni tradizionali della sinistra, quali il sindacato e il partito, riproducono tra lotta economica e lotta politica, divisione che abbiamo visto come porti ad una progressiva integrazione, era stata largamente messa sotto critica dalla rinascita del movimento rivoluzionario di questi anni. Oggi è matura la situazione perché, sullo slancio delle lotte contrattuali e per dare più ossigeno alle medesime, parta un programma di lotta su obbiettivi unificanti fra le varie categorie e per tutto il proletariato sul terreno sociale, aprendo una vertenza diretta contro lo stato. Questa piattaforma, deve avere le sue radici negli obbiettivi di fabbrica partendo dall'attacco alla produzione e dalla opposizione a trattare la contropiattaforma padronale, per impedire la divisione nelle trattative tra i padroni privati, i padroni di stato e i piccoli padroni, e bloccare ogni tentativo di far passare l'autolimitazione delle forme di lotta. Sul piano più specificatamente sociale, il programma deve andare avanti sulla base degli obbiettivi unificanti della lotta contro i prezzi, basandosi su richieste specifiche come la riduzione degli affitti per tutti, invece che la riforma della casa; il pagamento dei trasporti a carico dei padroni, l'eliminazione delle tasse sulla busta paga, il non pagamento delle bollette (luce, gas, ecc.). Sul piano degli obbiettivi più specificatamente contro il rafforzamento dello Stato, non deve passare la proposta del Fermo di Polizia e deve essere combattuta qualsiasi tendenza all'aumento della capacità repressiva della struttura statale (es. allontanamento dei tre magistrati milanesi che interpretavano in maniera corretta lo Statuto dei Lavoratori ). Portare avanti un simile programma significa anche porsi l'obbiettivo dell'abbattimento del governo Andreotti, ma su una base ben precisa di attacco anticapitalistico alla stessa struttura di sfruttamento.


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