Ipotesi sulle forme im/possibili del superamento
Capitalismo
di Stato
Lo
Stato si sostituisce alla classe dei capitalisti privati e si fa agente unico
del capitale. Non solo non viene soppressa la legge del valore, ma permangono
tutti gli elementi propri della dinamica capitalistica: lavoro salariato,
sfruttamento, valorizzazione e accumulazione del capitale. Sorge una nuova
classe dominante: la burocrazia. Storicamente il Capitalismo di Stato trova la
propria realizzazione in Urss e nei regimi del cosiddetto socialismo reale.
Capitalismo
“proletario”
La
produzione e la struttura sociali sono di tipo capitalistico, ma vengono
gestite (magari in forma consiliare) direttamente dai proletari - che dunque
non si autosopprimono in quanto classe, ma continuano a sussistere come
unico polo della società. Non viene soppressa l’estrazione di plusvalore (auto-sfruttamento!),
conditio sine qua non dell’accumulazione, ma soltanto la sua parziale
trasformazione in reddito destinato al capitalista (generalizzazione della
condizione proletaria); l’entità di tale estrazione (e quindi l’intensità
dell’accumulazione) viene determinata attraverso una pianificazione
collettivamente definita. Così come, in generale, la distribuzione del reddito.
Socialismo
L’accumulazione
del capitale cessa di essere il fine della produzione sociale, ma la legge
del valore non viene soppressa. L’intero neovalore creato dall’erogazione
di lavoro vivo si trasforma in reddito per il lavoratore o viene destinato ad
innovazioni tecniche volte a determinare aumenti di produttività. L’ammontare
del tempo di lavoro socialmente necessario alla riproduzione della forza-lavoro
viene determinato mediante pianificazione e dipende dall’ammontare dei bisogni
sociali; salario e tempo di lavoro individuali sono proporzionali ai bisogni
dichiarati dal singolo preliminarmente alla pianificazione. Gli aumenti di
produttività possono essere utilizzati, alternativamente, per accrescere la
quantità di merci prodotte o per ridurre il tempo di lavoro socialmente
necessario.
La
divisione sociale del lavoro permane, ma si può dare una rotazione delle
mansioni/specializzazioni. Considerato che un tale modo di produzione, pur non
uscendo da una prospettiva sopravvivenziale, è comunque subordinato alla
soddisfazione di bisogni sociali e non più alla valorizzazione del capitale, si
può ipotizzare sia un’inversione della tendenziale caduta del valore d’uso
delle merci propria del modo di produzione capitalistico – particolarmente evidente
nella sua fase spettacolare - sia una parziale trasformazione del contenuto del
lavoro, nel senso di un suo “arricchimento” - limitato però dalle esigenze di
produttività, all’interno di un contesto in cui l’attività umana, ridotta a
lavoro, mantiene il proprio carattere alienato/coatto.
E’
difficile immaginare una tale organizzazione sociale, dove l’attività è
separata dagli individui e dalle loro passioni, senza una qualche forma di
impianto giuridico, atta a garantire un’“equa” distribuzione della ricchezza
socialmente prodotta; nonché una qualche autorità sociale/statuale
detentrice del monopolio dell’uso della violenza, che si faccia praticamente
garante della “legalità socialista”.
Comunismo
Chiamiamo comunismo il movimento reale che sopprime
ogni potere separato – ogni mediazione alienata tra uomo e uomo, uomo e
comunità, uomo e natura. Tale movimento non si limita ad abolire la proprietà
privata, le classi, lo Stato, la famiglia, bensì, in generale, sopprime e
riassorbe in sé ogni sfera di attività separata dagli individui e dal loro
desiderio di essere (in comune). Lavoro, economia, politica, scienza,
tecnologia, istruzione, gerarchie, ruoli sociali – senza dimenticare l’Io
rappresentativo, autentica quinta colonna della necessità economica e spettacolare
all’interno di ciascuno –, tutto ciò merita di essere criticato e distrutto.
Chiamiamo dunque comunismo, non tanto un modo di produzione e socializzazione
"alternativo" al capitalismo, quanto la comunità umana finalmente
realizzata: comunità del desiderio e dell'agire, che integra il conflitto senza
bisogno di mediarlo attraverso leggi e sistemi penali, poiché ne riconosce il
fondamento nel libero gioco delle passioni. Se il comunismo è il "regno
della libertà", lo è in quanto la libertà non risiede in una astratta
autonomia individuale, bensì nelle relazioni tra individui "immediatamente
sociali". Chiamiamo comunismo un mondo senza galere.
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