Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

18 marzo 2009

Comontismo - Note di preistoria contemporanea

Individuare la genealogia di Comontismo non ci interessa certo per riaffermare una continuità, ma anzi per chiarire (anche a noi stessi) come esso nasca proprio dalla necessità di una rottura con il passato. Questa rottura è diretta conseguenza dell'estensione al quotidiano del dominio del capitale, il quale, ponendo esso stesso il terreno per il riappropriarsi della totalità da parte degli uomini, ha imposto alla nostra coscienza soggettiva l'abbandono di tutte quelle forme organizzative contrastanti con le esigenze di rivoluzione moderna. In questo senso la risposta all'eventuale domanda "chi siamo" non è determinata in noi dal bisogno di definirci come un "ismo" tra i tanti, merce ideologica più o meno nuova sul mercato del com-sumismo, e quindi di rivendicare novità sconvolgenti all'interno di vetuste tradizioni, ma dalla volontà di chiarire cosa effettivamente significhi per noi il superamento di un passata esperienza, in favore non di una nuova ideologia ma di una riaffermazione coscientemente vissuta e creativa della teoria rivoluzionaria.
LE ORIGINI DI COMONTISMO
Le origini immediate di Comontismo risalgono a tutti quei gruppi che genericamente si definiscono, e furono definiti, consiliari. Genericamente, poichè i Consigli storicamente intesi e la "teoria" che ne fu l'espressione ben poco di comune ebbero con i recenti gruppi consiliari, i quali, pur indicando nei Consigli la forma organizzativa del proletariato e con ciò la possibilità pratica dell'autogestione della società da parte dei proletari stessi, cercavano di andare al di là della semplice affermazione della tematica consiliare ed aspiravano a forme di espressione ed a contenuti più radicali e moderni. Nei fatti però l'ambiguità fu mantenuta sino alle sue conseguenze estreme, poichè venne riaffermata schematicamente la forma Consiglio, mentre si era incapaci di derivarne gli insegnamenti storici con tutte le conseguenze che essi imponevano. Perciò è necessario un chiarimento minimo su cosa fu e su cosa significò l'esperienza consiliare in sè, ancor prima che per i suoi epigoni e quindi per noi.
La nascita storica dei Consigli coincide con un preciso periodo dello sviluppo del capitale e della sua organizzazione conseguente. Infatti essi nacquero e si determinarono in rapporto al periodo di transizione, imposto dalla crisi che la riproduzione del capitale su scala allargata comportava come sua interna conseguenza. La contraddizione fondamentale del capitale (cioè quella tra processo di valorizzazione e necessariamente conseguente processo di devalorizzazione), lo spinse alla conquista di nuovi mercati, alla riorganizzazione interna del mercato ed alla ricomposizione organicamente sociale della popolazione, alla difesa armata degli interessi dei singoli capitali nazionali ed ancor più alla ristrutturazione della produttività operaia. Tutto ciò non fu sufficiente ad impedire l'estendersi e l'approfondirsi delle contraddizioni stesse, che esplosero violentemente nella prima guerra mondiale e, più tardi, nella grande crisi internazionale del 1929 che trovò la sua risposta storica nel New Deal e nella NEP, prima forma di omogenea ripartizione e riorganizzazione del mercato e dell'economia mondiali. In seguito a ciò il capitale, sino ad allora libero di svilupparsi in maniera parzialmente irrazionale ed empirica, fu costretto a porsi come soggetto dell'intero tessuto sociale e delle forme di produzione e realizzazione del valore. La democrazia, forma politica finalmente riscoperta appieno in tale processo, ne espresse, nella sua caratteristica di momento popolare, la tendenza generale (almeno sino a che le esigenze di globalizzazione non spinsero il capitale a scegliere il fascismo come sua forma necessaria per lo sviluppo ordinato ed armonico delle potenzialità produttive). Essa significò infatti il conglobamento di tutti i ceti e le classi socialinella logica del capitale per cui il suo proprio sviluppo poteva essere spacciato per progresso generale dell'umanità ridotta a funzione economica. L'esperienza consiliare si pone all'inizio di tale processo, soprattutto come reazione alle conseguenza delle crisi interne, periodiche, estensive ed intensive della produzione e della circolazione di merci. Solo sulla base di questo sommario inquadramento storico è possibile cercare di comprendere i ritardi di un'epoca e di coloro che ne furono i protagonisti.
CONSIGLI OPERAI E LENINISMO
I Consigli operai furono, all'interno della dinamica delle lotte anticapitaliste che sconvolsero l'Europa dagli inizi del '900 sino alla caduta della Repubblica Bavarese dei Consigli e poi alla guerra civile spagnola, la prima forma, sia pure incompiuta e spesso contraddittoria, teorica-pratica di organizzazione autonoma del proletariato in quanto classe in sè. Storicamente essi si imposero come forza organizzata in settori diversi della geografia mondiale del capitale. Essi infatti si affermarono come primo movimento radicale e generalizzato in un paese capitalisticamente arretrato come la Russia del 1905, dove l'assemblea diretta e spontanea (Soviet) fu la forma del primo porsi del proletariato con propri interessi e rivendicazioni specifiche (nonostante i tentativi di controllo di burocrati di quel presidente del Soviet di Pietroburgo che era Trockij). Tale fu la facilità di generalizzazione, nonchè di radicalizzazione spontaneamente organizzata del movimento dei Consigli che, nella rivoluzione russa del 1917, essi furono la struttura portante della partecipazione proletaria all'assalto bolscevico al potere. E solo quando Lenin, con le astute Tesi di Aprile, elaborate per fini di gestione e recupero, comprese la loro reale importanza, il partito bolscevico cominciò a contare un seguito popolare e proletario non più minoritario rispetto ad altri partiti, in specie menscevico e socialista-rivoluzionario. "Tutto il Potere ai Soviet" divenne lo slogan capace di rendere omogeneo un movimento che, data l'arretrata struttura dei rapporti di produzione in Russia, al di là di una pur reale rivendicazione di liberazione completa, non trovava, né lo poteva, il terreno per svilupparsi sino alla vittoria totale, nel rispetto dei caratteri anti-burocratici e anti-capitalisti che ne erano stati i termini fondanti e determinanti.


I penosi risultati di questa sconfitta i proletari europei la pagarono pochi anni dopo con la Resistenza dove i blocchi partigiani, che avevano avuto le loro premesse in Spagna, significarono il blocco unito di operai e capitalisti, sotto l'occhio vigile dei burocrati affossatori delle volontà rivoluzionarie espresse da rari gruppi di proletari radicali, per la ricostruzione "democratica" dell'economia capitalista, cioè per l'estensione a tutti gli aspetti della vita di quel dominio capitalista che il fascismo aveva saputo così abilmente "modernizzare".

IL SENSO POSITIVO DEI CONSIGLI
I Consigli furono dunque la forma che il proletariato espresse tutte le volte in cui storicamente si pose come classe soggettivamente cosciente. In quanto tale, il presupposto dei consigli proletari fu l'abolizione immediata, all'interno dell'organizzazione rivoluzionaria, della reificazione capitalista fondata sulla divisione pratica delle funzioni. Infatti il Consiglio proletario nasce come momento autonomo unificante in cui si fondono dialetticamente, all'interno della lotta, la funzione direttiva e quella esecutiva, la qualificazione politica e la rivendicazione economica; all'interno della dittatura proletaria, il momento esecutivo e quello legislativo, conciliando così funzioni storicamente separate. In questo senso, il Consiglio rappresenta la prima forma autenticamente vissuta degli scopi della rivoluzione: l'abolizione della divisione del lavoro (anche se non si giunse mai a proporre l'abolizione del lavoro tout court), la riunificazione delle funzioni, il superamento della falsa antitesi voluta dal capitale tra "individui autonomi" e comunità sociale. Il che in altri termini significa che il proletariato, nella misura in cui raggiungeva coscienza di sè, all'interno della lotta, divenuta finalmente rivoluzionaria,esprimeva immediatamente come per sè necessaria l'esigenza della creazione di una comunità d'azione autenticamente proletaria, ponendosi contemporaneamente come momento autonomo di lotta, e come superamento, già in sè configurato, della comunità reificata del capitale. Queste furono essenzialmente le caratteristiche della forma Consiglio, anche se i contenuti specifici che essi portarono avanti dipesero evidentemente dalle situazioni particolari in cui fiorirono e si diffusero.

LE CONTRADDIZIONI DEI CONSIGLI.
Ma nei Consigli ciò che contraddiceva a questi principi era, paradossalmente, proprio la forma storica del Consiglio stesso. Rispetto infatti alle esperienze burocratiche (dalla IIa Internazionale, alle degenerazioni leniniste),che ancora vedevano come necessaria o perlomeno imprescindibile ai fini della lotta, la divione tra essere e coscienza, il Consiglio si poneva più come un allargamento quantitativo del principio democratico, che come un'estensione qualitativa del concetto di comunità. Si pensava infatti che la democrazia, condotta alle sue estreme conseguenze potesse perdere i propri connotati eminentemente borghesi. Democrazia poteva invece ancora significare una rivendicazione sostanzialmente proletaria,anche se solo tattica, nella misura in cui i1 capitale non si era ancora costituito completamente in comunità materiale, non aveva ancora coinvolto nella sua logica, come partecipi effettivi alla gestione economica ed ideologica dell'esistente, tutti i ceti e gli strati della popolazione. Quando ciò materialmente avvenne, la democrazia si pose come risposta reificata alle esigenze di comunità autogestita, rendendole spettacolo vanificato di sè, in cui l'apparenza non è altro che la copertura reale dell'interiorizzazione divenuta cosciente del proprio sfruttamento, all'interno di strutture volte a pianificarlo o a mantenerlo.
L'USO CAPITALISTA DEI CONSIGLI.
In questo senso il Consiglio nacque già in forma ambigua e, in quanto tale, si ebbe dalla storia la verifica della sua inadeguatezza rispetto al compito che esso stesso si pose coscientemente. Inadeguatezza che permise, in ultima analisi, che i Consigli, da momento autonomo dell'organizzazione del proletariato, divenissero di fatto momento fondamentale del suo recupero e della sua sconfitta.
IL MOVIMENTO DEI CONSIGLI IN ITALIA
In Italia il movimento dei Consigli fu geograficamente limitato ai centri industriali del Nord ed in special modo alla cerchia di Torino, dove essi assommarono in sè la maggior combattvità ed i contorni più caratteristici di organizzazione autonoma. In effetti vi furono alcuni tentativi, da parte dei gruppi operai più radicali, di estendere la qualità del movimento a zone proletarie della città (esemplare il caso di Borgo San Paolo a Torino, dove spesso il Consiglio, nato in grandi fabbriche come la Lancia, cercò di coinvolgere tutta la popolazione proletaria nei suoi obiettivi di riorganizzazione eversiva della vita sociale). Ciononostante la vita dei Consigli rimase perlopiù confinata nelle fabbriche, sia materialmente che come prospettive di lotta. Questo fu uno dei motivi fondamentali, accanto alla nefasta influenza delle preesistenti organizzazioni burocratiche e riformiste, per cui non riuscirono a superare la contraddizione tra capitale e lavoro, se non riorganizzando per sè la produzione nelle fabbriche occupate. La critica al lavoro, perciò, fu sviluppata ancora in nome del lavoro e non per la sua abolizione, la lotta all'esistente ancora all'interno dei meccanismi di produzione esistenti. Tutto ciò consentì ad un recuperatore come Gramsci di teorizzare questi limiti individuando nei Consigli un semplice organismo di democrazia operaia e di gestione aziendale all'interno delle forme intangibili del partito leninista.

I CONSIGLI IN GERMANIA
Il paese in cui la forma Consiglio trovò maggiore sviluppo, e che per ciò stesso presentò caratteristiche più differenziate mettendo più chiaramente in luce la propria realtà e i propri limiti, fu la Germania. A Berlino, a Monaco ed in seguito in molte altre regioni, in specie della Germania centrale, i Consigli toccarono il momento più alto di coscienza proletaria fino ad allora espresso, costituendo la forma con cui i proletari difesero la loro collocazione di classe, allorchè il proletariato era ancora una classe particolare al fianco di altre classi. Tuttavia anche in Germania il movimento non superò le sue contraddizioni sia a livello di organizzazione sociale alternativa, sia a livello teorico. Per quanto riguarda l'organizzazione sociale i Consigli non seppero rompere del tutto la dimensione aziendale e corporativa e quando tentarono di farlo rimasero inchiodati alle scadenze capitaliste, per cui i momenti insurrezionali, pur estremamente combattivi e talora eroici, furono assai più spesso esplosioni di rabbia per la sconfitta che stava maturando che non generalizzazioni di livelli teorici e pratici già raggiunti dal proletariato come classe per sè. D'altra parte anche i teorici "estremisti" del K.A.P.D., che pur individuando nei consigli la forma organizzativa più efficace per il proletariato occidentale e che correttamente criticarono il Partito Comunista ufficiale e burocratico - pedissequamente legato agli schemi leninisti, non seppero rompere del tutto con la vittoriosa concezione bolscevica della rivoluzione e perciò con le divisioni tra la sfera economica (gestita essenzialmente dall'A.A.U.D.) e quella più propriamente politica, riservata al partito. Solo l'A.A.U.D.-E., nata da una scissione, (ed Otto Rhule in primis) tentò di superare la forma partito e di dare al Consigli un carattere totale e totalizzante. Ma anch'essa, sia per i contraddittori rapporti con il K.A.P.D. sia per la sua relativamente debole influenza, finì per impantanarsi nelle generali contraddizioni del movimento e nelle sue sconfitte. Esemplare a questo titolo il tentativo insurrezionale del marzo '21 (che Ruhle fu tra i pochi ad analizzare con coerente lucidità critica) in cui la delirante politica dell'Internazionale Comunista con la demente e velleitaria obbedienza del K.P.D., pronto però a rimangiarsi in fretta il tutto, portò alla sanguinosa sconfitta del proletariato tedesco, con i militanti del K.A.P.D. e delle sue organizzazioni di fabbrica incapaci, nonostante eroici tentativi, di sfuggire al ruolo di "carne da cannone" loro assegnato dai bolscevichi. In definitiva, come tendenza generale e nonostante i tentativi sopraddetti, i Consigli non uscirono, se non in rari momenti ed in singole regioni, da una prospettiva riformista e, in ultima analisi, confacente alle esigenze di riorganizzazione del capitale tedesco uscito menomato dal conflitto mondiale: anzi il capitale riuscì a non accollarsi da solo il compito di ricostruzione e di ristrutturazione della potenza germanica, lasciando che gli strati proletari, e soprattutto i loro "rappresentanti", partecipassero in prima persona alle responsabilità di governo e di gestione.
LA COLLETTIVIZZAZIONE IN SPAGNA
Ad ulteriore dimostrazione di come la forma Consiglio, con contenuti specifici differenziati di volta in volta, si fosse estesa in regioni diverse dell'Europa, le collettività spagnole, nate dalla rivoluzione del '36 e che diedero il senso complessivo a tutta la guerra civile, si presentano come ultima forma dell'ultimo esistere del proletariato come classe particolare. Ma la guerra civile spagnola, colossale provocazione antiproletaria, doveva portare alla stroncatura, almeno per un lungo periodo, del movimento proletario internazionale, chiuso com'era nella morsa di fascismo, stalinismo e riformismo. Per cui ai nostri occhi le collettività spagnole oggi rappresentano la forma estrema di difesa dello spirito rivoluzionario ancora sopravvissuto alla controrivoluzione degli anni trenta. L'inevitabile sconfitta non fu dovuta soltanto ai tradimenti interni, dalla feroce repressione e provocazione controrivoluzionaria dei "comunisti" stalinisti ai vili compromessi governativi di molti dirigenti anarchici. Ma essa fu causata, ancor più dallo stato dì debolezza e di confusione del proletariato mondiale che non seppe offrire una effettiva solidarietà di lotta ai rivoluzionari spagnoli. Da ciò tutte le contraddizioni intrinseche al movimento di collettivizzazione in Spagna, che unì a momenti di elevata socializzazione rivoluzionaria, come in Catalogna ed in Aragona, momenti di chiara gestione proletaria del capitale e del lavoro alienato, così com'era voluto dal fronte unitario, certamente antifascista a livello formale ma non anticapitalista a livello reale.
Da forma primitiva esprimente nei contenuti il superamento dell'ordine reificato del capitale, essi divennero forma definitoria del loro opposto, cioè dell'organizzazione del capitale stesso nella sua forma più avanzata. In effetti il capitale desunse dalle forme organizzative direttamente proletarie i caratteri fondamentali della sua offensiva antiproletaria, e ciò non solo per la logica interna di sviluppo del capitale, che trova sempre forza ed impulso dal porsi storico del proletariato, ma anche per le forme e i contenuti storicamente limitati dell'azione proletaria che offrirono oggettivamente lo spunto per questa opera di recupero e di riconversione.



Tutte le forze e tutti i gruppi rivoluzionari che in seguito vollero dire qualcosa di significante e tentare di esprimere una continuità storica, dovettero fare i conti con la precedente esperienza consiliare. Questa tematica la vediamo infatti imporsi come fondamentale in quei gruppi (tedeschi, olandesi, italiani, belgi, inglesi, francesi, bulgari ed americani) che direttamente o indirettamente erano maturati nell'esperienza delle lotte degli anni '20, sia soprattutto in quei gruppi che riscoprirono il significato dei Consigli dalla rivolta proletaria ungherese del '56. Tuttavia in gruppi tipo Socialisme ou Barbarie, che peraltro ebbe un'influenza importante su molte delle esperienze successive, la tematica consiliare rimase fine a sè stessa, legandosi a prospettive di autogestione che si limitavano a criticare le forme del lavoro alienato senza peraltro proporre l'abolizione del lavoro stesso. Perciò le sconfitte storiche del movimento dei Consigli per costoro divennero pateticamente delle proposte vincenti. Essi stessi si resero in parte conto delle contraddizioni in cui si erano impelagati , ma cercarono di superarle con un "modernismo" ideologico che li spinse tra le losche braccia del culturalismo di sociologhi laidamente recuperatori, tipo Edgar Morin. Oggi ovunque, ed in specie in Francia, la tematica consiliare è ripresa da moltissimi gruppi di cui tuttavia non vale la pena di parlare poichè la loro rozzezza ideologica ed il loro operaismo gruppuscolare li squalificano di per sè, relegandoli al ruolo di stanchi ripetitori di esperienze storiche che, sia pure in modo contraddittorio, espressero ben altra vitalità. Ben diversa qualitativamente è l'esperienza teorica che ha fatto capo all'Internazionale Situationniste. In effetti l'I.S. seppe partire dall'esigenza di una critica radicale dell'esistente sociale, ponendo in primo piano la critica della vita quotidiana, la lotta contro l'ideologia, l'analisi della società mercantil-spettacolare e la riscoperta del senso della vita contro l'organizzazione della sopravvivenza. Per giungere però a riproporre come sbocco rivoluzionario i Consigli Operai, schematicamente ripescati dalla storia, ricadendo in quegli errori di operaismo e di ideologia che essa stessa aveva correttamente criticato. L'incapacità di sviluppare l'analisi dell'ideologia in quanto struttura portante dell'attuale dominio capitalista ha impedito ai situazionisti di comprendere sino in fondo le loro stesse intuizioni riguardo ai connotati del proletariato moderno e delle sue forme di lotta, rispolverando quei Consigli Operai che, sconfitti come organizzazione storica del proletariato in quanto classe particolare, si presentano come forma inadeguata rispetto al porsi dell'umanità stessa in quanto classe in sè e, soprattutto, per sè, unica risposta possibile all'organizzarsi del capitale in comunità materiale. Quindi una critica che tendeva alla totalità ma che non è riuscita ad andare sino alle conseguenze estreme dei suoi presupposti ha potuto, anche per la degenerazione di tipo politico del gruppo dei situazionisti, soddisfarsi di una soluzione che più che altro funziona da statico modello mal compreso e peggio riproposto.

LE NOSTRE ESPERIENZE CONSILIARI.
Queste le fondamentali esperienze organizzative e teoriche di cui si possono ritrovare le tracce nei gruppi di cui alcuni di noi sono stati membri, in special modo LUDD e l'Organizzazione Consiliare di Torino. La tematica dei Consigli ebbe comunque in Ludd e nell'O.C. una funzione essenzialmente ideologica, mal connettendosi con l'insieme delle posizioni espresse. Ideologica poichè perlopiù funse da riferimento acritico, da schema interpretativo, da parametro statico con cui misurare le tendenze e le espressioni del proletariato moderno. Ai di là della tematica consiliare Ludd rappresentò invece un tentativo, peraltro ancora incoerente, di riscoprire e rendere cosciente il vero significato della rivoluzione, riprendendo l'eredità del pensiero rivoluzionario che, nel frattempo, l'organizzazione istituzionale del recupero aveva cercato di occultare in ogni modo. Alla base della critica di Ludd restava il fondamento di riconoscere la coscienza (nel senso di coscienza della possibilità oggettiva) come momento inseparabile della prassi, in quanto soggetto di essa, e quindi inconciliabile con ogni separazione (coscienza-proletariato, partito-masse, economia-politica). Il che significa ricollocare il proletariato al centro del movimento che riconduce alla totalità, negando nella prassi tutti quei momenti fittizi che traggono origine proprio dalla parzialità (avanguardie & partiti). In questo senso andava rifatta una lettura critica di Marx, attraverso le esperienze della Luxemburg, di Korsch, di Lukacs, dì Pannekoek, di Ruhle, fino a giungere alla tematica di Socialisme ou Barbarie, ed all'identificazione dell'autogestione cosciente come momento dì riunificazione della classe. Ludd non poteva che negare la validità di qualsiasi esperienza che, non andando al di là della parzialità imposta dal capitale come momento necessario alla produzione, teorizzasse la separazione come momento "necessario" dell'organizzazione, contrapponendo a ciò l'esigenza della riunificazione del proletariato non più come oggetto dell'organizzazione, ma come soggetto della propria emancipazione.

LUDD
In Ludd le intuizioni critiche sulla realtà oggettiva dello sviluppo del capitale, per quanto reali fossero, nella misura in cui non trovarono mai le connessioni con la pratica che da esse deve derivare come necessaria, restarono a livello di momenti di ideologizzazione puramente soggettiva, a cui faceva riscontro un'oggettività totalmente annessa alla pratica sociale del capitale, dove le differenziazioni (di gruppo) erano un momento puramente descrittivo delle leggi di produzione. In questo senso la critica, il più delle volte mutuata da realtà ben più vitali, era il semplice pretesto dietro a cui si mascherava la passiva accettazione di strutture viste come immodificabili, per cui la rivoluzione, momento finale di una dialettica inesistente se non nelle teste di chi la pensava, escludeva da sè ogni partecipazione autonomamente autodeterminatasi. Così molti "ludditi", da distruttori dell'universo reificato delle macchine, poterono senza apparente rottura di continuità, diventare i difensori "radicali" del loro possesso. Nonostante la critica della politica e dell'ideologia dominanti, Ludd restò nel campo dell'espressione ideologica e politica, ed al suo interno gli individui mantennero inalterati i rapporti inorganici che l'attuale struttura sociale impone come unici possibili, senza nemmeno cercare la ragione reale del loro superamento all'interno di "teorie" che formavano soltanto, per chi lo esprimeva, il necessario "bagaglio culturale" del moderno produttore e consumatore di prodotti ideologici predeterminati.
  L'ORGANIZZAZIONE CONSILIARE
L'Organizzazione Consiliare, per quanto cercasse di rovesciare 1'inesistente pratica di Ludd, ritrovando il senso coerente dell'organizzazione come momento qualitativamente superiore ed in questo senso riscoprisse per prima la realtà autonoma delle nuove forme di espressione del proletariato moderno, non più a livello di modelli astorici, ma nella realtà della pratica criminale sovversiva della quotidianità, restò ugualmente prigioniera dei limiti ideologici di tutti i gruppi consiliari, protraendo la propria esistenza al di là della sua necessità, fino a che la degenerazione dell'organizzazione, ancora una volta autonomizzatasi in forme alienate, non ne impose agli individui più coscienti l'immediato scioglimento.
 I COMONTISTI
Il superamento che i comontisti intendono realizzare rispetto a questo loro recente passato prima che essere una conseguenza teorica, trae la propria necessità dalla pratica e da questa principalmente può essere desunto. Infatti la comunità di intenti e d'azione, alla cui costruzione Comontismo tende, più che il prodotto di una continuità storica è il frutto e l'espressione coerente della rivoluzione in atto, che rompe ogni continuità, anche se riconosce in certe forme rivoluzionarie del passato, le sue premesse, sia pure in forme incoerenti. Dal momento che essa non può riconoscere altra pratica ed altra finalità che quella del piacere coscientemente vissuto e organizzato, necessariamente antitetico alla reificazione ed alla sopravvivenza, la comunità d'azione non è più in alcun modo ricollegabile alle passate organizzazioni consiliari, e per ciò stesso non può essere ridotta a vuoto feticcio dai mille usi (cfr. l'uso strumentale ed indiscriminato delle tesi consiliari da parte di tutta la sinistra tradizionale, dal PSI fino al Potere Operaio attraverso la mediazione neogramsciana del Manifesto e di simili gruppi tardoconsiliari). Al contrario, poiché la comunità d'azione si pone con il proprio modo di vita, con l'intera sua quotidianità, in un'ottica dove ogni parzialità, ogni separazione tra soggettivo e oggettivo, tra teorico e pratico, tra nucleo eversivo e rivoluzione globale, tende dialetticamente a risolversi, essa costituisce col solo limite quantitativo (e per ciò, trattandosi di individuì coscientì, qualitativo) che il livello attuale dello scontro anticapitalista impone, la più completa espressione della nascente "classe umana" (erede storica del proletariato rivoluzionario), negatrice del capitale, del dominio delle cose sugli uomini.



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