Per una critica dell'operaismo tronto-negriano
di Raffaele Sbardella (1980)
di Raffaele Sbardella (1980)
[Il presente saggio fu originariamente pubblicato sulla rivista “Classe”, n. 17, Giugno 1980 e venne poi ribubblicato sul n.8 di “Vis-à-Vis – Quaderni per l'autonomia di classe”, 2000. Sullo stesso tema, si veda anche Claudio Albertani, Impero e i suoi tranelli. La sconcertante parabola dell'operaismo italiano: I Parte e II Parte]
La sinistra non ha mai preso seriamente in considerazione le matrici filosofiche del trontismo e della ideologia di quei compagni che, dopo la rottura con i “Quaderni Rossi”, si riunirono attorno alla rivista “Classe Operaia”: questo è un fatto. Questo, naturalmente, anche un errore, poiché l’ideologia operaista di questi compagni ha diffuso nel movimento letture mistificanti della realtà e comportamenti politici mai del tutto adeguati ai livelli reali delle lotte. Non abbiamo mai preso seriamente e criticamente in considerazione la natura idealistica, o meglio gentiliana, del pensiero di Tronti; non abbiamo sottolineato in modo sufficientemente chiaro la negatività di quella assolutizzazione dell’idea di Soggettività che ha introdotto e seguita a introdurre nel movimento reale guasti considerevoli [Nota: Una cosa però va detta con chiarezza: che di fronte all’oggettivismo passivizzante della tradizione ideologica terzointernazionalista e togliattiana, questi compagni, anche se nella forma idealizzata, posero con forza il problema del primato della soggettività collettiva e dei rapporti di produzione, mostrando la possibilità di un altro ascolto della realtà sociale (la nuova composizione di classe, l’operaio-massa, il rapporto fabbrica-società, le nuove caratteristiche delle sviluppo capitalistico, la politicità delle lotte sul salario, la lotta contro il “lavoro”, il bisogno di comunismo ecc.).]. La stessa rottura con Panzieri, può essere compiutamente spiegata solo se teniamo presente la natura idealistica e attualistica del pensiero di Tronti. D’altra parte anche la coerenza e la continuità del pensiero di questo autore, la non contraddittorietà tra la teoria della «rude razza pagana» e quella della «autonomia del Politico», possono emergere in tutta la loro dimensione, soltanto se l’analisi riesce a percorrere criticamente questo cammino teorico. Continuità e coerenza che, a loro volta, rendono comprensibile la stessa storia di “Classe operaia”: l’uscita, prima, del gruppo genovese, la rottura, dopo, lo stesso scioglimento del gruppo, di quei compagni più vicini alle posizioni di Toni Negri. In questo modo può essere spiegato, con sufficiente chiarezza, il rifiuto, all’interno di una medesima concezione idealistica della classe operaia, delle mediazioni che Tronti, al fine di dominare le nuove realtà del “riflusso” e dare una valenza soggettiva a ciò che soggettivo non era, andava man mano introducendo nel suo discorso politico.
Molti compagni sono tuttora convinti che le tesi contenute in Operai e Capitale siano valide scientificamente e autenticamente rivoluzionarie, e da contrapporre per questo, non senza imbarazzo, alle attuali posizioni di Tronti. Noi, al contrario, pensiamo che, se si vuole veramente costruire un partito del tutto calato dentro l’attuale composizione di classe – un partito-strumento che abbia fatta propria la critica della politica, i nuovi comportamenti e bisogni dei soggetti collettivi – si deve seriamente e teoricamente fare i conti con l'ideologia operaista di “Classe operaia”.
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