N+1 (2010)
Cari lavoratori dell'***,
abbiamo ricevuto il vostro appello [...], al quale aderiamo inoltrandolo ai quasi 3.000 abbonati della nostra newsletter. Ma la totale solidarietà non ci deve impedire di dirvi, fraternamente, che il problema dei licenziati, dei precari, dei cassintegrati e dei disoccupati non è una questione di visibilità mediatica.
Anche nostri compagni si sono trovati a dover lottare per il posto di lavoro in situazioni difficili e l'hanno fatto ricorrendo ai mezzi e ai modi che c'erano, cercando sempre di unirsi ai lavoratori di altre situazioni (con coordinamenti ecc.). Ma hanno sempre sottolineato che la terribile parola d'ordine con cui siamo chiamati a salire sui tetti o a incatenarci, quella del "diritto al lavoro", non è che la triste liturgia di una Religione del Lavoro, quindi del Capitale.
La richiesta classica della nostra classe è sempre stata: drastica riduzione della giornata lavorativa, salario ai disoccupati.
Più una società è capitalisticamente matura, più libera forza-lavoro rendendola superflua. Non si può tornare a sfasciare le macchine come due secoli fa e sarebbe micidiale per noi anche solo immaginare una "guerra tra poveri" che contrapponga il nostro "diritto" a quello di lavoratori di altri paesi, qui o in Cina o altrove. La rivendicazione del "diritto al lavoro" non fa altro che castrare l'istinto di classe per spostare il problema dall'uso della forza alle diatribe avvocatesche intorno a un tavolino e di conseguenza alla disperazione dei gesti "mediatici".
In Italia ci sono ormai circa 10-11 milioni di lavoratori precari, sommersi o comunque "atipici" (calcolo di Luciano Gallino), più milioni di senza-lavoro, specialmente giovani. Si sta introducendo una nuova forma di schiavitù, alla quale non si può rispondere solo con arrampicate sui tetti o incatenamenti davanti alle telecamere.
Piuttosto di incatenarci dovremmo spezzare delle catene, prima di tutto quelle che impediscono di unirci obbligandoci a lottare isolati, ognuno nel proprio posto di lavoro (quando c'è ancora), senza la possibilità di mettere in campo la nostra forza, l'unico linguaggio che i nostri avversari capiscono.
Decine di lavoratori, non solo in Italia, si tolgono la vita a causa dei licenziamenti e delle tensioni sul posto di lavoro. I nostri compagni di classe di un secolo fa non facevano violenza a sé stessi, cercavano di farla all'avversario. Lottavano durissimamente e orgogliosamente contro il lavoro, chiedendo una riduzione della giornata lavorativa. Infatti il Primo Maggio scendiamo ancora oggi in piazza per ricordare gli operai che nel 1886, a Chicago, lottavano per quell'obiettivo. Facciamo in modo che non siano stati fucilati e impiccati invano.
Stanno serpeggiando battaglie alla base del sindacato anche contro i finti schieramenti di "sinistra"al suo interno. Stanno nascendo ovunque coordinamenti di lavoratori decisi, che non ne possono più di farsi rubare la vita. Dove ci siamo partecipiamo. Non possiamo sapere in anticipo quale sarà la soluzione, ma è certo che così sparpagliati non otterremo niente e naturalmente c'è troppa gente che ha tutto l'interesse a farci salire sui tetti a dieci per volta invece che permetterci di scendere in piazza a milioni.
I compagni di N+1,
23 febbraio 2010
1 commento:
Pienamente d'accordo!
Ma direi che occorre essere più chiari nelle aspettative almeno, ossia augurarsi che tali coordinamenti, come si dice prodottisi "dal basso", ovunque sorgano in Europa si coordinino tra loro e adottino pratiche rivolte al superamento di ciò che soltanto incatena i lavoratori ormai, cioè il sistema del lavoro salariato, sotto la veste manifestamente ideologica adesso del "diritto al lavoro".
All the best
giuseppe sottile
www.countdownnet.info
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