Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

* * *

«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

* * *

«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

30 giugno 2010

Rapporto da Mosca

di Otto Rühle (1920)*


[Tratto da Denis Authier - Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981; pubblicato originariamente in “Der Kommunist”, n.37, settembre 1920](1)

I

Viaggiai illegalmente verso la Russia. La vicenda fu difficile e piena di pericoli, tuttavia ebbe buon esito. Il 16 giugno mettevo piede sul suolo russo, il 19 ero a Mosca.
La partenza dalla Germania era stata precipitosa. Su invito di Mosca, il KAPD(2) aveva inviato, in aprile, due compagni quali negoziatori all’Esecutivo, con lo scopo di discutere l’adesione del KAPD alla III Internazionale. Si seppe, ad un certo momento, che i due compagni erano stati arrestati in Estonia, durante il viaggio di ritorno. Si trattava quindi di riprendere immediatamente le trattative e di portarle a termine e, eventualmente, di fare un rapporto al KAPD ancora prima del congresso, in modo da poter avere da esso informazioni per il congresso stesso. Il tutto nella massima fretta, dato che il congresso doveva iniziare già il 15 giugno.
Una volta arrivato in Russia, constatai che la notizia dell’arresto dei due compagni era falsa. Essi erano in viaggio di ritorno partendo da Murmans, quindi attraverso la Norvegia verso la Germania. Appresi, inoltre, che il congresso sarebbe iniziato non il 15 giugno, bensì il 15 luglio.
Meno rallegranti furono le altre constatazioni (...); essi non erano (...) stati all’altezza della diplomazia e dello strapotere politico dell’Esecutivo di Mosca. Inoltre, in importanti questioni di partito, essi avevano ceduto alle pressioni esercitate su di essi ed avevano fatto concessioni che – mi fu chiaro sin dal primo momento – mi era impossibile coprire. Su singoli punti essi avevano abbandonato completamente l’ottica il cui mantenimento il KAPD aveva considerato particolarmente importante. In più – e questo è decisamente ancora più enorme! – essi si erano impegnati per iscritto ad intervenire a favore dell’espulsione dei compagni Laufenberg, Wolffheim(3) e Rühle dal KAPD. Ed a questo proposito essi non hanno voluto assolutamente sentire il mio parere poiché, in quanto autore dell’opuscolo Dresdner Revolution, ero stato accusato da Mosca di aver messo in atto degli intrighi pericolosi per il partito. Quindi: condanna a morte dell’imputato senza nemmeno averlo interrogato prima! Ed era pur sempre una concessione!
Il mio primo colloquio con Radek(4) fu, obiettivamente, uno scontro. Durato ore e ore. A volte molto acceso. Ogni frase di Radek era una frase della Rote Fahne(5). Ogni sua argomentazione, un’argomentazione spartachista. Radek è praticamente il signore e padrone del KPD(6). Il dottor Levi(7) e consorte sono i suoi docili pappagalli. Essi non hanno alcuna opinione propria e vengono pagati da Mosca.
Io cercai di farmi consegnare da Radek la Lettera Aperta indirizzata al KAPD. Egli me lo promise senza peraltro mantenere la parola. Glielo ricordai ripetutamente e glielo feci ricordare, senza ottenerla. Quando, in seguito, appresi che anche i due compagni, che avevano condotto i negoziati, erano venuti a conoscenza della Lettera Aperta solo all’ultimissimo momento precedente la loro partenza, allora mi fu chiaro, sul piano psicologico, tutto il comportamento di Radek; lui, il più scaltro ed il più privo di scrupoli degli individui provava, dinanzi alle perfide menzogne ed agli spudorati insulti dei quali proprio la Lettera Aperta abbonda, una sorta di vergogna, al punto che gli appariva come un reale spauracchio doversi trovare faccia a faccia e rendere conto di tutto ciò alle persone insultate e calunniate.
I metodi che ho avuto modo di vedere applicati a Mosca provocarono la mia più violenta ripugnanza. Ovunque osservai: cambiamenti di scena politici, basati sul bluff, in modo da poter mascherare, [al di là di] un’appariscente scena rivoluzionaria, la realtà opportunistica che vi sta dietro. Mi sarebbe piaciuto estremamente abbandonare tutto ciò e partire. Decisi tuttavia di rimanere finché non fosse arrivato il secondo delegato, il compagno Merges di Braunschweig.
Approfittai di questo periodo per fare degli studi.
In primo luogo girai Mosca guardandomi bene attorno, per lo più senza un accompagnamento ufficiale, in modo da poter vedere anche quello che, dall'alto, non era destinato ad essere visitato. Intrapresi quindi un lungo viaggio automobilistico verso Kashira ed un altro viaggio verso Niznj-Novgorod, Kazan, Simbirsk, Samara, Saratow, Tambow, Tula etc., conoscendo cosi le principali località della Russia centrale. Una massa di impressioni, più deprimenti che rallegranti. La Russia soffre di tutti i mali in tutte le sue parti. E come potrebbe, del resto, essere altrimenti? Molto si potrebbe raccontare, ma l’esempio di Crispien e Dittmann(8) non mi incita ad imitarli. A chi è servito, infatti? Solo ai nemici del comunismo. Ma tutte queste deficienze e questi inconvenienti non sono una prova contro il comunismo. Al massimo possono parlare contro i metodi e la tattica della Russia attuati nel tentativo di realizzare il comunismo. Ma a questo proposito è necessario polemizzare, ed in modo completamente diverso, con i compagni russi.

II

(...) Il principio per essi basilare del centralismo è stato dai bolscevichi così conseguentemente sviluppato e, alla fine, spinto all'estrema conseguenza che ha portato all'ipercentralismo. E questo i bolscevichi non l’hanno certo fatto per sfizio o per il gusto di esperimenti. È la rivoluzione che li ha costretti a ciò. E se oggi i difensori tedeschi della forma organizzativa di partito si indignano e tentano di esorcizzare gli aspetti dittatoriali e terroristici degli avvenimenti russi, non manca certo loro il materiale di cui discutere. Se essi si trovassero al posto del governo russo, dovrebbero agire allo stesso identico modo. Ed una volta il potere nelle loro mani, essi sarebbero altrettanto privi di scrupoli e brutali che i loro compagni russi, tuttavia senza il loro animo e senza la loro energia. Ciò che in Russia appare come una caricatura è la conseguenza di un sistema sbagliato perché storicamente superato. Il centralismo è il principio organizzativo dell’era capitalistico-borghese. Sulla sua base è possibile costruire lo stato borghese e l'economia capitalistica. Non però lo stato proletario e l'economia socialista. Per essi è necessario il sistema consigliare. In Russia i consigli sono ormai solo delle ombre. Una foglia di fico per la burocrazia della dittatura di partito. Ed appoggiandosi alla burocrazia, la Russia perviene solo ad una caricatura politica ed economica del comunismo. Ad un comunismo di stato rozzo, sterile ed insopportabile, e ad una rozza, sterile ed insopportabile schiavitù di stato.
Come arrivano i compagni russi all'errore? Essi sono prigionieri della fede nella forma partito. Essi vedono nel partito lo strumento della rivoluzione e dell’edificazione socialista. Ma il partito – quale forma organizzativa – è l'incarnazione del principio centralistico. Questa è la causa originaria dell'errore. Questa è la causa prima e più profonda dello stravolgimento della tattica. E qui bisogna colpire se si vuole combattere l'ipercentralismo ed in tal modo il centralismo tout court.
Per il KAPD – in totale contrasto con Mosca – la rivoluzione non è affare di partito(9), il partito non è un'organizzazione autoritaria strutturata dall’alto verso il basso, il capo non è un superiore in una gerarchia militare, la massa non è una truppa condannata ad una disciplina totale e passiva, la dittatura non è il dispotismo di una cricca di capi, il comunismo non è il trampolino per l'ascesa di una nuova borghesia sovietica.
Per il KAPD, la rivoluzione è il problema di tutta la classe proletaria, all’interno della quale il partito comunista costituisce solamente l'avanguardia più matura e decisa. Il KAPD non si attende l'emancipazione della massa e la sua elevazione alla maturità politica di questa avanguardia attraverso la tutela dei capi, la disciplina e la regolamentazione. Al contrario: in un proletariato avanzato come quello tedesco, questi metodi sortiscono il risultato diametralmente opposto. Essi soffocano l’iniziativa, paralizzano l'attività rivoluzionaria, menomano la forza combattiva ed affievoliscono il senso di responsabilità. Qui si tratta di lasciare libero corso all’iniziativa delle masse, di emanciparle dall'autorità, di sviluppare la loro coscienza di sé, di formare la loro autonomia d’azione e di accrescere in tal modo la loro partecipazione alla rivoluzione. Ogni combattente deve sentire e sapere per che cosa egli combatte, perché combatte e in nome di chi. Ciascuno, nella propria coscienza della lotta, deve divenire un attivo fautore della lotta rivoluzionaria ed un elemento creativo dell'edificazione comunista. Ma la libertà a ciò necessaria non verrà mai acquisita all’interno del sistema coercitivo del centralismo, nelle strette del dominio burocratico-militare, sotto la pressione di una dittatura di capi e fra gli intralci degli ineluttabili fenomeni concomitanti: arbitrio, culto della personalità, autoritarismo, corruzione, violenza. Perciò: trasformazione del concetto di partito nel concetto di una comunità federativa nel senso del pensiero consigliare. Perciò: sostituzione del legame e della costrizione esterna con l’adesione e la disponibilità intime. […]
Il KAPD è pervenuto a questo modo di vedere attraverso la semplice costatazione di una circostanza estremamente ovvia. Ogni paese ed ogni popolo, possedendo una loro specifica economia, una struttura sociale, tradizione e maturità del proletariato, vale a dire specifiche premesse e condizioni rivoluzionarie, devono anche possedere delle proprie rivoluzionarie leggi, metodi, scadenze, e forme fenomeniche. La Russia non è la Germania, la politica russa non è la politica tedesca e la rivoluzione russa non è la rivoluzione tedesca. Perciò nemmeno la tattica della rivoluzione russa può essere la tattica della rivoluzione tedesca. Lenin può dimostrare cento volte che la tattica dei bolscevichi si è brillantemente affermata nella rivoluzione russa – ciò non servirà, né ora né per molto tempo ancora, a creare la giusta tattica della rivoluzione russa. Ogni tentativo di imporci questa tattica deve trovare da parte nostra la più decisa reazione di difesa.
Mosca attua questo tentativo terroristico. Essa vuole erigere il suo principio a principio della rivoluzione mondiale. Il KPD è il suo agente. Esso lavora secondo ordini russi e secondo uno schema russo. Esso è il ripetitore di Mosca. E poiché il KAPD non vuole contribuire a svolgere questo ruolo da eunuchi, ma possiede anzi una propria idea precisa, allora diviene oggetto di un odio mortale. È sufficiente leggere le oltraggiose ingiurie, le velenose menzogne ed i sospetti con i quali veniamo combattuti – senza il minimo riguardo per la situazione rivoluzionaria nella quale ci troviamo e per gli effetti che questa infame pratica può provocare presso i nostri avversari borghesi. Il dottor Levi ed Heekert sono costretti a lanciarci contro tutte le argomentazioni che Radek e Zinoviev fanno scivolare loro nelle mani. È per questo che sono pagati i due spregevoli individui. Ma poiché il KAPD, nonostante tutto, non si lascia abbattere, è quindi necessario che esso venga costretto dal Congresso della III Internazionale a piegarsi alle imposizioni di Mosca. Tutto era stato eccellentemente preparato. La ghigliottina era stata eretta. Con aria soddisfatta, Radek verificò il taglio della lama. E già l’alta corte aveva preso posto. Doveva essere veramente una grande scena. Per lo meno così se l’era immaginata l’esecutivo. Troppo bella per arrivare a realizzazione.
Crispien e Dittmann riferiscono della miseria degli operai tedeschi emigrati, delle disastrose condizioni delle fabbriche russe, dell’avversione e dell’incapacità del popolo russo verso il lavoro, dell'incapacità dell’amministrazione russa di arrivare a controllare, per mezzo di iniziative e disposizioni, la crescente trascuratezza dell’organismo economico. Essi riferiscono inoltre dell’antisocialista politica contadina, del sistema della coercizione di stato, dell'insopportabile e malefica burocratizzazione e militarizzazione dell’amministrazione, dell’economia, del partito etc. Essi dipingono a fosche tinte un quadro estremamente tetro.
Si rimarrà sorpresi e meravigliati se, in opposizione a tutto questo, si leggerà il libro di Alfons Goldschmidt, Moskau 1920. Qui i medesimi fatti appaiono completamente diversi. Ed in altre relazioni essi assumono tinte ed aspetto ancora diversi. A1 momento, una folla di persone viene sospinta da tutti i paesi verso la Russia allo scopo di studiare la situazione russa e di scriverci sopra.
Politici e letterati, comunisti e socialdemocratici, rivoluzionari e pacifisti, teorici e pratici, cooperativisti e sindacalisti, ciechi e non ciechi, pochi intenzionati seriamente a dare una mano e molti, molti parassiti. Ognuno di essi porta con sé diverse premesse e misure, diverse illusioni, diverse disposizioni di spirito e di mente, diverse intenzioni e diversi obiettivi. In tal modo, ogni relazione finisce per essere radicalmente diversa. Il libro di Goldschmidt, ad esempio, si intrattiene in modo del tutto inaudito non solamente con la lingua tedesca, bensì anche con la verità. Esso brulica di inesattezze e la tendenza ad incensare e ad adulare è, nella sua assoluta inopportunità, totalmente disgustosa. Al contrario, i fatti riferiti da Crispien e Dittmann sono nel complesso degni di fede. Certo, su questi stessi fatti si potrebbero fare molte altre affermazioni e molto peggiori.
Ma – e questo mi sembra essere il primo interrogativo e la prima obiezione — è proprio importante giudicare la situazione russa e quindi questi fatti? Che il popolo russo è afflitto da una terribile amnistia, lo sappiamo; e come potrebbe, del resto, essere altrimenti dopo tanti paurosi anni di guerra, di blocco, di rivoluzione e controrivoluzione? Che esso patisca enormemente per il freddo e per la carenza di abiti, calzature, sapone, articoli industriali etc., lo sappiamo. E ci è anche noto che il popolo russo è pigro per natura e che solo con l’uso di argomenti draconiani è possibile costringerlo al lavoro. Non solo, ma siamo anche al corrente del fatto che il governo russo, nel tentativo di evitare il quasi irrimediabile crollo economico e politico, è costretto a por mano a tali strumenti draconiani quali l’obbligo del lavoro, la violenza, la militarizzazione. È quindi facile comprendere come [gli] operai tedeschi, i quali abbagliati e resi ciechi di fronte alla realtà, speravano di trovare in Russia un vero paradiso, dinanzi alla tetra realtà della generale miseria sparsa per la Russia si sentono ora mortalmente infelici e vogliono ritornare a casa. Ma che cosa devono poi dimostrare tutti questi fatti? Che cosa vogliono dimostrare con essi Crispien e Dittmann?
Per l’opinione pubblica borghese queste relazioni devono servire a dimostrare che il comunismo è follia, è pazzia, o per lo meno un sistema economico completamente sbagliato, che esso non porta al lavoratore la promessa liberazione ed emancipazione dal bisogno, e che quindi l'umanità si deve ben guardare da esso. Il borghese vede in questi rapporti la conferma della sua politica antisocialista, delle sue tendenze controrivoluzionarie. Se è vero ciò che gli stessi Crispien e Dittmann oggi sono costretti ad ammettere, e precisamente che il popolo russo è stato cacciato in una sciagura indicibile, questa è una conseguenza necessaria dell’autoconservazione, della legittima difesa, del tentativo di salvarsi dalla fine – si dice la canaglia borghese –, ed ora la rivoluzione viene sconfitta, il movimento comunista viene soffocato, gli agitatori comunisti vengono abbattuti con una fucilata o mandati in carcere. E i compagni dell’USPD(10) vorrebbero appoggiare, con le loro relazioni, una simile argomentazione? Vorrebbero essere i soci dei Kautsky, Hilferding e consorti, manutengoli della controrivoluzione? Vorrebbero, con la loro tattica, dare una continuazione a quella fino ad ora praticata, pugnalando alle spalle l’azione del fronte proletario con trattative, compromessi e dilazioni?
Gli uomini dell’USPD ci assicurano di non voler questo. Essi non possono comunque contraddire il fatto che il loro comportamento ha questo effetto, che essi sono di fatto servitori della controrivoluzione. Come tutta la loro politica, anche il resoconto dalla Russia sfocia in un effetto controrivoluzionario. In tal modo le loro relazioni diventano delle azioni criminose, delle azioni da guardia bianca, infami complotti contro la rivoluzione ed il comunismo.
Secondo il loro pensiero – e questa è la seconda questione – a che cosa mirano i resoconti dell’USPD con le relazioni dalla Russia? Qual è il loro obiettivo? Quale meta li attira? Essi vogliono illuminare criticamente il centralismo ed il terrorismo della tattica russa, vogliono bollare col fuoco a dovere la dittatura di una piccola schiera di capi e l’inetta onnipotenza del sistema burocratico dimostrando la sua assoluta incapacità con innumerevoli insuccessi. Essi credono di essere autorizzati a ciò dal semplice fatto che la III Internazionale è in procinto di imporre all’USPD la tattica russa.
A questo proposito bisogna dire quanto segue: la questione se la tattica del più duro centralismo, attuata in Russia dal governo sovietico – la quale culmina in una militarizzazione e in un terrorismo diffusi in tutta la vita statale, politica ed economica, insopportabili per il sentimento di un tedesco – sia corretta o meno nell’ambito della situazione russa, non è possibile che venga risolta da noi, perlomeno non qui dalla Russia. La situazione russa è cosi peculiare e cosi abnorme, i compagni russi sono venuti a trovarsi, fin dall’inizio del loro dominio, in una storica situazione forzata così terribile ed atroce che, secondo la mia idea, la tattica dai essi messa in atto non può essere definita né buona né cattiva, ma è stata anzi per essi l’unica possibile, l’unica pensabile, l’unica adottabile. E su questo problema non è il caso che ci scervelliamo. La tattica russa è in primo luogo una faccenda relativa ai compagni russi. E di ciò i compagni russi sono responsabili verso il loro proletariato, verso gli altri compagni socialisti e verso la storia mondiale.
Certo, dicono Crispien e Dittmann, questo è anche il nostro punto di vista. Tuttavia i compagni russi tentano di imporre con la forza la loro tattica al proletariato tedesco. E contro ciò noi dobbiamo combattere. Infatti, tentare di portare a compimento la rivoluzione tedesca con una tattica russa, ci sembra una sciagura ed un crimine contro cui il proletariato tedesco deve lottare con decisione.
A questo bisogna dare una risposta: se l’USPD si crede chiamato a combattere contro la tattica del centralismo e del burocratismo, contro lo spirito della dittatura deii capi e dei bonzi, in tal caso esso dovrà iniziare questa lotta in primo luogo in casa propria e nella situazione che gli è propria. La tattica russa, infatti, altro non è che la tattica tedesca dell’USPD tradotta in russo. L’USPD denuncia il suo proprio sistema, bolla il suo proprio metodo politico e condanna la sua propria politica rivoluzionaria con ogni parola e con ogni frase che esso ha indirizzato contro la Russia sovietica. Esso non ha in nessun caso il diritto, né morale né politico, di ergersi a giudice dei compagni russi. La [sua] organizzazione è costruita sugli stessi principi. La [sua] burocrazia di partito è altrettanto arrogante, altrettanto onnipotente ed altrettanto impotente di quella russa. La [sua] direzione professionale non differisce in niente da quella russa. La [sua] politica delle istanze, il [suo] terrore spirituale, il [suo] insistere su autorità e disciplina, tutta la [sua]o gerarchia di bonzi, in tutte le diverse gradazioni reperibili nel [suo] ripugnante allevamento – tutto ciò è spirito dello stesso spirito, carne della stessa carne, di quella stessa Russia, cioè, che ora viene condannata fin dalla radice.
Ma perché viene condannata tanto drasticamente? Perché in Russia tutte queste forme fenomeniche del sistema autoritario sarebbero maggiormente sviluppate, perché i capi del partito russo sarebbero più scaltri, più energici e maggiormente privi di scrupoli, perché il dispotismo dei bonzi russi – ora trasportato anche in territorio tedesco – potrebbe porre velocemente fine al limitato, vile, infame ed indeciso dispotismo dei bonzi dell'USPD. È il terrore di ricevere la meritata pedata nella schiena che mette nella penna di questi mammalucchi simili relazioni sulla Russia. Essi vogliono aizzare i loro compagni contro la Russia, vogliono seminare la diffidenza, diffondere sentimenti ostili allo scopo di impedire l’adesione alla III Internazionale, in modo che essi possano mantenere i loro posti, non rischiare di perdere le loro cariche, non vedere menomato il loro influsso politico, in modo da continuare ad essere essi stessi dei bonzi. E’ una pietosa ipocrisia, un pietoso egoismo quello che si manifesta nelle relazioni dei Crispien e Dittmann, pietosa demagogia di individui che muovono solo a pietà.
Anche il KAPD è nemico della tattica russa. Certo, noi siamo i suoi unici e reali oppositori poiché noi la respingiamo, per la Germania, non solo con le parole ma anche con i fatti. Noi la rifiutiamo con tutte le sue conseguenze. Per questo motivo abbiamo smesso di essere un partito, nel senso tradizionale del termine, abbiamo rotto con il sistema dei capi di professione, abbiamo abbandonato il centralismo come principio della tattica politica, abbiamo totalmente rigettato il sistema rappresentativo proprio del parlamentarismo, e perciò combattiamo la politica della direzione sindacale, centralistico-burocratica e perciò necessariamente controrivoluzionaria. Se si è nemici della tattica russa, bisogna combatterla non tanto in Russia, quanto piuttosto in Germania, all’interno del proprio partito, in casa propria.
Se l'USPD dovesse arrivare, in Germania, al governo,conseguentemente alla sua concezione dell'organizzazione ed alla sua complessiva concezione tattica, esso finirà per governare esattamente secondo il modello russo. Forse con un centralismo ed un burocratismo leggermente addolciti, all’europea, ma certamente non senza le ineliminabili conseguenze dell’arbitrio, della corruzione, del disastro e del finale fallimento. Esso non sarebbe comunque assolutamente in grado di realizzare ciò che esso oggi proclama come antitesi della tattica russa: lo sviluppo, cioè, della personalità e della coscienza del proletariato in modo che l’intera massa proletaria svolga un ruolo attivo nel senso della propria emancipazione. Sulle sue (dell’USPD, ndt) labbra, queste espressioni non sono che frasi demagogiche. Fintantoché esso stesso rimane un partito a struttura centralistica, finché pratica una politica elitaria, bazzica il parlamento e collabora alla politica controrivoluzionaria delle centrali sindacali, fintantoché esso alleva nelle sue file una schiera di capi e di bonzi e, nello stesso tempo, combatte e respinge la tattica del KAPD, fintantoché tra il suo ed il sistema russo continuerà a non sussistere alcuna differenza sostanziale, esso non ha alcun diritto, né politico né morale, di rivolgere alcuna critica alla Russia dei Soviet. In questo senso, condannando la Russia, l’USPD non fa che condannare se stesso.

NOTE:
* Nell'ottobre 1920 Rühle sarà espulso dal KAPD, a causa di disaccordi circa l'opportunità di entrare a far parte della III Internazionale. L'anno successivo sarà tra gli animatori della cosiddetta organizzazione unitaria (AAUD-E)
(1) La traduzione del seguente articolo – la cui storia e [le] vicende connesse sono ampiamente esposte nel capitolo 16 del presente testo [Denis Authier - Jean Barrot, La sinistra comunista in Germania] – è stata condotta sulla fotocopia eseguita su un originale presso l’International Institut voor Social Geschiedenis di Amsterdam, gentilmente fornitaci dagli autori del testo francese.
Esistono tuttavia delle perplessità: il salto nella continuità del discorso fa supporre che alcune righe dell’originale siano del tutto assenti nella fotocopia. Inoltre, mancano evidentemente le fotocopie di una o più pagine (di giornale) dato che la seconda pagina (fotocopiata) inizia con la chiusura di un paragrafo evidentemente iniziato più sopra e non presente nella pagina precedente. Il capitolo 16 riporta, alle pagine 101 e 102, la traduzione quasi completa della sola prima pagina delle due (fotocopiate) del giornale. A pagina 102, inoltre, vengono riportate le seguenti frasi, evidentemente tradotte dall'originale tedesco, ma che mancano nella fotocopia a nostra disposizione:
«La dittatura dei bolscevichi è la dittatura del 5 per cento di una classe sulle altre classi e sul 95 per cento della propria classe...».
«... associazione, l’IC, nella quale si accettano persone che hanno la responsabilità del terrore praticato da un partito sull'intero popolo russo».
«Gli operai russi sono ancora più asserviti, oppressi, sfruttati degli operai tedeschi...». [ndt]
(2) KAPD, Partito comunista operaio di Germania. [lmjf]
(3) Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim furono i principali animatori, ad Amburgo, della corrente nazional-bolscevica, che sarà effettivamente espulsa dal KAPD di lì a poco. Cfr. Note sul “nazional-bolscevismo”, di prossima pubblicazione sulle pagine di questo blog. [lmjf]
(4) Karl Radek (1885-1939): di origine polacca, bolscevico, attivo nel movimento rivoluzionario tedesco tra il 1918 e il 1920, anno in cui viene eletto alla carica di segretario della III Internazionale. Entra a far parte dell'Opposizione di sinistra nel 1923. Nel 1927 viene espulso dal Partito russo. Morirà assassinato in un campo di lavoro nel 1939. [lmjf]
(5) Organo di stampa della Lega Spartaco, prima, e della direzione spartachista del KPD, poi. [lmjf]
(6) KPD, Partito Comunista di Germania, fondato nel gennaio 1919 in seguito alla rottura della Lega Spartaco con l'USPD (cfr. nota 9) e alla sua unificazione con la sinistra comunista (IKD, Comunisti internazionalisti di Germania). Nonostante la sinistra antiparlamentare e antisindacale sia maggioritaria, la direzione del partito sarà controllata sin dall'inizio dalla “destra” spartachista. [lmjf]
(7) Paul Levi (1883-1930), segretario del KPD tra il 1919 e il 1921. [lmjf]
(8) Wilhelm Dittman e Arthur Crispien, esponenti dell'USPD (cfr. nota 9), [lmjf]
(9) La rivoluzione non è affare di partito! è il titolo di un celebre articolo di Otto Rühle, risalente al medesimo periodo. 
(10) USPD: Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania, fondato nell'aprile 1917 in seguito all'espulsione dallo SPD dell'opposizione di sinistra, contraria alla guerra. Gli spartachisti (Luxemburg, Levi, Pieck etc.) aderiscono al nuovo partito come gruppo autonomo. Duplicato di sinistra dello SPD ed espressione tedesca di ciò che Lenin definisce “centrismo”, l'USPD, “conformemente al suo dualismo è il partito di tutti i compromessi, che nel momento in cui un'azione viene ripresa o lanciata dalla sua ala sinistra, la negozia non appena appare pericolosa per l'ordine stabilito” (Jean Barrot, Denis Authier, La sinistra comunista in Germania, Salamandra, Milano, 1981). [lmjf]

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