Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

* * *

«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

* * *

«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

15 giugno 2011

Perché sono marxista

di Karl Korsch (1935)

Invece di discutere il marxismo in generale, propongo di trattare subito alcuni dei punti più concreti e qualificanti della teoria e della pratica marxista. Solo un approccio di questo tipo è coerente con il principio del pensiero marxiano. Per il marxista non esiste qualcosa come «il marxismo» in generale più di quanto non c'è una «democrazia» in generale, una «dittatura» o uno «Stato» in generale. Esiste solo uno Stato borghese o una dittatura fascista ecc. Ed anche questi esistono solo in determinati stadi dello sviluppo storico, con corrispondenti caratteristiche storiche innanzitutto economiche, ma condizionate in parte da fattori geografici, di tradizione ed altri ancora. Con i differenti livelli di sviluppo storico, con i diversi ambienti geografici, con le ben note differenze di credo e di tendenza delle varie scuole marxiste, esistono a livello nazionale e internazionale diversissimi sistemi teorici e movimenti pratici che vanno sotto il nome di marxismo. Invece di discutere l'intero corpo dei princìpi teorici, dei punti di vista d'analisi, dei metodi di procedimento, conoscenza storica e norme d’azione che Marx e i marxisti hanno tratto in più di ottant'anni dall'esperienza delle lotte della classe proletaria e saldato unitariamente in teoria e movimento rivoluzionario, cercherò da parte mia di individuare quegli specifici atteggiamenti, proposizioni e tendenze che possono essere utilmente adottati come guida del nostro pensare e agire oggi, qui ed ora, nelle condizioni esistenti dell’anno 1935 in Europa, negli USA, in Cina, in Giappone, India e nel nuovo mondo dell’URSS.
In questa maniera, la questione «perché sono marxista» si pone primariamente per il proletariato, o piuttosto per le parti più vive e avanzate della classe proletaria. Può essere posta anche per settori della popolazione che, come lo strato in declino delle classi medie, il gruppo di recente formazione degli impiegati, i contadini e agricoltori ecc., non appartengono né alla classe capitalistica dominante né a quella proletaria vera e propria, ma possono associarsi al proletariato con l'obiettivo di una lotta comune. La questione può porsi persino per quei settori della borghesia la cui vita è minacciata dal «capitalismo monopolistico» o «fascismo». Certamente si pone per gli ideologi borghesi (studiosi, artisti, ingegneri, ecc.) che sotto la pressione complessiva della società capitalistica in declino stanno indirizzandosi individualmente verso il proletariato. Enuncerò ora in forma concisa quelli che mi paiono i punti più essenziali del marxismo:

1. Tutte le affermazioni di principio del marxismo, anche quelle apparentemente generali, sono specifiche.

2. Il marxismo non è positivo ma critico.

3. Il suo oggetto non è la società capitalistica esistente nel suo stato affermativo, ma la società capitalista in declino, come si rivela nelle tendenze al crollo e alla rovina in modo dimostrabile.

4. Il suo fine principale non è il piacere contemplativo del mondo esistente, ma la sua attiva trasformazione (praktiscbe Umwälzung).

I

Nessuno di questi caratteri fondamentali del marxismo è stato riconosciuto adeguatamente o applicato dalla maggioranza dei marxisti. Ripetutamente i cosiddetti marxisti «ortodossi» sono ricaduti nel modo di pensare «astratto» e «metafisico» che Marx stesso – dopo Hegel – aveva ripudiato nel modo più netto, e che è stato invero decisamente respinto dall'intera evoluzione del pensiero moderno negli ultimi cento anni.
Recentemente un marxista inglese ha tentato ancora una volta di « salvare » il marxismo dagli attacchi di Bernstein e altri, secondo i quali il corso della storia moderna devierebbe dallo schema di sviluppo tracciato da Marx, con la misera scappatoia che Marx avrebbe tentato di scoprire «le leggi generali del mutamento sociale non solo dall'analisi della società nel diciannovesimo secolo, ma anche dallo studio dello sviluppo sociale a partire dall'inizio della società umana» ed è pertanto «assolutamente possibile» che le sue conclusioni «siano vere per il ventesimo secolo quanto lo furono per il periodo nel quale è arrivato ad esse» (1). È evidente che una difesa del genere distrugge il vero contenuto della teoria marxiana più drasticamente di qualunque attacco revisionista. Nondimeno questa è stata la sola risposta data negli ultimi trent’anni dall'ortodossia marxista tradizionale alle accuse dei riformisti che l'una o l'altra parte del marxismo era invecchiata. Per altri motivi, c'è la tendenza presso i cittadini dello Stato sovietico marxista a dimenticare il carattere specifico del marxismo. Essi accentuano la validità generale e universale delle principali proposizioni marxiste per canonizzare le dottrine che stanno alla base dell'attuale costituzione del loro Stato. Così uno degli ideologi minori dello stalinismo attuale, L. Rudas, tenta in nome del marxismo di porre in discussione il progresso storico fatto da Marx operando novant’anni fa il capovolgimento (Umstülpung) della dialettica idealistica hegeliana nella sua dialettica materialista. Sulla base di una citazione di Lenin, che era stata usata in un contesto completamente diverso contro il materialismo meccanicistico di Bucharin e che significa una cosa molto diversa da quanto afferma Rudas, costui trasforma la contraddizione storica tra «forze produttive» e «rapporti di produzione» in un principio «metastorico», che vuole applicare anche al lontano futuro della società senza classi pienamente sviluppata. Nella teoria di Marx sono colte tre contraddizioni fondamentali come aspetti della concreta unità storica del movimento rivoluzionario pratico. Esse sono: nell’economia, la contraddizione tra «forze produttive» e «rapporti di produzione»; nella storia, la lotta tra le classi sociali; nel pensiero logico, l'opposizione tra tesi e antitesi. Di questi tre aspetti, tutti egualmente storici, del principio rivoluzionario scoperti da Marx nella natura della società, capitalistica, Rudas, nella sua trasfigurazione metastorica della concezione totalmente storica di Marx, lascia cadere il termine di mezzo: considera il conflitto vivente delle classi in lotta come mera «espressione» o risultato di una forma storica transitoria della contraddizione essenziale «più profonda» e mantiene come unico fondamento della «dialettica materialista» – ora enfiata a legge eterna di sviluppo cosmico  –  l'opposizione tra «forze produttive» e «rapporti di produzione». Facendo così, arriva all'assurda conclusione che nell’economia sovietica odierna la contraddizione fondamentale della società capitalista esiste in forma «invertita». In Russia – scrive – le forze di produzione non si ribellano più contro rapporti di produzione rigidi, ma è invece la relativa arretratezza delle forze di produzione rispetto ai rapporti di produzione già raggiunti, a «spingere avanti l’Unione Sovietica ad un ritmo di sviluppo intenso senza precedenti» (2).
Dai rappresentanti delle due frazioni del marxismo ortodosso tedesco e russo è stata respinta unanimemente la tesi da me avanzata nell'edizione che ho curato del Capitale secondo la quale tutte le affermazioni contenute in quest'opera, e specialmente quella sull'«accumulazione primitiva» come è trattata nell'ultimo capitolo del libro, rappresentano solo una traccia storica dell'ascesa e dello sviluppo del capitalismo nell'Europa occidentale e «hanno valore al di là di ciò solo nello stesso modo in cui ogni conoscenza pienamente empirica di forma naturale e storica si applica più che al caso singolo considerato». Di fatto, questa mia affermazione ripete solo ed accentua un principio che Marx stesso cinquant'anni fa aveva esplicitamente formulato correggendo il sociologo idealista russo Michajlovskij nel suo fraintendimento del Capitale. Si tratta, in verità, di un'implicazione necessaria del principio fondamentale di ricerca empirica che oggi è negata solo da qualche ostinato metafisico. Quanto limpida, chiara e definita, a confronto del rifiorire di questa dialettica pseudofilosofica nelle opere di marxisti «moderni» come Rudas, era la posizione di quei vecchi marxisti come Rosa Luxemburg e Franz Mehring che videro come il principio della dialettica marxista, quale è incarnata nell'economia marxiana, non significa altro che il rapporto specifico di tutti i termini e proposizioni economiche ad oggetti storicamente determinati.
Tutte le questioni accanitamente dibattute nel campo del materialismo storico – questioni che se formulate nella loro forma generale sono insolubili e addirittura prive di senso come le famose dispute scolastiche attorno alla precedenza dell'uovo o della gallina – perdono il loro carattere misterioso e sterile se vengono espresse in modo concreto, storico, specifico. F. Engels, ad esempio, nelle sue famose lettere sul materialismo storico, scritte dopo la morte di Marx, ha di fatto modificato la dottrina di Marx per eccesso di riguardo all’obiezione di unilateralità sollevata dai critici borghesi e presunti marxisti contro l'affermazione di Marx che «la struttura economica della società forma la base reale sulla quale si innalzano sovrastrutture giuridiche e politiche e alla:quale corrispondono determinate forme di coscienza sociale». Engels sconsideratamente ammise che a lungo raggio possono aver luogo cosiddette «reazioni» (Rückwirkungen) tra la sovrastruttura e la base, tra lo sviluppo ideologico e lo sviluppo economico e politico. In questo modo ha creato una confusione completamente inutile nei fondamenti del nuovo principio rivoluzionario. Infatti, senza una esatta determinazione quantitativa di quanta «reazione» ha luogo e senza una esatta indicazione delle condizioni sotto le quali si verifica l’una e l’altra, la teoria marxiana dello sviluppo storico della"società, così come è interpretata da Engels, diventa inutile, anche come ipotesi di lavoro. Non offre la più piccola indicazione se la causa di un mutamento nella vita sociale debba essere cercata nell’azione (Wirkung) della base sulla sovrastruttura o nella reazione (Rückwirkung) della sovrastruttura sulla base. Né la logica della questione è toccata da scappatoie verbali: come fattori «primari» e «secondari» o dalla classificazione di cause in «prossime», «medie» e «ultime», ovvero quelle che si rivelano decise «in ultima istanza». L'intero problema scompare non appena al posto della questione generale dell'effetto dell'«economia come tale» sulla «politica come tale» o «il diritto, l’arte e la cultura come tali» e viceversa facciamo una descrizione dettagliata delle relazioni che esistono tra fenomeni economici determinati ad un determinato livello storico di sviluppo e determinati fenomeni che appaiono simultaneamente o di seguito in ogni altro campo dello sviluppo politico, giuridico e intellettuale.
Questo è il modo in cui va posto il problema secondo Marx. Lo schema di un’introduzione generale alla sua Critica dell’economia politica, pubblicato postumo, è un'impostazione chiara e altamente significativa dell'intero complesso problematico, nonostante il suo carattere schematico. La maggior parte delle obiezioni avanzate più tardi contro il suo principio materialistico sono qui anticipate e risolte. Questo è particolarmente vero per il problema molto sottile del «rapporto ineguale tra lo sviluppo della produzione materiale e la creazione artistica», messo in evidenza nel fatto ben noto che «certi periodi del più alto sviluppo dell'arte non stanno in alcuna diretta relazione con lo sviluppo generale della società o la base materiale della sua organizzazione». Marx mostra il duplice aspetto sotto il quale questo sviluppo ineguale prende definita forma storica: «la relazione tra differenti forme d'arte nell'ambito dell’arte stessa» e «la relazione tra l'intero campo dell’arte e il complesso dello sviluppo sociale». «La difficoltà consiste solo nel modo generale in cui queste contraddizioni sono espresse. Non appena divengono specifiche e concrete, esse divengono nel contempo chiarite».

II

Altrettanto duramente, come è avvenuto per la mia tesi sul carattere specifico, storico e concreto di ogni proposizione, legge e principio della teoria marxiana, comprese quelle apparentemente universali, è contestata anche la mia seconda affermazione che il marxismo è essenzialmente critico, non positivo. La teoria di Marx non costituisce né una filosofia materialistica positiva né una scienza positiva. Dall'inizio alla fine è una critica teorica non meno che pratica della società esistente. Naturalmente il termine «critica» (Kritik) deve essere inteso in quel senso comprensivo e pur preciso in cui venne usato da tutti gli hegeliani di sinistra, Marx ed Engels inclusi, nei pre-rivoluzionari anni Quaranta del secolo scorso. Non deve essere confuso con la connotazione che ha il termine odierno di criticism. «Critica» non deve essere intesa in un senso meramente idealistico, ma come critica materialistica. Essa implica, dal punto di vista dell’oggetto, un’investigazione empirica di tutte le sue relazioni e sviluppi, «condotta con la precisione di una scienza naturale», e, dal punto di vista del soggetto, un esame di come i desideri impotenti, le intuizioni e le esigenze di singoli soggetti si sviluppano in un potere di classe storicamente efficace che guida alla «pratica rivoluzionaria» (Praxis). Questa tendenza critica, che gioca un ruolo tanto preminente in tutte le opere di Marx ed Engels fino al 1848, è ancora viva nelle fasi successive dello sviluppo della teoria marxiana. L'opera economica del periodo maturo è legata ai precedenti scritti, filosofici e sociologici, più strettamente di quanto non siano disposti ad ammettere i marxisti ortodossi. Ciò è evidente dai titoli stessi dei libri della maturità e della giovinezza. La prima opera importante che i due amici scrissero insieme già nel 1846 per mostrare l'opposizione delle loro idee politiche e filosofiche all'idealismo hegeliano di sinistra contemporaneo, era intitolata Critica dell'ideologia tedesca. E quando nel 1859 Marx pubblicò la prima parte della vasta opera economica che aveva in programma la intitolò Critica dell’economia politica, quasi per metterne in rilievo il carattere critico. Questo titolo divenne poi il sottotitolo dell'opera principale, Il Capitale. Critica dell’economia politica. I marxisti ortodossi dell'ultima ora dimenticarono o negarono la preminenza dell'impostazione critica nel marxismo. Nel migliore dei casi, quelle tendenze critiche avevano per essi un valore del tutto estrinseco e irrilevante rispetto al carattere «scientifico» delle tesi di Marx, in particolare nel campo che a loro parere era la scienza fondamentale del marxismo: l'economia. Questa revisione trovò la sua espressione più grossolana nel famoso Capitale finanziario del marxista austriaco Rudolf Hilferding, che considera la teoria economica del marxismo come una semplice fase nell’interrotta continuità delle teorie economiche, completamente staccata dagli obiettivi socialisti, e quindi senza alcuna implicazione per la pratica. Dopo aver formalmente affermato che la teoria sia economica sia politica del marxismo «è libera da giudizi di valore», l'autore sottolinea che:

«è pertanto concezione errata, anche se diffusa intra et extra muros identificare senz'altro marxismo e socialismo. Poiché, considerato logicamente, visto soltanto come sistema scientifico – prescindendo cioè dalla sua efficacia storica – il marxismo è solo una teoria delle leggi del divenire della società: leggi che la concezione marxista della storia formula in generale, e l'economia marxista applica all'epoca della produzione delle merci. Il socialismo è la risultante delle tendenze che si sviluppano, e si combinano nella società produttrice di merci. Ma riconoscere la validità del marxismo (il che implica il riconoscimento della necessità del socialismo) non significa in alcun modo formulare valutazioni, né tanto meno significa additare, una linea di condotta pratica. Poiché una cosa è riconoscere una necessità, altra cosa è porsi al servizio di quella necessità. È possibilissimo infatti che uno, pur essendo convinto della vittoria finale del socialismo, si schieri contro di esso.» (4)

È vero che teorie marxiste moderne hanno avanzato critiche più o meno efficaci contro questa superficiale, pseudoscientifica interpretazione del marxismo ortodosso. Mentre in Germania il principio critico, cioè rivoluzionario, del marxismo veniva apertamente attaccato dai revisionisti alla Bernstein e difeso fiaccamente da «ortodossi» come Kautsky e Hilferding, in Francia il movimento, di breve durata, del «sindacalismo rivoluzionario», quale espresso da Georges Sorel, tentava di far rivivere proprio questo aspetto del pensiero di Marx come uno degli elementi basilari di una nuova teoria rivoluzionaria della lotta di classe proletaria. Un passo più efficace nella stessa direzione venne fatto da Lenin, che applicò il principio rivoluzionario del marxismo alla prassi della rivoluzione russa, e nello stesso tempo raggiunse un risultato non meno importante in campo teorico ripristinando alcuni degli insegnamenti più potentemente rivoluzionari di Marx.
Ma né Sorel, il sindacalista, né Lenin, il comunista, usarono l'intera forza e impatto della originaria «critica» marxista. L'impostazione irrazionalistica di Sorel, con la quale egli trasformò in «miti» alcune importanti dottrine di Marx portò, a dispetto delle sue intenzioni, ad una sorta di «depotenziamento» di queste nella loro rilevanza pratica per l'azione rivoluzionaria di classe proletaria, e prepararono ideologicamente la strada al fascismo di Mussolini. La divisione alquanto cruda da parte di Lenin delle tesi filosofiche, economiche, ecc, in «utili» e «dannose» per il proletariato (risultato della sua preoccupazione troppo esclusiva degli effetti immediati della loro accettazione o ripudio, con la conseguente troppo scarsa considerazione dei loro futuri e ultimi possibili effetti) portò a quell’irrigidimento della teoria marxista, a quel declino e in parte a quella deformazione del marxismo rivoluzionario che rende assai difficile all’attuale marxismo sovietico ogni progresso fuori dal suo ambito autoritario. Di fatto, il proletariato rivoluzionario non può nella lotta pratica disinteressarsi della differenza tra le affermazioni scientifiche vere e quelle false. Proprio come il capitalista, da uomo pratico, «sa cosa deve fare nei suoi affari, anche se non sempre considera ciò che dice fuori dai suoi affari», come il tecnico nella costruzione di una macchina deve avere esatta cognizione almeno di alcune leggi fisiche, così il proletariato deve possedere una conoscenza sufficientemente vera in economia, politica ed altre materie oggettive per poter condurre la lotta di classe rivoluzionaria ad un esito felice. In questo senso e con questi limiti il principio critico del marxismo materialistico, rivoluzionario implica una conoscenza rigorosa, empiricamente verificabile, caratterizzata «da tutta la precisione di una scienza naturale», delle leggi economiche del movimento e sviluppo della società capitalista e della lotta di classe proletaria.

III

La «teoria» marxista non mira ad ottenere una conoscenza obiettiva a partire da un interesse indipendente, teoretico. È spinta ad acquisire questa conoscenza dalle necessità pratiche della lotta e può trascurarla solo col grave rischio di fallire il suo obiettivo, al prezzo della sconfitta e dell'eclissi del movimento proletario che rappresenta. Proprio perché la teoria marxista non perde di vista il suo scopo pratico, evita ogni tentativo di costringere tutta la esperienza nello schema di. una costruzione monistica dell’universo per stabilite un sistema unificato di conoscenza. La teoria marxiana non è interessata ad ogni cosa, né in modo eguale a tutti gli oggetti del suo interesse. La sua sola preoccupazione è per quelle cose che hanno rilievo per i suoi obiettivi, e sarà tanto più interessata a qualcosa e ad ogni suo aspetto quanto più questa cosa particolare o il suo aspetto particolare hanno un rapporto con i suoi propositi pratici.
II marxismo, nonostante il suo indiscutibile riconoscimento della priorità (Priorität) genetica della natura esterna rispetto a tutti gli eventi storici e umani, è interessato primariamente solo ai fenomeni e alle interrelazioni della vita storica e sociale. Presta innanzitutto attenzione a ciò che – in rapporto alle dimensioni dello sviluppo cosmico – avviene in un breve lasso di tempo e nel cui sviluppo può entrare come forza pratica, influente. Che ciò venga ignorato da parte di certi marxisti ortodossi di partito va in conto ai loro ostinati tentativi di pretendere la stessa superiorità, che indubbiamente la teoria marxista possiede nel campo della sociologia, anche per quelle opinioni alquanto primitive ed arretrate che sono ancora oggi sostenute da teorici marxisti nel campo delle scienze naturali. A motivo di questi inutili abusi, la teoria marxiana è esposta a quel ben noto disprezzo sul suo carattere «scientifico» anche da parte di quegli scienziati naturali contemporanei che nel complesso non sono ostili al socialismo. Ultimamente, tuttavia, ha preso corpo un’interpretazione del vero concetto della marxiana «sintesi delle scienze» meno «fìlosofica» e scientificamente più avanzata tra i rappresentanti più intelligenti e responsabili della contemporanea teoria marxista-leninista della scienza, le cui espressioni si distinguono da quelle di Rudas & Co., più o meno come le espressioni del governo sovietico russo da quello delle sezioni non russe dell’Internazionale Comunista. Così, ad esempio, il prof. V. Asmus ha rilevato nel suo articolo programmatico che, accanto alla «unità oggettiva e metodologica» delle scienze storiche e naturali, esiste anche la «peculiarità delle scienze storico-sociali che non permette in linea di principio l'identificazione dei loro problemi e metodi con quelli delle scienze naturali».
Nella sfera dell'attività storico-sociale la ricerca marxista è interessata principalmente solo al modo di produzione particolare che sta alla base della presente epoca di «formazione economico-sociale» (ökonomische Gesellschaftsformation), ovvero il sistema di produzione delle merci come base della moderna «società borghese» (bürgerlische Gesettschaft), inteso nel processo del suo sviluppo storico effettivo (5). Nella sua indagine di questo specifico sistema sociologico procede, da un lato, più profondamente di ogni altra teoria sociologica in ciò che concerne i fondamenti economici. D’altro lato, però, non si occupa di tutti gli aspetti economici e sociologici della società borghese in modo identico. Rivolge particolare attenzione alle fratture, crepe, errori e squilibri nella sua struttura. Al marxismo non interessa il cosiddetto funzionamento normale della società borghese, quanto piuttosto ciò che appare come la reale condizione normale di questo particolare sistema sociale, cioè la crisi. La critica marxiana dell'economia borghese e del sistema su di essa fondato culmina in un’analisi critica della sua «situazione di crisi» (Krisenhaftigkeit), cioè della tendenza sempre crescente del metodo di produzione capitalistico ad assumere tutte le caratteristiche della crisi, tendenza in atto anche nei periodi di espansione e ripresa, in sostanza in tutte le fasi del ciclo della società moderna, il cui punto culminante è la crisi universale. Una sorprendente cecità di fronte a questo orientamento di fondo dell’economia marxista, che pure è presente in modo così chiaro dappertutto nelle opere di Marx, ha indotto recentemente alcuni marxisti inglesi a scoprire una «lacuna di una certa importanza» in Marx, per il fatto che avrebbe tralasciato di stabilire la necessità economica del superamento delle crisi dopo averne dimostrato la necessità del sorgere (6).
Persino negli ambiti non economici della sovrastruttura politica e dell'ideologia generale della società moderna, la teoria marxiana si occupa soprattutto di fratture e crepe osservabili, i punti di rottura che mostrano al proletariato rivoluzionario quei luoghi cruciali nella struttura sociale dove la sua attività pratica può essere applicata nel migliore dei modi.
Ai giorni nostri ogni cosa sembra essere pregna del suo opposto. Macchine dotate del grande potere di ridurre il lavoro umano e renderlo più produttivo hanno creato invece fame e surlavoro. Le nuove fonti di ricchezza sono state trasformate con una singolare formula magica in fonti di povertà. Le vittorie della scienza sembrano essere ottenute al prezzo della perdita di qualità morali. Nella misura in cui l'uomo controlla la natura, sembra a sua volta controllato da altri uomini o dalla propria meschinità. Persino la pura luce della scienza sembra poter brillare soltanto di contro allo sfondo oscuro dell’ignoranza. Tutte le nostre scoperte e il nostro progresso sembrano aver portato a dotare le forze materiali di vita spirituale e abbruttire la vita umana a forza materiale. Questo antagonismo tra l'industria moderna e la scienza, da un lato, e la miseria e il decadimento, dall’altro, questo antagonismo tra le forze di produzione e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto evidente, indiscutibile, schiacciante. Alcuni, partiti possono lamentarsene, altri desiderare di liberarsi dalle conquiste tecniche moderne e con ciò dei loro conflitti. Oppure possono pensare che un progresso così grande nell'industria esige un regresso altrettanto grande nella politica per il proprio completamento (7).

IV

I caratteri specifici del marxismo, come sono stati esposti fino ad ora, insieme al principio pratico implicito che impegna i marxisti a subordinare ogni conoscenza teorica al fine dell'azione rivoluzionaria, formano i tratti fondamentali del materialismo dialettico marxiano grazie ai quali si distingue dalla dialettica idealistica di Hegel. La dialettica di Hegel, il filosofo borghese della restaurazione, elaborata da lui fin nei più piccoli dettagli come strumento di giustificazione dell'ordine sociale esistente, con una moderata concessione ad un possibile «ragionevole» progresso, venne trasformata materialisticamente da Marx dopo una accurata analisi critica in una teoria rivoluzionaria non solo nel contenuto ma anche nel metodo. La dialettica trasformata e applicata da Marx dimostrò che la «ragionevolezza» della realtà esistente asserita da Hegel su basi idealistiche possedeva solo una razionalità transitoria che, nel corso del suo sviluppo, risultava necessariamente «irragionevolezza». Questo stato irragionevole della società sarà a suo tempo completamente distrutto dalla nuova classe proletaria che, facendo propria la teoria e usandola come arma della sua «pratica rivoluzionaria», attacca alla radice la «irrazionalità capitalistica».
A causa di questo mutamento fondamentale nei suoi caratteri e applicazione, la dialettica marxiana che – come giustamente nota Marx – nella sua forma «mistificata» hegeliana è diventata di moda tra i filosofi borghesi, era ora «scandalo e orrore per la borghesia e i suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza» (8).
Come tutti i particolari aspetti critici, attivistici e rivoluzionari del marxismo sono stati trascurati dalla maggioranza dei marxisti, analogamente è avvenuto per l'intero carattere della dialettica materialista di Marx. Anche i migliori di loro hanno ripristinato solo parzialmente il suo principio critico e rivoluzionario. Dinanzi all'universalità e profondità della crisi mondiale attuale e alla crescente sempre più acuta lotta di classe proletaria, che supera in intensità ed estensione tutti i conflitti delle fasi precedenti dello sviluppo capitalistico, nostro compito è dare alla nostra teoria rivoluzionaria marxista forma ed espressione adeguate e allargare con ciò e attualizzare la lotta rivoluzionaria proletaria.

NOTE:
  1. A.L.Williams, What is Marxism?, London, 1933, p.27.
  2. L.Rudas, Dialectical Materialism and Communism, London, 1934, pp.28 e 29. «Né Marx, né Engels, né Lenin hanno mai detto che il processo dialettico opera nella società con l’antagonismo delle classi […]. Gli antagonismi di classe sono una forza motrice nella società di classe in quanto e solo in quanto sono l’espressione, il risultato della contraddizione decisiva della società classista […]. Una volta eliminata questa contraddizione […] rimane contraddizione ma assume un’altra forma. Così ad esempio nell’Unione Sovietica i rapporti di produzione socialisti richiedono un alto livello di forze produttive, un livello più alto di quello ereditato dal capitalismo. Questa è una contraddizione completamente diversa, anzi inversa rispetto a quella esistente nel capitalismo, ma è una contraddizione […]. Una volta le forze produttive altamente sviluppate richiedevano lo sviluppo di rivi sociali; in futuro le più alte relazioni sociali daranno spazio all’ulteriore sviluppo delle forze produttive».
  3. R.Hilferding, Das Finanzkapital, Vienna 1909, pp. VII-IX (trad.it. Feltrinelli, Milano 1972, p.6)
  4. Marxism and the Synthesis of Sciences, in Socialist Construction in the Ussr, pubblicato da Voks, vol.V, 1933, p.11.
  5. Nelle sue ultime fasi vengono considerati anche certi fenomeni sociali della società primitiva per poter tracciare analogie tra il comunismo primitivo (Urkommunismus) e la società senza classi di un remoto futuro.
  6. Cfr. R.W.Postgate, Karl Marx, London, 1933, p.79, e le citazioni riportate da G.D.H.Cole, Guide Through World Chaos, London, 1932.
  7. Da un discorso di Karl Marx tenuto nel quarto anniversario della fondazione del cartista «People’s Paper», il 14 aprile 1856 e pubblicato il 16 aprile.
  8. K.Marx, Il Capitale, Poscritto alla seconda edizione, trad.it. Editori Riuniti, Roma 1970, p.45.



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