Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

* * *

«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

* * *

«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

2 febbraio 2009

Capitalismo e carattere

Note in margine a "Reich, modo d'uso" di J-P.Voyer*

di Fabrizio Bernardi


Tutto accade come se l'uomo cercasse soltanto
una certa forma di sicurezza nel terrore.
(G.Henein)

Si rimprovera al marxismo di essere  «grossolanamente
riduttivo» perché spiega ogni cosa riconducendola
all'attuale organizzazione economica, quando
non è nella teoria ma nella realtà che l'economia
«riduce» tutta la vita degli uomini.
(J.Semprun)

1. Dal tempo in cui Reich conduceva le sue ricerche sulle resistenze caratteriali, la peste emozionale si è ulteriormente diffusa e approfondita. Il carattere nevrotico è stato sostituito, quale tipo di personalità dominante – perlomeno nelle società a capitalismo avanzato – da quello schizoide. La differenza è sostanziale: mentre il primo, infatti, è schematicamente il risultato della repressione e del contenimento dei desideri, il secondo è invece identificabile con una soppressione radicale del desiderio in quanto tale(1). Notiamo, en passant, come sia stato precisamente questo passaggio a consentire la spettacolarizzazione/mercificazione generalizzata della sessualità e, in generale, la colonizzazione integrale dei corpi(2), quale risposta del dominio capitalista alle istanze di liberazione sessuale-affettiva emerse – in opposizione alla vecchia morale sessuofobica e strettamente intrecciate con il conflitto sociale – nel corso del secolo scorso, e alla loro valenza sovversiva.  
La struttura schizoide, con la sua scissione radicale tra un Io incorporeo, da un lato, e la dimensione corporeo-emozionale dall'altro, con il suo "sistema dei falsi io", con le sue derealizzazioni e spersonalizzazioni, costituisce la forma di adattamento individuale più appropriata al dominio reale del capitale, alla iper-spettacolarizzazione dell'intera vita sociale e ai processi di soggettivazione di attribuzione di ruoli e identità fittizie che essi mettono in opera(3).
Questo adattamento, questa interiorizzazione delle leggi dell'economia, questa antropomorfosi del capitale, si traduce in una specularità e in un intreccio tra il processo della valorizzazione capitalistica e il movimento di autovalorizzazione dell'Io(4), riscontrabili innanzitutto nel fatto banale che ad un crescente autonomizzarsi dell'Astratto capitalistico dalla dimensione materiale dei bisogni umani a livello sociale (dove già il desiderio risulta manipolato e degradato a forme sopravvivenziali cioè, per l'appunto, a bisogno), corrisponde un identico autonomizzarsi dell'Io rispetto alla concreta materialità del corpo, che viene ridotto a mera appendice di un'istanza superiore e dematerializzata – così come, nella società del capitale, l'individuo proletario, integralmente sottomesso al processo di valorizzazione, è degradato in ogni ambito della sua esistenza a forza-lavoro, consumatore di merci-rappresentazioni e carne da cannone(5).
Nondimeno, come è ovvio, si tratta di un movimento contraddittorio e, in quanto tale, foriero di conflitti, come testimonia la sempre più larga diffusione di sindromi depressive, suicidi, pandemie(6), episodi di violenza apparentemente ingiustificati e comportamenti autodistruttivi di ogni sorta, sintomi di una conflittualità sociale latente che ancora stenta a trovare uno sbocco positivo sul piano storico e collettivo.
L'energia vitale del corpo, in questo contesto, diventa la forza-lavoro subordinata ad un Io-capitale che, per valorizzarsi, ovvero per sopravvivere come tale, deve vendere le proprie merci-immagini sul mercato delle identità, dove il riconoscimento da parte dello Spettacolo costituisce l'equivalente generale di ogni scambio, in un ciclo accumulativo tendenzialmente senza fine (in entrambi i significati del termine).
«L'applicazione della forma-capitale ad ogni cosa – capitale salute, capitale abbronzatura, capitale simpatia etc. – e in modo più particolare al corpo, significa che la mediazione tramite la totalità sociale alienata si è introdotta nei rapporti finora retti dall'immediatezza»(7).
Naturalmente questo movimento è legato a doppio filo sia alla funzione ricoperta da ciascuno all'interno della produzione sociale, sia alla compravendita, sul piano della circolazione reale, di merci ad un sempre più alto tasso di concentrazione spettacolare, il cui valore d'uso tende reciprocamente a zero.
Jean-PierreVoyer, nel suo Reich, modo d'uso, già notava come il corazzamento caratteriale produca «individui degradati, spossessati al massimo grado di intelligenza, di sociabilità e di sessualità, e conseguentemente davvero indipendenti gli uni dagli altri, condizione ideale per il funzionamento ottimale del sistema automatico della circolazione delle merci»(8).
Ma vi è di più: il contenuto spettacolare della merce viene immediatamente inglobato nel sistema delle immagini egoiche:
«L'ingresso nell'effettività delle rappresentazioni spettacolari – fenomeno universalmente noto con il termine di "consumo" – dipende totalmente da quella concorrenza mimetica cui il Bloom è spinto dalla propria nullità interiore. [Questo] imperativo tirannico risulterebbe semplicemente ridicolo se, nel regno dello Spettacolo, essere non significasse essere diverso – o almeno sforzarsi di sembrare tale»(9).
Il consumo, con la sua duplice natura, ad un tempo omologante e differenziante, è volto ad ottenere una visibilità sociale, la cui unica funzione è quella di compensare il fondamentale vuoto di senso di esistenze definitivamente spossessate di ogni attività e relazione comunitaria reali.
Incontriamo qui una prima contraddizione che, se da una parte costituisce il fondamento sul piano soggettivo di questo movimento, dall'altra lo mina alla base:
 «L'imprigionamento del soggetto vivente in rappresentazioni mercantili provoca notevoli fenomeni emotivi, in cui si alternano due fasi: a) nel momento della soddisfazione mistificata, eccitazione gioiosa, impressione di potenza, autocontemplazione entusiasta; b) la successiva delusione porta con sé un sentimento di spossessamento, di devalorizzazione, di angoscia, d'irritabilità aggressiva e sempre una maggior sete di nuovi surrogati»(10).
Ma nella misura in cui questa spirale accelera, sotto la pressione delle esigenze di valorizzazione del capitale e di autovalorizzazione dell'Io, si fa strada nel sentire di ciascuno il carattere illusorio della soddisfazione – si afferma, per quanto in modo ancora oscuro e confuso, la coscienza dello spossessamento. La sovrapproduzione di immagini egoiche e di identità fittizie, infatti, rende sempre più difficoltosa la realizzazione del loro "valore" sul mercato delle rappresentazioni spettacolari; la loro crescente deperibilità, conseguenza della sovrapproduzione, fa del riconoscimento sociale che esse dovrebbero garantire qualcosa di vieppiù incerto ed effimero.
Esattamente come accade sul piano della produzione/riproduzione sociale, una forza-lavoro recalcitrante e un'intensificazione della concorrenza tra capitali possono avere come esito la crisi. A questo livello, la crisi coincide con l'incapacità dell'Io di autovalorizzarsi, che si manifesta in stati depressivi più o meno conclamati,  più o meno riconosciuti come tali, più o meno "somatizzati". In questa situazione, gli Io-capitale più deboli soccombono. Gli altri, invece, sono costretti a ristrutturarsi, al fine di ristabilire ed accrescere il proprio dominio sul corpo (mediante terapie, uso intensivo di psicofarmaci, droghe di ogni tipo: dall'eroina al lavoro, dall'aspirina alla televisione) e riconquistare posizioni di forza sul mercato, eventualmente ricorrendo all'investimento in nuove produzioni-identità. Così, come sempre, dalla crisi sorge un nuovo ciclo di sviluppo, che sposta le contraddizioni ad un più alto livello di alienazione(11).
Nondimeno la crisi, laddove il contesto ambientale sia favorevole, porta con sé anche l'aprirsi di possibilità altre, rispetto alla dinamica necrogena del capitale e alla spirale perversa crisi-sviluppo(12). Essa è precisamente la condizione ideale in cui le forze che premono in direzione della vita e di una nuova corporeità desiderante, possono emergere ed affermarsi contro il lavoro emozionale morto, fissato nell'Io-capitale e nella corazza carattero-muscolare che lo materializza (in Reich, la corazza è per l'appunto energia vitale "fissata" e impiegata a neutralizzare sé stessa). Il punto è che, anche laddove riescano per un breve istante ad imporsi, a livello del singolo individuo, queste forze sono per lo più ricacciate indietro, o costrette alla stagnazione, dalla pletora di dispositivi di disciplinamento e controllo approntati dal capitale (istituzioni psichiatriche, psicoterapie, pressioni dell'ambiente, tendenze interne alla restaurazione del dominio egoico etc.). 
Soltanto all'interno di un quadro rivoluzionario, di un'attività di profonda e radicale trasformazione della realtà sociale, il processo di autotrasformazione degli individui può giungere ad un esito positivo di liberazione, sebbene oggi non sappiamo in quali forme concrete esso eventualmente si potrà dare. D'altra parte, è altamente probabile, stanti gli attuali livelli di alienazione dai nostri corpi e dal mondo che ci circonda, che la dissoluzione del carattere (poiché, come afferma Voyer, ogni tratto caratteriale, ogni cronicità del comportamento umano sono da considerarsi "patologici") dovrà passare non soltanto attraverso le esperienze del piacere, della gioia e dell'estasi, ma anche quelle del dolore e della follia. Se è vero, infatti, che alla glaciazione sociale di cui ci parla Riccardo D'Este(13), corrisponde un'identica glaciazione del vivente, il dolore può rappresentare, in un corpo congelato e desensibilizzato, il segno del risveglio della vita.
L'esperienza della follia, come "viaggio interiore", come esplorazione del Sé (che non implica necessariamente una chiusura solipsistica rispetto alla realtà "esterna", ma che anzi va intesa come la scoperta, talvolta dolorosa, di un modo nuovo di percepire e di relazionarsi al mondo e agli altri) sarà per molti un passaggio obbligato. E' merito dell'antipsichiatria radicale avere mostrato come la follia non si collochi al polo opposto di un presunto stato di salute "mentale", ma sia, al contrario, il percorso che conduce da quella condizione strutturalmente patologica che va sotto il nome di "normalità", ad un'autentica salute emozionale, alla riappropriazione, cioè, da parte dell'individuo, dell'intera gamma delle proprie potenzialità. Laddove questo processo di autoconoscenza e autoguarigione, anziché essere inibito dall'organizzazione sociale della normalità, sarà incentivato, in un contesto di condivisione delle esperienze e di distruzione della cappa oppressiva della società del capitale, potrà condurre ad un'auspicabile e necessaria evasione di massa dalle prigioni del carattere(14).
E poiché il carattere non è, in fondo, che il terrore della libertà; poiché quest'ultima – contrariamente alla concezione voltairiana e borghese(15) – non risiede astrattamente nel singolo individuo isolato, bensì nell'immediatezza delle relazioni umane, il passaggio cui abbiamo qui sommariamente accennato sarà decisivo per l'esito positivo di un futuro processo rivoluzionario – che intendiamo appunto come comunizzazione di tutti i rapporti, soppressione di tutte le mediazioni alienate, produzione immediata di comunismo(16). 

2. L'affermarsi della personalità schizoide, nella società contemporanea, si accompagna all'involuzione del rapporto fondamentale madre-figlio nel senso di una sua crescente "asetticità". Senza voler tralasciare l'aspetto strettamente "economico" del problema, quello per cui la madre, allorché sia costretta a lavorare per garantirsi la sopravvivenza, impone al bambino un distacco precoce, essa per lo più si prende cura del suo piccolo e ne soddisfa con sollecitudine i bisogni fisici immediati: lo accudisce, lo lava, lo veste, lo nutre etc. Ciò che spesso manca, però, è l'affetto, il calore, l'amore. A contare, dal punto di vista della madre, non sono tanto i desideri  del bambino – in primo luogo il desiderio di intimità – quanto piuttosto il suo adattamento a un modello di perfezione (socialmente definito!), testimonianza vivente del fatto che ella è una “buona” madre. Basti pensare, a titolo di esempio, alla crescente medicalizzazione della vita dell’infante: medici, pediatri e ogni sorta di specialisti intervengono, in forma sempre più invasiva, a mediare il rapporto tra madre e bambino. Questi viene regolarmente pesato, misurato, sottoposto a visite etc., e fatto poi rientrare a forza nei modelli statistici che presiedono alla definizione della “normalità” e della “salute”.
Il bambino, posto in questa situazione, resiste e si ribella, dando vita a una vera e propria lotta di potere con la genitrice; ma alla fine il suo stato di dipendenza assoluta lo costringe alla resa. Per allontanare l'indicibile dolore del mancato appagamento e il terrore della violenza omicida di cui inconsapevolmente la madre lo rende oggetto, non volendo né sapendo esaudire le sue richieste (talvolta è sufficiente uno sguardo o un particolare tono della voce a spaventare a morte un neonato), egli si rende insensibile al desiderio dell’amore e del corpo materno, reprime la rabbia e il pianto, diventa un “bravo bambino”; ma conserva, nelle profondità dell’inconscio, l'illusione che la sua sottomissione gli consentirà di riguadagnare l’amore perduto(17).
Questa illusione è alla base di tutti i condizionamenti sociali successivi: la ricerca parossistica del riconoscimento sociale, basata sul sacrificio integrale di sé, la perdita di contatto con la realtà del proprio corpo e del mondo, di cui la perdita di contatto con il corpo della madre costituisce il presupposto, rappresentano il fondamento caratteriale di tutte le manipolazioni poste in essere dal dominio spettacolare. 
Nella misura in cui, nella nostra epoca, questo processo di domesticazione ha inizio fin dai primissimi giorni di vita(18), la forza vitale dell’individuo e la sua stessa facoltà desiderante ne risultano gravemente compromesse. È questa radicale soppressione del desiderio, insieme all'estrema limitazione della vita emotiva che ne è il portato, a definire in primo luogo – come si è accennato – la scissione schizoide. Quest’ultima, in fondo, non è che la difesa dall’orrore di un mondo arido, insensibile, ostile. Quel mondo che per il neonato è il corpo della madre; ma che prelude alla realtà della non-vita capitalista nella quale egli si troverà esiliato da adulto.

3. In taluni testi di psicanalisi o di discipline affini il prototipo del "rivoluzionario" viene descritto come un individuo "nevrotico" che, nel rivoltarsi contro la società, si ribella in realtà, inconsciamente, soltanto contro l'autorità parentale. Questa sorta di luogo comune psicanalitico contiene certamente un elemento di verità. Ma si tratta di una verità parziale, semplicistica, dunque mistificante. La psicanalisi, non potendo fare proprio il punto di vista della totalità  e della sua interna dialettica (come d'altronde ogni altra "scienza umana" – e non – sorta in contesto capitalista), rimuove necessariamente dalla propria coscienza la dimensione sociale dei fenomeni e, per quanto si pretenda "critica", finisce soltanto col giustificare l'esistente. Applicando acriticamente il principio meccanicista di causalità al nesso società-individuo, la psicanalisi commette un errore simmetrico rispetto a quello di certo marxismo determinista e fa risalire ogni fenomeno e ogni tara sociale a processi e conflitti intrapsichici. Nella migliore delle ipotesi, essa arriva a teorizzare una (irrealizzabile) terapeutica di massa, quale condizione necessaria e preliminare a qualsivoglia trasformazione sociale: «prima cambiate voi stessi, poi potrete cambiare la società» (19).
Certamente, almeno nella nostra epoca, il rivoluzionario, il ribelle non contestano la società e il potere costituito a partire da una joie de vivre che rimane ancora tutta da inventare, né sulla base di un'autonomia individuale – preservatasi per qualche misteriosa ragione pura e inalterata – che andrebbe a confliggere con i meccanismi repressivi della società: la rivolta contro lo stato presente delle cose nasce piuttosto dalla radicalità della nostra alienazione. Perciò, se è vero che le figure parentali, o le eventuali figure sostitutive, costituiscono nient'altro che il medium attraverso cui la società, intesa come totalità separata, plasma l'individuo in funzione della propria autoriproduzione, la ribellione contro il dominio risulta necessariamente essere mediata – in un complesso gioco di interiorizzazioni e proiezioni – da quella più o meno inconsapevole contro l'autorità dei genitori (20). Questo, però, nulla toglie alla sua valenza sociale!
D'altra parte, nella misura in cui questa mediazione rimane inconsapevole e non viene conseguentemente criticata e attaccata, introduce nella rivolta un elemento di disgregazione. Questo spiega, dal punto di vista dei moventi individuali, l'intreccio di rivoluzione e controrivoluzione presente in ogni grande movimento sociale, intreccio le cui linee di forza si dispongono all'interno degli individui stessi. Spiega, cioè, come la passione rivoluzionaria possa rovesciarsi in ruolo e il desiderio di radicalità e di liberazione in volontà di potenza.
Come si vede, non facciamo qui altro che ribadire – considerando la questione da un'angolazione solo un poco diversa – l'esigenza rivoluzionaria del superamento della schiavitù caratteriale, contraltare necessario all'abolizione della schiavitù salariata. Qualunque movimento rivoluzionario non riconosca che la lotta di classe si svolge anche all'interno di ciascun individuo e non riesca a dare una soluzione, a un tempo teorica e pratica, a questa esigenza, è destinato a rovesciarsi nel suo opposto.

4. Il gruppo francese Tiqqun, seppure attraverso l'utilizzo di categorie e concetti talvolta oscuri ed eccessivamente "metafisici" (esso, del resto, è apertamente fautore di una "metafisica critica"), ha tentato un'analisi della specifica contraddizione, nonché delle potenzialità sovversive, che contraddistinguono la figura del "Bloom" – cioè a dire l'uomo-massa contemporaneo – che comprende, nella sua condizione esistenziale, tutti i tratti della personalità schizoide
«(...) più lo Spettacolo e il Biopotere si perfezionano, mentre l'apparenza e le condizioni elementari della nostra esistenza acquistano un'autonomia sempre maggiore e il mondo si sconnette dagli uomini facendosi estraneo ad essi, più il Bloom rientra in sé stesso, si approfondisce e riconosce la propria sovranità interiore nei confronti dell'oggettività. Esso si separa in modo sempre più indolore dalle proprie determinazioni e dalla propria "identità", affermandosi, al di là di ogni effettività, come pura forza di negazione»(21).
Ronald D.Laing, nell'Io diviso, aveva già messo in evidenza come le strategie di difesa dell'Io schizoide lo conducano inerzialmente verso un crescente senso di distacco e di estraneità rispetto sia al mondo "esterno", sia al "sistema dei falsi io", fino, in taluni casi, alla "crisi psicotica".
Ora, però, secondo Tiqqun, questa separazione radicale dell'Io interiore dal mondo e dal corpo, porterebbe ad un'omogeneizzazione, ad una sorta  di egualitarismo dell'assenza a sé stessi e, infine, all'emersione della vera essenza comune dell'uomo:
«Soltanto un'alienazione radicale del Comune ha potuto far sorgere il Comune originario in modo tale che solitudine, finitudine ed esposizionel'unico legame autentico tra gli uomini – potessero apparire come l'unico vincolo possibile tra loro»(22).
In primo luogo, ci risulta difficile accettare l'idea in base a cui «l'unico legame autentico tra gli uomini» sarebbe dato dalla loro finitudine e dalla loro solitudine dinnanzi alla morte. Tiqqun assolutizza qui quelli che sono attributi esistenziali specifici dell'Io schizoide e li traduce in categorie metafisiche, dunque a-storiche. Chi ha vissuto la propria vita come un pieno di senso, di desideri, di relazioni arricchenti, non desidera segretamente la morte – come fanno molti dei nostri contemporanei(23) – ma nemmeno la teme, né si sente solo di fronte ad essa, poiché si trova immerso in una comunità di affetti. Inoltre, poiché non si può temere ciò di cui non si è mai fatta esperienza, il terrore della morte – questo fantasma che, oggi più che mai, incombe sugli uomini impedendo loro di vivere – non è in fondo che il marchio, impresso a fuoco sui corpi, del rifiuto del proprio "essere desiderante"; quel rifiuto che ognuno, bambino, ha dovuto subire. Esso, in altri termini, è parte del problema caratteriale. Di più, ne costituisce il nocciolo!
L'essere in comune è dato, invece, a nostro avviso, dalla comunità/reciprocità del desiderare e dell'agire. Il nodo che, in tutta la sua radicale drammaticità, potrà essere sciolto soltanto all'interno di una prassi rivoluzionaria, è quello della riappropriazione di questa dimensione comunitaria da parte degli individui.
Un aspetto fondamentale, e alquanto complesso, di questa problematica è quello della comunicazione, che attiene non soltanto al dato di fatto dell'alienazione linguistica, della colonizzazione mercantile del linguaggio, che tende a ingabbiare le esperienze e la loro elaborazione entro quadri preordinati sempre più angusti; ma alla stessa funzione fondamentale del carattere, che, come ci ricorda Voyer, in ultima istanza non è che «una difesa contro la comunicazione, una perdita della facoltà di incontro»(24). L'alienazione linguistica, in questo senso, è soltanto uno degli aspetti dell'alienazione caratteriale: in effetti, più l'Io è svincolato dal corpo, dalle sue sensazioni ed emozioni, più le sue forme espressive, incluse quelle linguistiche, risultano facilmente manipolabili. Il problema può essere così enunciato: come potranno i proletari rivoluzionari del terzo millennio abbattere le barriere che, radicate nella loro stessa struttura biologica, li rendono gli uni estranei agli altri?
Ma il limite di fondo che l'analisi di Tiqqun manifesta, e che condivide con buona parte della tradizione rivoluzionaria, è l'idea che ad un massimo di alienazione debba corrispondere necessariamente un massimo di potenziale sovversivo. Questo postulato conduce Tiqqun a calcare le orme di Cesarano anche là dove la riflessione di quest'ultimo si era rivelata meno feconda – allorché il riflusso del movimento rivoluzionario, nei primi anni '70, l'aveva condotta di fatto ad autonomizzarsi dalla soggettività storica cui pure aveva inteso dare espressione e a teorizzare un'astratta, imminente "rivoluzione biologica", scevra di qualunque determinazione storico-sociale(25). In altri termini, nel momento in cui sul proscenio della storia non appare alcun soggetto sociale capace di rimettere in causa l'esistente, si finisce col cedere alla tentazione di costruirne uno ad hoc (sia esso il Bloom, la Specie o il Proletariato) cui affidare le proprie speranze sovversive; allo stesso modo i rivoluzionari di un tempo, per far fronte alla sconfitta e al riflusso, si erano rivolti con fiducia superstiziosa alle "leggi della Storia". Soggettivismo e oggettivismo non sono che le due facce della medesima impotenza.
Come fa notare J.-M.Mandosio – con esplicito rifermento a Tiqqun – si arriva così a elogiare «gli eccessi della follia omicida (...), con la vana speranza di veder sorgere, attraverso i differenti atti di autodistruzione individuale e collettiva di cui è così prodigo il nostro mondo, la possibilità di una redenzione»(26).
Se da un lato, quindi, Tiqqun ha ragione ad affermare che, nella società contemporanea, «è all'opera una dialettica davvero infernale, per cui simili "esplosioni" diventano, man mano che si accentua il carattere sistematico e massiccio dei controlli necessari alla loro prevenzione, sempre più frequenti e feroci»; dall'altro, eccessivamente ottimistica è la conclusione che ne trae: «l'homo oeconomicus, nella sua perfezione, è anche colui che rende l'economia obsoleta – e la rende obsoleta perché essa, avendolo privato di qualunque sostanzialità, ha fatto di lui qualcosa di assolutamente imprevedibile»(27).
Come abbiamo avuto modo di notare altrove, se anche l'inveramento del disegno totalitario che va sotto il nome di utopia capitalista, «si rivela alla prova dei fatti, problematico e contraddittorio», le difficoltà incontrate dal dominio nel realizzarlo oggi «non si traducono in una critica effettiva dell'esistente, ma si manifestano [perlopiù] in forme irrazionalmente distruttive e autodistruttive e, in quanto tali, facilmente recuperabili e detournabili in una legittimazione dei processi di ristrutturazione in atto»(28).

5. A dispetto di ogni presunto svuotamento dell'economia "dall'interno", il dominio del capitale, nonostante le contraddizioni che lo dilaniano, difficilmente potrà essere rimesso in causa in tempi accettabilmente brevi. Intanto, le nostre esistenze  languiscono sotto il suo tallone di ferro; e mentre la locomotiva del Progresso corre sempre più veloce, lungo i binari morti che la conducono verso la definitiva soppressione delle condizioni che rendono possibile la vita biologica su questo pianeta, l'alienazione caratteriale e la desensibilizzazione dei corpi si approfondiscono, al punto da rendere i più totalmente indifferenti anche di fronte a tale agghiacciante prospettiva.
D'altra parte – tanto per aggiungere una nota di ottimismo a queste righe – le previsioni sono fatte per essere smentite. Naturalmente questo non dipende solo da noi, ma dipende anche da noi. L'unica certezza è che soltanto il ritorno della guerra sociale potrà offrire all'umanità la possibilità di uscire dall'attuale impasse e di evitare la catastrofe.
Rispetto alla "questione caratteriale", la seguente ci sembra essere, per il momento, una buona indicazione da cui partire:
«Non lottare contro lo stato schizoide dominante, contro il nostro stato schizoide, ma partire da esso, farne uso come pura facoltà di soggettivazione e desoggettivazione, come attitudine alla sperimentazione. Rompere con la vecchia angoscia del "chi sono davvero?" a vantaggio della conoscenza della mia situazione e dell'uso che è possibile farne»(29).


Note:

* J-P.Voyer (dell'Istituto di Preistoria Contemporanea), Reich, modo d'uso, 1971, in Vis-à-Vis. Quaderni per l'autonomia di classe, n.8, Massari, 2000, ora ripubblicato sul sito "Les Mauvais Jours Finiront" (www.mondosenzagalere.blogspot.com), unitamente alla Presentazione scritta da Sergio Ghirardi per Vis-à-Vis .
(1) Cfr. R.D.Laing, L'Io diviso, 1959, Einaudi, 2001 e A.Lowen, Il tradimento del corpo, Mediterraneo, 1997.
(2) «È questo indubbiamente il paradosso più doloroso dell'esistenza del Bloom: non saper più ascoltare il proprio corpo vivente, la propria fisiologia capace di esprimersi. Proprio nel momento in cui pretendiamo a ogni istante di farli significare – in termini sessuali». (Tiqqun, Teoria del Bloom, Bollati Boringhieri, 2004, p.27).
«L'egemonia dello Spettacolo sullo stato di esplicitazione pubblico dei desideri, il monopolio biopolitico di tutti i saperi-poteri medici, il contenimento di ogni devianza ad opera di un esercito sempre più numeroso di psichiatri, istruttori e altri "facilitatori" benevoli, la schedatura estetico-poliziesca di ognuno in base alle sue determinazioni biologiche, la sorveglianza sempre più imperativa, sempre più ravvicinata dei comportamenti, la proscrizione pubblicitaria della "violenza", tutto questo rientra nel progetto antropologico, o piuttosto antropotecnico dell'Impero. (...) Con il tempo, e grazie a tanti effetti combinantisi, SI finisce per ottenere il disarmo voluto, segnatamente immunitario, dei corpi» (Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, Bollati Boringhieri, 2003, pp.8-9. In questo testo è esplicita, tra l'altro, l'influenza dell'elaborazione teorica di Giorgio Cesarano).
(3) Il dominio reale del capitale è «il passaggio del valore alla sua autonomia completa, vale a dire l'oggettivazione della quantità astratta in processo nella comunità materiale. Il capitale, come modo sociale di produzione, realizza il proprio dominio reale quando perviene a rimpiazzare tutti i presupposti sociali o naturali che gli preesistono, con forme di organizzazione specificamente sue, che mediano la sottomissione di tutta la vita fisica e sociale ai propri bisogni di valorizzazione» (J.Camatte - G.Collu, Transizione, in appendice a G.Cesarano - G.Collu, Apocalisse e rivoluzione, Dedalo, 1973).
«Il capitale fa a pezzi il mondo per ricostruirlo a sua immagine e somiglianza, utilizzando il cemento del valore e della logica astratta del suo indefinito accrescimento. Esso, in altri termini, priva gli individui e le comunità della capacità di soddisfare autonomamente i propri bisogni, e impone il surrogato di questa  soddisfazione in forma di merce (e del lavoro necessario a produrla). In questo senso l'accumulazione primitiva non rappresenta soltanto la fase preliminare della nascita del capitalismo industriale, ma è connaturata al movimento stesso del capitale, in ogni sua fase storica. Questo processo di espropriazione è giunto oggi a toccare il cuore stesso del processo vitale, come dimostrano il mostruoso sviluppo dell'industria medica e farmacologica e, in particolare, le cosiddette conquiste della genetica e della bioingegneria» (Contro il carcere scolastico, pubblicato sul sito "Les Mauvais Jours Finiront", 2008).
Cfr. K.Marx, Il Capitale: Libro I, Capitolo VI inedito, La Nuova Italia, Firenze, 1977 e J.Camatte, Il capitale totale, Dedalo Libri, Bari, 1976. Si pensi inoltre ai concetti di antropomorfosi del capitale e di fabbrica della persona sviluppati da Giorgio Cesarano in Critica dell'utopia capitale, Colibrì, 1993. In quest'opera, rimasta incompiuta, Cesarano «sviluppa l’analisi del dominio del capitale nella fabbrica della persona, attraverso la mortificazione e lo sfruttamento del corpo organico, l'alienazione linguistica, l’introiezione delle regole valoristiche e scambiste, la conformazione di tutti i livelli dell’esperienza agli imperativi del lavoro, del consumo, della rappresentazione, fino al punto che le donne e gli uomini vivi incarnano l’astrazione morta dell'essere-capitale e colgono il reale e il loro stesso esserci solo attraverso quest’astrazione: siamo al tentativo finale del capitale di realizzare l'antropomorfosi e al dispiegamento della sua mortifera essenza.» (Critica della scienza e della tecnologia nei movimenti dagli anni Settanta a oggi, a cura del Centro di Iniziativa "Luca Rossi" di Milano, relazione tenuta durante un incontro con alcuni partecipanti ai comitati No Tav della Val Susa – Rovereto, 15 dicembre 2005; ora anche sul sito "Les Mauvais Jours Finiront").
(4) «La Jeune-Fille appare come il punto culminante di questa antropomorfosi del Capitale (...) sarà dunque l'essere che non avrà più alcuna intimità con sé stesso se non in quanto valore, e di cui tutta l'attività, in ogni dettaglio, sarà finalizzata alla propria autovalorizzazione» (Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, op.cit., pp.13-14).
(5) Si veda anche, su questo tema, e in particolare sulla relazione tra la struttura schizoide e le nuove forme del lavoro mentale,  R.Finelli, Classi, fantasmi e postmodernità. Istruzioni per l'uso, in Vis-à-Vis. Quaderni per l'autonomia di classe, n.8, Massari, 2000, ora anche sul sito "Les Mauvais Jours Finiront".
(6) Cfr. R.D'Este, La malattia come espressione delle fasi della civiltà e F.B, Medicina maledetta e assassina, entrambi pubblicati sul sito "Les Mauvais Jours Finiront".
(7) Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, op. cit., p.61.
(8) J-P.Voyer, op.cit., p.345.
(9) Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, op. cit., p.90. «Il sentimento di sé come carne, come ammasso di organi a seconda dei casi farcito di ovuli o dotato di coglioni, è il fondo su cui si staglia l'aspirazione e poi il fallimento della Jeune-Fille nel darsi forma, o perlomeno nel simularne una. [...] La perdita di contatto con sé stessi, la soppressione di ogni intimità che determinano il sentimento di sé come carne, formano la conditio sine qua non della rinnovata adozione delle tecniche del sé che l'Impero offre al consumo. L'indice di penetrazione di tutta la paccottiglia mercantile si legge nell'intensità del sentimento di sé come carne» (Ibidem,  pp.58-59).
(10) M.Bounan, Il tempo dell'Aids, 415, 1993, p.68.
(11) «Ma la remissione/soppressione dei sintomi a livello della singola parte, quella che viene identificata come “malata”, non solo non elimina lo squilibrio generale che ne è alla base e l'insieme delle sue cause (per lo più di natura storico-sociale); ma aggrava tale situazione di squilibrio, compromettendo la coerenza reattiva dell’organismo vivente e portando, spesso, all'insorgere di nuove malattie, tanto nel singolo individuo, quanto a livello sociale (come dimostra la teoria della patocenosi)[...]. Queste verranno in seguito fronteggiate dalla scienza medica, utilizzando gli stessi metodi che le hanno provocate. (Naturalmente la psichiatria e la definizione stessa di “malattia mentale” non sfuggono a questo modello).
«In altri termini, la medicina meccanicista, specularmente al movimento del capitale, non fa che spostare le contraddizioni ad un livello sempre più alto di reificazione, spossessamento e desensibilizzazione dei corpi, in un continuo processo di adattamento e di accumulazionedi valore, potere, mezzi materiali e ideologia – partecipando in tal modo alla dinamica generale dell'organizzazione sociale capitalista e dei suoi dispositivi». (F.B, Medicina maledetta e assassina, op.cit). Cfr. inoltre A.Lowen, Il tradimento del corpo, op.cit.
(12) «Il corpo rappresenta, a livello generale, l'ultimo interprete dell'irriducibilità dell'uomo all'alienazione. È attraverso le sue malattie e disfunzioni, e unicamente attraverso di esse, che l'esigenza di conoscere sé stessi resta per ognuno una realtà immediata» (Tiqqun, Teoria del Bloom, op.cit, p.99).
(13) R.D'Este, Qualcosa, pubblicato sul sito "Les Mauvais Jours Finiront"
(14) Cfr. R.D.Laing, La politica dell'esperienza, Feltrinelli, 1978 e D.Cooper, La morte della famiglia, Einaudi, 1972. Interessante notare come questa tradizione antipsichiatrica metta i relazione la follia e il viaggio lisergico.
(15) La concezione illuministica, in base alla quale la libertà di ciascuno finisce là dove inizia quella di ciascun altro, contiene un evidente paradosso. Il diritto del proprietario di disporre e godere liberamente di ciò che possiede esclude chiunque altro dallo stesso godimento. Il mio desiderio irrefrenabile di cantare a squarciagola nel cuore della notte lede inevitabilmente la libertà di chi, nei pressi del luogo che avrò scelto per dare prova delle mie qualità vocali, vorrebbe riposare in santa pace. Dove finisce la mia libertà di canterino nottambulo e dove inizia quella altrui? Qui non è affatto vero che "tra diritti uguali vince la forza" (Marx), a meno che, con questo, non si intenda riferirsi alla forza dello Stato.
Ciò che la classica definizione voltairiana tace, è che a decidere quale tra due libertà singolari  abbia diritto a esprimersi e quale invece debba essere censurata – o se, viceversa, sia possibile trovare una mediazione, un punto di equilibrio dove conservare un po' dell'una e un po' dell'altra – lungi dall'essere i singoli coinvolti in una situazione data (i quali, eventualmente, potrebbero trovare un accordo oppure, al contrario, entrare in un conflitto più o meno aspro) è invece l'insieme delle mediazioni sociali – dallo Stato alla morale, dall'economia all'autorità familiare – che nel corso dei millenni, ma con una rapidissima accelerazione negli ultimi due secoli, si sono introdotte in forma sempre più invasiva nelle relazioni inter-umane, giungendo infine a sopprimere, nell'epoca del dominio reale del capitale, ogni immediatezza.
La libertà dell'individuo, in definitiva, acquista il suo pieno significato e cessa di essere una vacua astrazione – le cui implicazioni ideologiche abbiamo vedute – soltanto nella misura in cui si riferisce alla libertà delle relazioni in cui l'individuo stesso è implicato.
(16) Per il concetto di comunizzazione, cfr. Meeting – Revue Internationale pour la Communisation, n.1, Ed. Senonevero, 2004 e il sito Troploin (http://troploin0.free.fr/). Sul sito "Les Mauvais Jours Finiront" è possibile reperire alcuni testi, tratti sia dalla prima che dal secondo, in traduzione italiana.
(17) Cfr. A.Lowen, La depressione e il corpo, Astrolabio, 1979.
(18) Alcuni studiosi ritengono che già le esperienze della vita intrauterina condizionino il carattere dell'individuo. Ad esempio, l’utero di una madre fredda e anaffettiva, per il feto, è plausibilmente un ambiente inospitale, dove egli vive la sua prima traumatica deprivazione.
(19) «All'inizio [gli psicanalisti] dicevano che gli uomini dovevano essere coscienti della loro reale situazione, ma in seguito ci si è accorti che la coscienza di cui parlavano, come la morale dei preti, lasciava il mondo intatto. [...] Gli psicanalisti hanno ben presto capito che da loro ci si aspettava delle scuse, non dei rimedi. Non si è più parlato di liberarsi del passato perché poi si sarebbe dovuto iniziare a occuparsi del presente. [...] Lo scopo della cura psicanalitica è quindi diventato quello di trasformare ogni paziente in un nuovo psicanalista, non importa se professionista o per diletto. Il male che voleva combattere Freud – essere prigionieri del proprio passato, etc. – ha finito così per essere propagato dalla sua teoria, al punto che ostentare le stimmate viene riconosciuto socialmente come un segno di veridicità e di lucidità.» (J.Semprun, Dialoghi sul compimento dei tempi moderni, 415, 2008, pp.38-40).
(20) Sui processi intrapsichici quale elemento strutturale della totalità capitalista, si veda Mario De Paoli, Appunti per la critica del concetto di ideologia, in Agaragar n.1, Silva Editore, 1970: «In effetti è vero [...] ciò che affermava Marx [...] e cioè che le ideologie, che sono sovrastrutture delle condizioni economiche, non possono avere il ruolo determinante di queste ultime nella storia dell'evoluzione sociale, ma , pur essendo giusto, questo discorso è incompleto in quanto le ideologie non rimangono a lungo a livello di sovrastruttura, ma attraverso dei sistemi di condizionamento sociale diventano realtà strutturali trasformandosi in Super-Io di individui concreti. A questo livello sorge una nuova realtà strutturale, per lo meno altrettanto importante quanto le strutture economiche di base. [...] Il tramite attraverso cui l'ideologia si trasforma in Super-Io a livello di strutture psichiche è costituito dai genitori e dagli educatori in genere. Il meccanismo di questa trasformazione è sostanzialmente costituito dalla dialettica sicurezza-sacrificio, cioè sacrificio per ottenere sicurezza» (Ibidem, pp.25-26). Come si è già visto, d'altra parte, la genesi della corazza caratteriale, in specie in relazione alla struttura schizoide, va ben al di là della mera interiorizzazione di divieti e norme morali esplicitamente codificate.
(21) Tiqqun, Teoria del Bloom, op. cit., p.37.
(22)  Ibidem, p.54.
(23) Questa affermazione potrà apparire contraddittoria, se confrontata con quella che segue. Ma, come evidenzia Laing, per quel che riguarda la personalità schizoide «la legge generale sembra essere questa: ci si getta incontro ai pericoli che più si temono come per prevenirli» (R.D.Laing, op.cit., p.61); che ciò avvenga nella realtà o, in forma più o meno conscia, soltanto nella fantasia, poco importa. Certamente è questa una delle ragioni per cui i grandi disastri, fornendo lo schermo su cui si proiettano le fantasie di morte degli uomini, esercitano nella nostra epoca un così grande fascino:
«Ma perché bisogna che al sentimento dell'orrore talvolta si sommi una sorta di oscuro sollievo? Quando si vive in un mondo braccato e, di colpo, il peggio si avvera, si è tentati di gridare: "Finalmente, ci siamo!". L'epoca termonucleare ci trova tutti, checché se ne dica, singolarmente consenzienti» (G.Henein, Prestigio del terrore, Colibrì, 2007, p.39). 
(24) J-P.Voyer, op.cit., p.344.
(25) Cfr. F.Santini (a cura del Centro di Iniziativa "Luca Rossi" di Milano), Apocalisse e sopravvivenza, ora pubblicato sul sito "Les Mauvais Jours Finiront".
(26) J-M.Mandosio, Fine del genere umano?, Acrati, 2008, p.36.
(27) Tiqqun, Teoria del Bloom, op.cit., p.104.
(28) Les Mauvais Jours Finiront, Contro il carcere scolastico, op.cit.
(29) Tiqqun, Teoria del Bloom, op.cit., p.124.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Je suis en train de me cogner la traduction, et me demande s'il existe déjà une traduction de ce texte en Français.
Merci.

KLetaGR

Les Mauvais Jours Finiront ha detto...

Non, il n'existe pas.

F.