Invece di discutere
il marxismo in generale, propongo di trattare subito alcuni dei punti
più concreti e qualificanti della teoria e della pratica marxista.
Solo un approccio di questo tipo è coerente con il principio del
pensiero marxiano. Per il marxista non esiste qualcosa come «il
marxismo» in generale più di quanto non c'è una «democrazia» in
generale, una «dittatura» o uno «Stato» in generale. Esiste solo
uno Stato borghese o una dittatura fascista ecc. Ed anche questi
esistono solo in determinati stadi dello sviluppo storico, con
corrispondenti caratteristiche storiche innanzitutto economiche, ma
condizionate in parte da fattori geografici, di tradizione ed altri
ancora. Con i differenti livelli di sviluppo storico, con i diversi
ambienti geografici, con le ben note differenze di credo e di
tendenza delle varie scuole marxiste, esistono a livello nazionale e
internazionale diversissimi sistemi teorici e movimenti pratici che
vanno sotto il nome di marxismo. Invece di discutere l'intero corpo
dei princìpi teorici, dei punti di vista d'analisi, dei metodi di
procedimento, conoscenza storica e norme d’azione che Marx e i
marxisti hanno tratto in più di ottant'anni dall'esperienza delle
lotte della classe proletaria e saldato unitariamente in teoria e
movimento rivoluzionario, cercherò da parte mia di individuare
quegli specifici atteggiamenti, proposizioni e tendenze che possono
essere utilmente adottati come guida del nostro pensare e agire oggi,
qui ed ora, nelle condizioni esistenti dell’anno 1935 in Europa,
negli USA, in Cina, in Giappone, India e nel nuovo mondo dell’URSS.
In questa maniera,
la questione «perché sono marxista» si pone primariamente per il
proletariato, o piuttosto per le parti più vive e avanzate della
classe proletaria. Può essere posta anche per settori della
popolazione che, come lo strato in declino delle classi medie, il
gruppo di recente formazione degli impiegati, i contadini e
agricoltori ecc., non appartengono né alla classe capitalistica
dominante né a quella proletaria vera e propria, ma possono
associarsi al proletariato con l'obiettivo di una lotta comune. La
questione può porsi persino per quei settori della borghesia la cui
vita è minacciata dal «capitalismo monopolistico» o «fascismo».
Certamente si pone per gli ideologi borghesi (studiosi, artisti,
ingegneri, ecc.) che sotto la pressione complessiva della società
capitalistica in declino stanno indirizzandosi individualmente verso
il proletariato. Enuncerò ora in forma concisa quelli che mi paiono
i punti più essenziali del marxismo:
1. Tutte
le affermazioni di principio del marxismo, anche quelle
apparentemente generali, sono specifiche.
2. Il
marxismo non è positivo ma critico.
3. Il
suo oggetto non è la società capitalistica esistente nel suo stato
affermativo, ma la società capitalista in declino, come si rivela
nelle tendenze al crollo e alla rovina in modo dimostrabile.
4.
Il suo fine
principale non è il piacere contemplativo del mondo esistente, ma
la sua attiva trasformazione (praktiscbe
Umwälzung).
I
Nessuno di questi
caratteri fondamentali del marxismo è stato riconosciuto
adeguatamente o applicato dalla maggioranza dei marxisti.
Ripetutamente i cosiddetti marxisti «ortodossi» sono ricaduti nel
modo di pensare «astratto» e «metafisico» che Marx stesso –
dopo Hegel – aveva ripudiato nel modo più netto, e che è stato
invero decisamente respinto dall'intera evoluzione del pensiero
moderno negli ultimi cento anni.
Recentemente un
marxista inglese ha tentato ancora una volta di « salvare » il
marxismo dagli attacchi di Bernstein e altri, secondo i quali il
corso della storia moderna devierebbe dallo schema di sviluppo
tracciato da Marx, con la misera scappatoia che Marx avrebbe tentato
di scoprire «le leggi generali del mutamento sociale non solo
dall'analisi della società nel diciannovesimo secolo, ma anche dallo
studio dello sviluppo sociale a partire dall'inizio della società
umana» ed è pertanto «assolutamente possibile» che le sue
conclusioni «siano vere per il ventesimo secolo quanto lo furono per
il periodo nel quale è arrivato ad esse» (1). È evidente che una
difesa del genere distrugge il vero contenuto della teoria marxiana
più drasticamente di qualunque attacco revisionista. Nondimeno
questa è stata la sola risposta data negli ultimi trent’anni
dall'ortodossia marxista tradizionale alle accuse dei riformisti che
l'una o l'altra parte del marxismo era invecchiata. Per altri motivi,
c'è la tendenza presso i cittadini dello Stato sovietico marxista a
dimenticare il carattere specifico del marxismo. Essi accentuano la
validità generale e universale delle principali proposizioni
marxiste per canonizzare le dottrine che stanno alla base
dell'attuale costituzione del loro Stato. Così uno degli ideologi
minori dello stalinismo attuale, L. Rudas, tenta in nome del marxismo
di porre in discussione il progresso storico fatto da Marx operando
novant’anni fa il capovolgimento (Umstülpung)
della dialettica idealistica hegeliana nella sua dialettica
materialista. Sulla base di una citazione di Lenin, che era stata
usata in un contesto completamente diverso contro il materialismo
meccanicistico di Bucharin e che significa una cosa molto diversa da
quanto afferma Rudas, costui trasforma la contraddizione storica tra
«forze produttive» e «rapporti di produzione» in un principio
«metastorico», che vuole applicare anche al lontano futuro della
società senza classi pienamente sviluppata. Nella teoria di Marx
sono colte tre contraddizioni fondamentali come aspetti della
concreta unità storica del movimento rivoluzionario pratico. Esse
sono: nell’economia, la contraddizione tra «forze produttive» e
«rapporti di produzione»; nella storia, la lotta tra le classi
sociali; nel pensiero logico, l'opposizione tra tesi e antitesi. Di
questi tre aspetti, tutti egualmente storici, del principio
rivoluzionario scoperti da Marx nella natura della società,
capitalistica, Rudas, nella sua trasfigurazione metastorica della
concezione totalmente storica di Marx, lascia cadere il termine di
mezzo: considera il conflitto vivente delle classi in lotta come mera
«espressione» o risultato di una forma storica transitoria della
contraddizione essenziale «più profonda» e mantiene come unico
fondamento della «dialettica materialista» – ora enfiata a legge
eterna di sviluppo cosmico – l'opposizione tra «forze produttive»
e «rapporti di produzione». Facendo così, arriva all'assurda
conclusione che nell’economia sovietica odierna la contraddizione
fondamentale della società capitalista esiste in forma «invertita».
In Russia – scrive – le forze di produzione non si ribellano più
contro rapporti di produzione rigidi, ma è invece la relativa
arretratezza delle forze di produzione rispetto ai rapporti di
produzione già raggiunti, a «spingere avanti l’Unione Sovietica
ad un ritmo di sviluppo intenso senza precedenti» (2).
Dai rappresentanti
delle due frazioni del marxismo ortodosso tedesco e russo è stata
respinta unanimemente la tesi da me avanzata nell'edizione che ho
curato del Capitale secondo la quale tutte le affermazioni contenute
in quest'opera, e specialmente quella sull'«accumulazione primitiva»
come è trattata nell'ultimo capitolo del libro, rappresentano solo
una traccia storica dell'ascesa e dello sviluppo del capitalismo
nell'Europa occidentale e «hanno valore al di là di ciò solo nello
stesso modo in cui ogni conoscenza pienamente empirica di forma
naturale e storica si applica più che al caso singolo considerato».
Di fatto, questa mia affermazione ripete solo ed accentua un
principio che Marx stesso cinquant'anni fa aveva esplicitamente
formulato correggendo il sociologo idealista russo Michajlovskij nel
suo fraintendimento del Capitale. Si tratta, in verità, di
un'implicazione necessaria del principio fondamentale di ricerca
empirica che oggi è negata solo da qualche ostinato metafisico.
Quanto limpida, chiara e definita, a confronto del rifiorire di
questa dialettica pseudofilosofica nelle opere di marxisti «moderni»
come Rudas, era la posizione di quei vecchi marxisti come Rosa
Luxemburg e Franz Mehring che videro come il principio della
dialettica marxista, quale è incarnata nell'economia marxiana, non
significa altro che il rapporto specifico di tutti i termini e
proposizioni economiche ad oggetti storicamente determinati.
Tutte le questioni
accanitamente dibattute nel campo del materialismo storico –
questioni che se formulate nella loro forma generale sono insolubili
e addirittura prive di senso come le famose dispute scolastiche
attorno alla precedenza dell'uovo o della gallina – perdono il loro
carattere misterioso e sterile se vengono espresse in modo concreto,
storico, specifico. F. Engels, ad esempio, nelle sue famose lettere
sul materialismo storico, scritte dopo la morte di Marx, ha di fatto
modificato la dottrina di Marx per eccesso di riguardo all’obiezione
di unilateralità sollevata dai critici borghesi e presunti marxisti
contro l'affermazione di Marx che «la struttura economica della
società forma la base reale sulla quale si innalzano sovrastrutture
giuridiche e politiche e alla:quale corrispondono determinate forme
di coscienza sociale». Engels sconsideratamente ammise che a lungo
raggio possono aver luogo cosiddette «reazioni» (Rückwirkungen)
tra la sovrastruttura e la base, tra lo sviluppo ideologico e lo
sviluppo economico e politico. In questo modo ha creato una
confusione completamente inutile nei fondamenti del nuovo principio
rivoluzionario. Infatti, senza una esatta determinazione quantitativa
di quanta «reazione» ha luogo e senza una esatta indicazione delle
condizioni sotto le quali si verifica l’una e l’altra, la teoria
marxiana dello sviluppo storico della"società, così come è
interpretata da Engels, diventa inutile, anche come ipotesi di
lavoro. Non offre la più piccola indicazione se la causa di un
mutamento nella vita sociale debba essere cercata nell’azione
(Wirkung)
della base sulla sovrastruttura o nella reazione (Rückwirkung)
della sovrastruttura sulla base. Né la logica della questione è
toccata da scappatoie verbali: come fattori «primari» e «secondari»
o dalla classificazione di cause in «prossime», «medie» e
«ultime», ovvero quelle che si rivelano decise «in ultima
istanza». L'intero
problema scompare non appena al posto della questione generale
dell'effetto dell'«economia come tale» sulla «politica come tale»
o «il diritto, l’arte e la cultura come tali» e viceversa
facciamo una descrizione dettagliata delle relazioni che esistono tra
fenomeni economici determinati ad un determinato livello storico di
sviluppo e determinati fenomeni che appaiono simultaneamente o di
seguito in ogni altro campo dello sviluppo politico, giuridico e
intellettuale.
Questo è il modo in
cui va posto il problema secondo Marx. Lo schema di un’introduzione
generale alla sua Critica dell’economia politica, pubblicato
postumo, è un'impostazione chiara e altamente significativa
dell'intero complesso problematico, nonostante il suo carattere
schematico. La maggior parte delle obiezioni avanzate più tardi
contro il suo principio materialistico sono qui anticipate e risolte.
Questo è particolarmente vero per il problema molto sottile del
«rapporto ineguale tra lo sviluppo della produzione materiale e la
creazione artistica», messo in evidenza nel fatto ben noto che
«certi periodi del più alto sviluppo dell'arte non stanno in alcuna
diretta relazione con lo sviluppo generale della società o la base
materiale della sua organizzazione». Marx mostra il duplice aspetto
sotto il quale questo sviluppo ineguale prende definita forma
storica: «la relazione tra differenti forme d'arte nell'ambito
dell’arte stessa» e «la relazione tra l'intero campo dell’arte
e il complesso dello sviluppo sociale». «La difficoltà consiste
solo nel modo generale in cui queste contraddizioni sono espresse.
Non appena divengono specifiche e concrete, esse divengono nel
contempo chiarite».
II
Altrettanto
duramente, come è avvenuto per la mia tesi sul carattere specifico,
storico e concreto di ogni proposizione, legge e principio della
teoria marxiana, comprese quelle apparentemente universali, è
contestata anche la mia seconda affermazione che
il marxismo è essenzialmente critico, non positivo.
La teoria di Marx non costituisce né una filosofia materialistica
positiva né una scienza positiva. Dall'inizio alla fine è una
critica teorica non meno che pratica della società esistente.
Naturalmente il termine «critica» (Kritik)
deve essere inteso in quel senso comprensivo e pur preciso in cui
venne usato da tutti gli hegeliani di sinistra, Marx ed Engels
inclusi, nei pre-rivoluzionari anni Quaranta del secolo scorso. Non
deve essere confuso con la connotazione che ha il termine odierno di
criticism.
«Critica» non deve essere intesa in un senso meramente idealistico,
ma come critica
materialistica. Essa
implica, dal punto di vista dell’oggetto, un’investigazione
empirica di tutte le sue relazioni e sviluppi, «condotta con la
precisione di una scienza naturale», e, dal punto di vista del
soggetto, un esame di come i desideri impotenti, le intuizioni e le
esigenze di singoli soggetti si sviluppano in un potere di classe
storicamente efficace che guida alla «pratica rivoluzionaria»
(Praxis).
Questa tendenza critica, che gioca un ruolo tanto preminente in tutte
le opere di Marx ed Engels fino al 1848, è ancora viva nelle fasi
successive dello sviluppo della teoria marxiana. L'opera economica
del periodo maturo è legata ai precedenti scritti, filosofici e
sociologici, più strettamente di quanto non siano disposti ad
ammettere i marxisti ortodossi. Ciò è evidente dai titoli stessi
dei libri della maturità e della giovinezza. La prima opera
importante che i due amici scrissero insieme già nel 1846 per
mostrare l'opposizione delle loro idee politiche e filosofiche
all'idealismo hegeliano di sinistra contemporaneo, era intitolata
Critica
dell'ideologia tedesca.
E quando nel 1859 Marx pubblicò la prima parte della vasta opera
economica che aveva in programma la intitolò Critica
dell’economia politica,
quasi per metterne in rilievo il carattere critico. Questo titolo
divenne poi il sottotitolo dell'opera principale,
Il Capitale. Critica dell’economia politica.
I marxisti ortodossi dell'ultima ora dimenticarono o negarono la
preminenza dell'impostazione critica nel marxismo. Nel migliore dei
casi, quelle tendenze critiche avevano per essi un valore del tutto
estrinseco e irrilevante rispetto al carattere «scientifico» delle
tesi di Marx, in particolare nel campo che a loro parere era la
scienza fondamentale del marxismo: l'economia. Questa revisione trovò
la sua espressione più grossolana nel famoso Capitale
finanziario
del marxista austriaco Rudolf Hilferding, che considera la teoria
economica del marxismo come una semplice fase nell’interrotta
continuità delle teorie economiche, completamente staccata dagli
obiettivi socialisti, e quindi senza alcuna implicazione per la
pratica. Dopo aver formalmente affermato che la teoria sia economica
sia politica del marxismo «è libera da giudizi di valore»,
l'autore sottolinea che:
«è pertanto
concezione errata, anche se diffusa intra
et extra muros
identificare senz'altro marxismo e socialismo. Poiché, considerato
logicamente, visto soltanto come sistema scientifico – prescindendo
cioè dalla sua efficacia storica – il marxismo è solo una teoria
delle leggi del divenire della società: leggi che la concezione
marxista della storia formula in generale, e l'economia marxista
applica all'epoca della produzione delle merci. Il socialismo è la
risultante delle tendenze che si sviluppano, e si combinano nella
società produttrice di merci. Ma riconoscere la validità del
marxismo (il che implica il riconoscimento della necessità del
socialismo) non significa in alcun modo formulare valutazioni, né
tanto meno significa additare, una linea di condotta pratica. Poiché
una cosa è riconoscere una necessità, altra cosa è porsi al
servizio di quella necessità. È possibilissimo infatti che uno, pur
essendo convinto della vittoria finale del socialismo, si schieri
contro di esso.» (4)
È vero che teorie
marxiste moderne hanno avanzato critiche più o meno efficaci contro
questa superficiale, pseudoscientifica interpretazione del marxismo
ortodosso. Mentre in Germania il principio critico, cioè
rivoluzionario, del marxismo veniva apertamente attaccato dai
revisionisti alla Bernstein e difeso fiaccamente da «ortodossi»
come Kautsky e Hilferding, in Francia il movimento, di breve durata,
del «sindacalismo rivoluzionario», quale espresso da Georges Sorel,
tentava di far rivivere proprio questo aspetto del pensiero di Marx
come uno degli elementi basilari di una nuova teoria rivoluzionaria
della lotta di classe proletaria. Un passo più efficace nella stessa
direzione venne fatto da Lenin, che applicò il principio
rivoluzionario del marxismo alla prassi della rivoluzione russa, e
nello stesso tempo raggiunse un risultato non meno importante in
campo teorico ripristinando alcuni degli insegnamenti più
potentemente rivoluzionari di Marx.
Ma né Sorel, il
sindacalista, né Lenin, il comunista, usarono l'intera forza e
impatto della originaria «critica» marxista. L'impostazione
irrazionalistica di Sorel, con la quale egli trasformò in «miti»
alcune importanti dottrine di Marx portò, a dispetto delle sue
intenzioni, ad una sorta di «depotenziamento» di queste nella loro
rilevanza pratica per l'azione rivoluzionaria di classe proletaria, e
prepararono ideologicamente la strada al fascismo di Mussolini. La
divisione alquanto cruda da parte di Lenin delle tesi filosofiche,
economiche, ecc, in «utili» e «dannose» per il proletariato
(risultato della sua preoccupazione troppo esclusiva degli effetti
immediati della loro accettazione o ripudio, con la conseguente
troppo scarsa considerazione dei loro futuri e ultimi possibili
effetti) portò a quell’irrigidimento della teoria marxista, a quel
declino e in parte a quella deformazione del marxismo rivoluzionario
che rende assai difficile all’attuale marxismo sovietico ogni
progresso fuori dal suo ambito autoritario. Di fatto, il proletariato
rivoluzionario non può nella lotta pratica disinteressarsi della
differenza tra le affermazioni scientifiche vere e quelle false.
Proprio come il capitalista, da uomo pratico, «sa cosa deve fare nei
suoi affari, anche se non sempre considera ciò che dice fuori dai
suoi affari», come il tecnico nella costruzione di una macchina deve
avere esatta cognizione almeno di alcune leggi fisiche, così il
proletariato deve possedere una conoscenza sufficientemente vera in
economia, politica ed altre materie oggettive per poter condurre la
lotta di classe rivoluzionaria ad un esito felice. In questo senso e
con questi limiti il principio critico del marxismo materialistico,
rivoluzionario implica una conoscenza rigorosa, empiricamente
verificabile, caratterizzata «da tutta la precisione di una scienza
naturale», delle leggi economiche del movimento e sviluppo della
società capitalista e della lotta di classe proletaria.
III
La «teoria»
marxista non mira ad ottenere una conoscenza obiettiva a partire da
un interesse indipendente, teoretico. È spinta ad acquisire questa
conoscenza dalle necessità pratiche della lotta
e può trascurarla solo col grave rischio di fallire il suo
obiettivo, al prezzo della sconfitta e dell'eclissi del movimento
proletario che rappresenta. Proprio
perché la teoria marxista non perde di vista il suo scopo pratico,
evita ogni tentativo di costringere tutta la esperienza nello schema
di. una costruzione monistica dell’universo per stabilite un
sistema unificato di conoscenza.
La teoria marxiana non è interessata ad ogni cosa, né in modo
eguale a tutti gli oggetti del suo interesse. La sua sola
preoccupazione è per quelle cose che hanno rilievo per i suoi
obiettivi, e sarà tanto più interessata a qualcosa e ad ogni suo
aspetto quanto più questa cosa particolare o il suo aspetto
particolare hanno un rapporto con i suoi propositi pratici.
II marxismo,
nonostante il suo indiscutibile riconoscimento della priorità
(Priorität)
genetica della natura esterna rispetto a tutti gli eventi storici e
umani,
è interessato primariamente solo ai fenomeni e alle interrelazioni
della vita storica e sociale.
Presta innanzitutto attenzione a ciò che – in rapporto alle
dimensioni dello sviluppo cosmico – avviene in un breve lasso di
tempo e nel cui sviluppo può entrare come forza pratica, influente.
Che ciò venga ignorato da parte di certi marxisti ortodossi di
partito va in conto ai loro ostinati tentativi di pretendere la
stessa superiorità, che indubbiamente la teoria marxista possiede
nel campo della sociologia, anche per quelle opinioni alquanto
primitive ed arretrate che sono ancora oggi sostenute da teorici
marxisti nel campo delle scienze naturali. A motivo di questi inutili
abusi, la teoria marxiana è esposta a quel ben noto disprezzo sul
suo carattere «scientifico» anche da parte di quegli scienziati
naturali contemporanei che nel complesso non sono ostili al
socialismo. Ultimamente, tuttavia, ha preso corpo un’interpretazione
del vero concetto della marxiana «sintesi delle scienze» meno
«fìlosofica» e scientificamente più avanzata tra i rappresentanti
più intelligenti e responsabili della contemporanea teoria
marxista-leninista della scienza, le cui espressioni si distinguono
da quelle di Rudas & Co., più o meno come le espressioni del
governo sovietico russo da quello delle sezioni non russe
dell’Internazionale Comunista. Così, ad esempio, il prof. V. Asmus
ha rilevato nel suo articolo programmatico che, accanto alla «unità
oggettiva e metodologica» delle scienze storiche e naturali, esiste
anche la «peculiarità delle scienze storico-sociali che non
permette in linea di principio l'identificazione dei loro problemi e
metodi con quelli delle scienze naturali».
Nella sfera
dell'attività storico-sociale la ricerca marxista è interessata
principalmente solo al modo di produzione particolare che sta alla
base della presente epoca di «formazione economico-sociale»
(ökonomische
Gesellschaftsformation),
ovvero il sistema di produzione delle merci come base della moderna
«società borghese» (bürgerlische
Gesettschaft),
inteso nel processo del suo sviluppo storico effettivo (5). Nella sua
indagine di questo specifico sistema sociologico procede, da un lato,
più profondamente di ogni altra teoria sociologica in ciò che
concerne i fondamenti economici. D’altro
lato, però, non si occupa di tutti gli aspetti economici e
sociologici della società borghese in modo identico. Rivolge
particolare attenzione alle fratture, crepe, errori e squilibri nella
sua struttura. Al marxismo non interessa il cosiddetto funzionamento
normale della società borghese, quanto piuttosto ciò che appare
come la reale condizione normale di questo particolare sistema
sociale, cioè la crisi.
La critica marxiana dell'economia borghese e del sistema su di essa
fondato culmina in un’analisi critica della sua «situazione di
crisi» (Krisenhaftigkeit),
cioè della tendenza sempre crescente del metodo di produzione
capitalistico ad assumere tutte le caratteristiche della crisi,
tendenza in atto anche nei periodi di espansione e ripresa, in
sostanza in tutte le fasi del ciclo della società moderna, il cui
punto culminante è la crisi universale. Una sorprendente cecità di
fronte a questo orientamento di fondo dell’economia marxista, che
pure è presente in modo così chiaro dappertutto nelle opere di
Marx, ha indotto recentemente alcuni marxisti inglesi a scoprire una
«lacuna di una certa importanza» in Marx, per il fatto che avrebbe
tralasciato di stabilire la necessità economica del superamento
delle crisi dopo averne dimostrato la necessità del sorgere (6).
Persino negli
ambiti non economici della sovrastruttura politica e dell'ideologia
generale della società moderna, la teoria marxiana si occupa
soprattutto di fratture e crepe osservabili, i punti di rottura che
mostrano al proletariato rivoluzionario quei luoghi cruciali nella
struttura sociale dove la sua attività pratica può essere applicata
nel migliore dei modi.
Ai giorni nostri
ogni cosa sembra essere pregna del suo opposto. Macchine dotate del
grande potere di ridurre il lavoro umano e renderlo più produttivo
hanno creato invece fame e surlavoro. Le nuove fonti di ricchezza
sono state trasformate con una singolare formula magica in fonti di
povertà. Le vittorie della scienza sembrano essere ottenute al
prezzo della perdita di qualità morali. Nella misura in cui l'uomo
controlla la natura, sembra a sua volta controllato da altri uomini o
dalla propria meschinità. Persino la pura luce della scienza sembra
poter brillare soltanto di contro allo sfondo oscuro dell’ignoranza.
Tutte le nostre scoperte e il nostro progresso sembrano aver portato
a dotare le forze materiali di vita spirituale e abbruttire la vita
umana a forza materiale. Questo antagonismo tra l'industria moderna e
la scienza, da un lato, e la miseria e il decadimento, dall’altro,
questo antagonismo tra le forze di produzione e i rapporti sociali
della nostra epoca è un fatto evidente, indiscutibile, schiacciante.
Alcuni, partiti possono lamentarsene, altri desiderare di liberarsi
dalle conquiste tecniche moderne e con ciò dei loro conflitti.
Oppure possono pensare che un progresso così grande nell'industria
esige un regresso altrettanto grande nella politica per il proprio
completamento (7).
IV
I caratteri
specifici del marxismo, come sono stati esposti fino ad ora, insieme
al principio pratico implicito che impegna i marxisti a subordinare
ogni conoscenza teorica al fine dell'azione rivoluzionaria,
formano i tratti fondamentali del materialismo dialettico marxiano
grazie ai quali si distingue dalla dialettica idealistica di Hegel.
La dialettica di Hegel, il filosofo borghese della restaurazione,
elaborata da lui fin nei più piccoli dettagli come strumento di
giustificazione dell'ordine sociale esistente, con una moderata
concessione ad un possibile «ragionevole» progresso, venne
trasformata materialisticamente da Marx dopo una accurata analisi
critica in una teoria rivoluzionaria non solo nel contenuto ma anche
nel metodo. La dialettica trasformata e applicata da Marx dimostrò
che la «ragionevolezza» della realtà esistente asserita da Hegel
su basi idealistiche possedeva solo una razionalità transitoria che,
nel corso del suo sviluppo, risultava necessariamente
«irragionevolezza». Questo stato irragionevole della società sarà
a suo tempo completamente distrutto dalla nuova classe proletaria
che, facendo propria la teoria e usandola come arma della sua
«pratica rivoluzionaria», attacca alla radice la «irrazionalità
capitalistica».
A causa di questo
mutamento fondamentale nei suoi caratteri e applicazione, la
dialettica marxiana che – come giustamente nota Marx – nella sua
forma «mistificata» hegeliana è diventata di moda tra i filosofi
borghesi, era ora «scandalo e orrore per la borghesia e i suoi
corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato
di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della
negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto,
perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento,
quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può
intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza» (8).
Come tutti i
particolari aspetti critici, attivistici e rivoluzionari del marxismo
sono stati trascurati dalla maggioranza dei marxisti, analogamente è
avvenuto per l'intero carattere della dialettica materialista di
Marx. Anche i migliori di loro hanno ripristinato solo parzialmente
il suo principio critico e rivoluzionario. Dinanzi all'universalità
e profondità della crisi mondiale attuale e alla crescente sempre
più acuta lotta di classe proletaria, che supera in intensità ed
estensione tutti i conflitti delle fasi precedenti dello sviluppo
capitalistico, nostro compito è dare alla nostra teoria
rivoluzionaria marxista forma ed espressione adeguate e allargare con
ciò e attualizzare la lotta rivoluzionaria proletaria.
NOTE:
- A.L.Williams, What is Marxism?, London, 1933, p.27.
- L.Rudas, Dialectical Materialism and Communism, London, 1934, pp.28 e 29. «Né Marx, né Engels, né Lenin hanno mai detto che il processo dialettico opera nella società con l’antagonismo delle classi […]. Gli antagonismi di classe sono una forza motrice nella società di classe in quanto e solo in quanto sono l’espressione, il risultato della contraddizione decisiva della società classista […]. Una volta eliminata questa contraddizione […] rimane contraddizione ma assume un’altra forma. Così ad esempio nell’Unione Sovietica i rapporti di produzione socialisti richiedono un alto livello di forze produttive, un livello più alto di quello ereditato dal capitalismo. Questa è una contraddizione completamente diversa, anzi inversa rispetto a quella esistente nel capitalismo, ma è una contraddizione […]. Una volta le forze produttive altamente sviluppate richiedevano lo sviluppo di rivi sociali; in futuro le più alte relazioni sociali daranno spazio all’ulteriore sviluppo delle forze produttive».
- R.Hilferding, Das Finanzkapital, Vienna 1909, pp. VII-IX (trad.it. Feltrinelli, Milano 1972, p.6)
- Marxism and the Synthesis of Sciences, in Socialist Construction in the Ussr, pubblicato da Voks, vol.V, 1933, p.11.
- Nelle sue ultime fasi vengono considerati anche certi fenomeni sociali della società primitiva per poter tracciare analogie tra il comunismo primitivo (Urkommunismus) e la società senza classi di un remoto futuro.
- Cfr. R.W.Postgate, Karl Marx, London, 1933, p.79, e le citazioni riportate da G.D.H.Cole, Guide Through World Chaos, London, 1932.
- Da un discorso di Karl Marx tenuto nel quarto anniversario della fondazione del cartista «People’s Paper», il 14 aprile 1856 e pubblicato il 16 aprile.
- K.Marx, Il Capitale, Poscritto alla seconda edizione, trad.it. Editori Riuniti, Roma 1970, p.45.
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