Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

21 marzo 2011

Breve storia del PCI...

...ad uso dei proletari che non vogliono credere più a niente ad occhi chiusi

«Rivoluzione Internazionale»*


Questo articolo ha l’ambizione di restituire un minimo di memoria storica a quei proletari - e sono tanti - disorientati dal crollo del mito dell’Est e frastornati dalla cagnara di appelli alla difesa della democrazia che oggi si abbatte su di loro (1). Tutti la invocano, dai socialdemocratici di Occhetto ai comunisti democratici di Ingrao, fino ai demo-stalinisti di Cossutta, che spennella lo stalinismo con tre strati di operaismo per rifargli una facciata presentabile. Fuori dei cancelli del PCI, ululano speranzose le varie parrocchie dei trotskysti, che esibiscono i loro titoli di merito come difensori della democrazia di base e si aspettano di incassare finalmente la rendita di mezzo secolo di sostegno “critico” allo stalinismo. In mezzo sta la base operaia, dentro e fuori il PCI, priva di una memoria storica che le permetta di orientarsi in questa baraonda, ma con il vago sospetto che, se tutti parlano bene della democrazia, ci deve stare qualche cosa che non va. A questi proletari sono dedicate le note che seguono, perché sappiano che i loro peggiori sospetti sono ancora inferiori alla realtà e perché non riesca il tentativo dei borghesi di incatenarli a nuove illusioni, ancora più pericolose.

1. Dal 1921 al 1926: Il PCI dal comunismo all’opportunismo

Il PCI (PCd’I) non è stato un partito qualsiasi, ma il migliore fra i partiti della III Internazionale, l’unico partito d’occidente che - dopo l’assassinio di Karl Liebcknecht e Rosa Luxemburg da parte dei socialdemocratici - sia riuscito a dare al movimento comunista un contributo paragonabile a quello dei bolscevichi. Questo risultato fu possibile perché già all’interno del vecchio partito socialista i rivoluzionari si erano costituiti in Frazione Comunista Astensionista, sotto la guida di Amadeo Bordiga. Le esitazioni di alcuni compagni, fra cui Gramsci, ritardarono fino al 1921 la fondazione del PCd’I, sezione della III Internazionale. Il PCI parla del “partito di Gramsci” per nascondere tutto questo, ma Antonio Gramsci a Livorno non prese neanche la parola (e non poteva perché durante la guerra era stato uno dei pochi socialisti tentati di seguire Mussolini nel suo passaggio all’interventismo) e venne accettato solo come semplice iscritto. Fino al 1922 Gramsci e soprattutto Togliatti, non emettono la minima riserva sulle posizioni rivoluzionarie di Bordiga, ma nel ‘23 il fascismo incarcera l’intera Direzione di sinistra e l’Internazionale Comunista, che già sta sbandando a destra, ne approfitta per sostituirla con un gruppo di “centro”, guidato da Gramsci, che a Mosca si è avvicinato alla alleanza moderata di Zinoviev e Stalin. Togliatti propone a Bordiga di fare finta di allinearsi “per fottere l’Internazionale” e conservare la direzione. Al suo sdegnato rifiuto passa armi e bagagli nel campo dei centristi. Si crea così una situazione paradossale: un partito quasi totalmente di sinistra è costretto per disciplina ad accettare una direzione di centro che conta ancora meno della minoranza di destra. Ancora al Convegno Nazionale di Como, a metà del ‘24, la Sinistra ha 41 delegati, la destra 10 e la Direzione... 8!
A questo punto è chiaro che non è bastato smantellare la Direzione, è tutto il partito che si deve smantellare. Bordiga viene eletto segretario della Federazione di Napoli ed il Centro lo destituisce, Fortichiari è eletto segretario della Federazione di Milano ed il Centro lo destituisce. Federazione dopo Federazione, il partito, già sotto l’attacco fascista, viene smontato, sostituendo i militanti che hanno la fiducia della base con funzionari che votano come vuole chi paga lo stipendio. Così si prepara il III Congresso e la Sinistra inutilmente protesta contro l’Unità che non pubblica i suoi contributi. Essendo ancora maggioritaria alla base, si costituisce nel ‘25 in Comitato di Intesa per far circolare i documenti della discussione pre-congressuale, ma nel partito è ormai proibito discutere. Il portavoce del Comitato, Girone, viene espulso dal Partito e l’intera Sinistra viene costretta a sciogliere il Comitato, sotto il ricatto di Mosca di essere espulsa in blocco dall’Internazionale. Ogni ostacolo alla liquidazione del partito è ormai rimosso ed i funzionari “bolscevizzatori” scrivono quello che vogliono nei verbali, eliminato ogni controllo della base: contando i voti, risulterà che perfino Bordiga avrebbe votato per la Direzione! Con questi metodi, il Centro si attribuisce più del 90% dei delegati, facendo blocco con la destra, ed al Congresso-farsa di Lione (1926) può finalmente rinnegare le Tesi di Roma su cui il PCd’I si era costituito. La Sinistra dichiara che “nessuna solidarietà potrà unirci a quegli uomini che abbiamo giudicato (...) come rappresentanti della ormai inevitabile prospettiva dell’inquinamento opportunista del partito”. Il partito di Livorno è cambiato: ha ancora una (ridotta) base operaia, ma non ha più un programma rivoluzionario. Dall’opportunismo alla borghesia, il passo sarà più facile.

2. Dal 1926 al 1936: dall’opportunismo alla controrivoluzione

Il Congresso truccato di Lione è l’ultimo colpo messo a segno dal presidente centrista dell’Internazionale, Zinoviev, alleato di Stalin. Già alla fine del ‘26 Stalin scarica Zinoviev, che passa all’opposizione con Trotsky, per poi abbandonarlo, senza riuscire con questo a salvare la pelle. La sua sconfitta segna la campana a morto per tutti gli “zinovievisti” dei vari partiti comunisti che non lo scaricano abbastanza velocemente. Il più veloce è probabilmente Togliatti, che è fra i primi a reclamarne la destituzione da presidente dell’Internazionale. Gramsci, che nel frattempo è caduto in mano fascista, era di tutta altra pasta. zinovievista convinto, aveva smantellato il partito perché sinceramente persuaso che quei sistemi “sporchi” fossero il male minore e che con i compagni della Sinistra si sarebbe poi trovato un accordo per lottare insieme. Non marxista, ma sincero rivoluzionario, non esitò a scrivere a Togliatti in favore di Zinoviev e Trotsky sottoposti alla emarginazione stalinista. Ma Togliatti era un allievo che aveva superato il maestro: fece sparire la lettera e fece il vuoto intorno a Gramsci, che fu lasciato crepare in carcere nel più totale isolamento, dopo essere stato oggetto di vere e proprie provocazioni (2). Il maestro di Togliatti ora è Stalin che, dopo essersi nel ‘27 sbarazzato di Zinoviev con l’appoggio della destra di Bucharin, nel ‘29 fa una svolta “a sinistra” per poter scaricare Bucharin, che non gli serve più. Nel Centro all’estero del PCI si scatena la lotta fra Togliatti e gli “orfani di Gramsci”, che a suo tempo furono abbastanza furbi da denunciare Zinoviev: entrambi gli schieramenti cercano di farsi riconoscere come gli alfieri della nuova giravolta di Stalin. Come al solito vince Togliatti, che scavalca “a sinistra” Stalin e proclama che in Italia la rivoluzione è alle porte. I “tre” (Leonetti, Ravazzoli, Tresso) che a marzo del ‘30 hanno votato per l’espulsione dal partito del suo fondatore, Amadeo Bordiga, con l’accusa di “trotskysmo”, una volta persa la speranza di prendere il controllo del partito, prendono contatto ad aprile ... con l’Opposizione Internazionale di Sinistra di Trotsky, di cui erano stati i più feroci persecutori! E la cosa più incredibile è che l’Opposizione li accoglie a braccia aperte, nonostante le riserve politiche della Sinistra Italiana, dato che ora sono pronti a seguire tutte le svolte di Trotsky, come ieri seguivano quelle di Stalin. Così Leonetti, entrato direttamente nella Direzione dell’Opposizione, si può prendere nel ‘32 lo sfizio di espellere dai ranghi dell’Opposizione come “antitrotskysti” quegli stessi compagni della Sinistra Italiana che aveva già espulso come “trotskysti” dal PCI. Bastano questi pochi elementi per capire che non è certo nella tradizione trotskysta italiana che si troveranno gli elementi per rompere con la controrivoluzione togliattiana.
Nel frattempo Togliatti, per farsi bello agli occhi di Stalin, brucia gli ultimi quadri del partito, inviandoli in Italia a prendere la direzione di una rivoluzione che nel 1930 era imminente solo nella sua demagogia. In pochi mesi l’intera rete illegale cade nelle mani della polizia, ma Palmiro ha salvato la poltrona, ed è questo che conta. In tutti questi anni va dunque avanti un duplice processo di smantellamento del partito: da una parte se ne rinnega il programma, dall’altra si escludono quelli che a questo programma rimangono fedeli. Il colpo di grazia è ormai vicino: nel 1933 Hitler prende il potere senza la minima reazione da parte del PC tedesco che invita “ad evitare provocazioni”. Con l’annientamento del PCI, la III Internazionale cessa nei fatti di esistere e Stalin può sancire la fine della Rivoluzione Russa: nel 1935 la Russia viene riconosciuta degna di entrare a far parte della “Società delle Nazioni”, quella che Lenin chiamava “il covo dei briganti”.
Nello stesso anno Stalin firma col governo borghese di Francia un patto di alleanza antitedesco, approvando “la politica di difesa nazionale” di questa ultima, e subito il PC francese vota a favore del piano di riarmo imperialista della nazione, “in difesa della pace”, naturalmente. Tutti i PC, ridotti a marionette, battono le mani, ma il compito più schifoso tocca al PCI, che ha l’incarico di cercare di staccare Mussolini da Hitler, identificandosi col nazionalismo anti-tedesco. Nell’agosto ‘36 Togliatti lancerà il famoso appello ai fascisti:
Diamoci la mano, figli della Nazione Italiana! Diamoci la mano, fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni. Diamoci la mano, e marciamo fianco a fianco.
Se si cancella l’aggettivo fascisti, si ritrova qui anticipata la linea del PCI, dalla Resistenza alla recente fase della “solidarietà nazionale”. A questo punto, il partito di Livorno non esiste più. La Frazione di Sinistra del PCI, che da molti anni è costretta dalle espulsioni ad agire fuori del partito, lancia un appello ai compagni: “Fuori dai Partiti Comunisti, diventati strumenti del capitalismo mondiale” (luglio ‘35); e cambia il suo nome in Frazione Italiana della Sinistra Comunista. Gli anni che seguono dimostreranno che il capitalismo mondiale aveva trovato nel Partiti Comunisti degli strumenti preziosi.

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Nella prima parte di questo articolo (“Rivoluzione Internazionale” n°63) abbiamo visto come il Partito Comunista nato nel ’21 a Livorno sia stato prima castrato del suo programma rivoluzionario (Congresso truccato di Lione, 1926) e successivamente trasformato in un nuovo partito borghese “di sinistra” (Appello di Togliatti ai fascisti italiani, 1936). Questo processo non è stato indolore ed il passaggio alla borghesia è potuto avvenire solo dopo l’annientamento congiunto del partito ad opera della repressione fascista e della liquidazione stalinista. Per rendersi conto dell’ampiezza presa da quest’ultimo processo di distruzione fisica del partito, basti pensare che su 5 membri della Direzione eletta al Congresso di Livorno nel ’21, ben quattro (Bordiga, Repossi, Fortichiari e Terracini) sono stati espulsi come “provocatori” a partire dal 1930, ed hanno salvato la pelle solo perché erano graditi ospiti delle carceri fasciste. Minore fortuna hanno avuto i 200 militanti del PCI che sono riusciti a scappare dalle prigioni di Mussolini e a “riparare” in Russia, solo per essere assassinati nei lager di Stalin, cui erano stati consegnati uno per uno dall’infaticabile Togliatti: “Il PCd'I chiede al PC dell’URSS un aiuto per continuare la lotta contro i rottami dell’opposizione bordighiana (…) il nostro partito non ha niente altro da dire. Chiede solo che si usi il massimo di rigore” (Togliatti a Jaroslavsky, 19 aprile 1929).
In questa seconda parte vedremo come il nuovo PCI borghese si sia rivelato uno strumento utilissimo per la borghesia, soprattutto durante la II guerra mondiale, quando è riuscito a trascinare il proletariato italiano nella Resistenza Patriottica, inquadrandolo come forza ausiliaria degli eserciti anglo-russo-americano. Forza “nazionale” e governativa, è respinto nel ’47 nell’opposizione, rimanendo però nazionale, patriottico e antioperaio.

3. Dal 1936 al 1941: dalla guerra di Spagna all'alleanza Hitler-Stalin

Nel 1936 il proletariato mondiale è ormai sconfitto, ma prima di trascinarlo in una nuova guerra mondiale la borghesia ha bisogno di una "prova generale" che la rassicuri della incapacità proletaria a reagire. Questa prova generale sarà la guerra di Spagna (‘36-’39) in cui un'iniziale insurrezione operaia contro un golpe militare viene deviata in lotta militare in difesa della Repubblica borghese contro il fascismo. Migliaia di operai accorrono da ogni paese per arruolarsi nelle Brigate Internazionali, ma per molti di loro alla rapida disillusione seguiranno l'accusa di essere spie fasciste e una pallottola nella nuca. I militanti della Frazione di Sinistra del PCI, Turiddu Candoli e Tullio Lecci, recatisi in Spagna per denunciare l'inganno, scampano per miracolo all'assassinio, mentre il coraggioso anarchico Camillo Berneri, prelevato dai poliziotti di un governo che conta fior di ministri anarchici, sarà ritrovato crivellato di colpi all'obitorio.
Tutti i dirigenti stalinisti sguazzano nel sangue, ma tutti prendono ordini da un solo uomo: Palmiro Togliatti, inviato personalmente da Stalin nel giugno '37 per sovraintendere alla "epurazione degli elementi trotzkisti ed anarcosindacalisti". È quello stesso Togliatti che nell'agosto '36 (un mese dopo il golpe fascista in Spagna) pubblicava il famoso Appello ai fascisti italiani. Contraddizione? Certamente sì per un proletario comunista, certamente no per un borghese stalinista, abituato a cambiare bandiera a seconda di dove tira il vento.
Ed infatti nel 1939 il vento cambia ancora: si è appena concluso il massacro “antifascista” di Spagna, che arriva la bomba del patto Hitler-Stalin e la II Guerra Mondiale comincia con la Russia alleata degli eserciti nazisti.
Togliatti e soci (ovviamente) non fanno una piega, esaltano l’accordo e (dal ‘39 al ‘41) denunciano gli antifascisti come leccapiedi dell'imperialismo anglo-americano (il che è vero, ma non è molto convincente in bocca a dei leccapiedi dell'imperialismo russo-tedesco). Per non creare fastidi a Mussolini, alleato di Hitler, viene sospesa ogni attività clandestina in Italia ed il PCI, praticamente per due anni, cessa di esistere. Questa inattività cessa improvvisamente dopo l'attacco tedesco all'URSS: si ricostituisce un Centro Interno per il lavoro in Italia (agosto 1941) e si proclama che "la vittoria dell'Inghilterra, dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti (...) sarà la vittoria della democrazia". E l'imperialismo anglo-americano? Non va più di moda, ora che si tratta di portare gli operai al massacro in nome di Stalin, Churcill e Roosevelt.

4. Dal 1941 al 1947: dalla Resistenza Patriottica al governo, dal governo all’opposizione

Il ritorno al lavoro del PCI si rivela provvidenziale per la borghesia italiana a partire dall'autunno '42, quando gli eserciti nazifascisti cominciano la loro lunga ritirata (Stalingrado, El Alamein) e l'aviazione alleata inizia i bombardamenti terroristici sulle grandi città italiane.
Il problema che assilla i grandi borghesi come Agnelli e Pirelli (entrambi Senatori del Fascismo) è duplice: da una parte sganciarsi dall'alleanza tedesca per saltare sul carro del vincitore alleato, dall'altro garantirsi che il passaggio dalla forma di dominio fascista a quella democratica avvenga senza che al proletariato venga in mente di farla finita con tutte le forme di dominio borghese. La gravità del problema è dimostrata dalla straordinaria esplosione di scioperi di classe del marzo '43, che costituisce la più alta risposta proletaria al secondo massacro imperialista. Il PCI, attraverso accademici del calibro di Concetto Marchesi, prende contatto con la monarchia e si mette a sua disposizione per il colpo di stato militare con cui il 25 luglio la borghesia si libera dell’ormai ingombrante fascismo. Quando, dopo il tentativo del re di sganciarsi dalla Germania con la richiesta di armistizio, l'8 settembre 1943, Hitler occupa l'Italia e mette su lo Stato vassallo della Repubblica di Salò, tocca al PCI il ruolo principale nello strangolamento delle lotte operaie e nella loro sottomissione alla logica della borghesia nazionale. Si è sempre parlato di una "svolta di Salerno" che Togliatti avrebbe operato al suo arrivo nel '44, entrando a far parte del governo reazionario e monarchico messo su dagli Alleati nel Sud "liberato". Questa leggenda ha avuto come unica funzione quella di lasciar credere alla base del PCI che esistessero due linee del partito: quella "vera", "di Stalin", la linea dura contro i padroni, e quella del compromesso e del cedimento, di cui sarebbero stati responsabili i furbi dirigenti alla Togliatti. La verità è che la linea "nazionale" di Salerno corrisponde perfettamente alle istruzioni di Stalin che già nel '43 ha sciolto il cadavere dell'Internazionale Comunista per garantire Gran Bretagna e Stati Uniti contro ogni velleità "rivoluzionaria" della base. Svincolati dall'obbedienza formale a Mosca i singoli PC debbono promuovere "la più larga unità nazionale" per contribuire allo sforzo bellico anglo-russo-americano. È dunque con il beneplacito di Stalin che il vicepresidente del governo monarchico, il ministro Togliatti, scaglia l'accusa di provocatori fascisti contro i cadaveri ancora caldi degli operai e braccianti del Sud che hanno osato turbare lo sforzo bellico con le loro inopportune rivendicazioni. Al Nord, intanto, il PCI - forte della esperienza fatta in Spagna -. trasforma il movimento di classe in forza di sostegno all'imperialismo alleato. Alla lotta di classe in difesa delle condizioni operaie, si sostituisce la lotta armata in difesa della patria. Allo strumento di classe dello sciopero, si sostituisce lo strumento borghese del terrorismo contro i proletari in divisa tedeschi, senza distinzioni tra nazisti e tedeschi. I molti, forti gruppi che si oppongono alla linea del PCI (alla Fiat Mirafiori il gruppo Stella Rossa conta 500 militanti contro i 200 del PCI) sono con rare eccezioni, condannati in anticipo dalla loro illusione di poter partecipare alla Resistenza Patriottica restando però comunisti. Una volta entrati nell'ingranaggio, la logica militare imperialista li obbliga un po’ per volta ad allinearsi al PCI o a essere travolti.
Per chi non ci sta, è pronta la "cura di Spagna": vecchi quadri del partito di Livorno '21 - come Atti, Acquaviva, Vaccarella sopravvissuti al carcere e al confino fascisti, cadono sotto le pallottole delle squadracce terroriste di Togliatti.
Visto che ancora oggi c'è chi sostiene che i fedelissimi di Stalin, come Pietro Secchia, si battevano nel PCI contro la svendita della classe operaia, ricordiamo che furono proprio gli elementi come Secchia ad occuparsi della liquidazione politica (e fisica) dei comunisti che si ostinavano a difendere gli interessi operai.
Con la "liberazione" anche agli operai del Nord tocca "credere, obbedire, produrre" come già quelli del Sud. Molti - che credevano alla favola del "doppio binario" del PCI - non ci stanno, obbligando Celere e Carabinieri a fare gli straordinari. Di fronte al momento delicato, la borghesia si affida ad un Ministro di Grazia e Giustizia di tutto rispetto: Togliatti usa il randello della repressione senza troppe preoccupazioni garantiste verso i proletari che non collaborano abbastanza alla ricostruzione dell'economia dei padroni. La presenza del PCI al governo dura fino a metà del '47, fino a quando cioè l'avvenuta frattura fra russi e occidentali rende impossibile un ruolo governativo degli stalinisti in tutti quei paesi che gli accordi di Yalta assegnano agli americani. A questo punto, Stalin si ricorda dell’Internazionale Comunista e fonda un nuovo organismo, il Kominform. Solo ora si comincia a rinfacciare al PCI la collaborazione con le forze conservatrici, anche se il delegato italiano, Luigi Longo, cerca di scusarsi ricordando che "non avevano fatto altro che eseguire le istruzioni di Mosca". Ma sono scuse sprecate: il vento è cambiato e non va più di moda chiamare "grandi potenze democratiche" gli imperialismi inglese ed americano. Il PCI comincia il suo onorato servizio di partito borghese "all'opposizione di Sua Maestà". Non sarà meno utile alla borghesia di quanto lo fosse già stato nella sua infame opera di governo.


Note:

* Organo della Corrente Comunista Internazionale (CCI). Il presente articolo è uscito sui numeri 63 (febbraio-marzo 1990) e 64 (aprile-maggio 1990) della rivista.

1. I compagni non sono tenuti a credere ad occhi chiusi nemmeno a noi. I fatti da noi citati sono controllabili nelle “Storie del PCI” di Paolo Spriano (ed. Einaudi) e Giorgio Galli (ed. Bompiani), nel Saggio sulla politica comunista in Italia: 1921-1970 di Danilo Montaldi (ed. Quaderni Piacentini) e, infine, nella Storia della Sinistra Comunista Italiana, pubblicata dalla nostra organizzazione.

2. II giudice istruttore dirà a Gramsci: “Lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera” (lettera a Tania, 5/12/1932).

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