La poesia, come i
poeti amano ricordare, trova la sua origine negli incantamenti religiosi o
magici. Il rispetto per il bardo era dovuto al fatto che le sue parole erano
importanti. Le frasi precise e i ritornelli erano considerati necessari per
assicurare il buon raccolto, ecc.
La poesia letteraria
ha perduto questa significanza, ed i suoi autori più avanzati lo sanno. Rimbaud
è l’archetipo del tentativo di ritrovare la magia. Ha fallito. E il suo
fallimento era ed è inevitabile. La forma “poetica” esclude la possibilità della
realizzazione della poesia, cioè della realizzazione effettiva
dell’immaginazione nel mondo. L’istituzione della poesia è essa stessa un
rapporto sociale nemico di quel progetto. Eredita la specializzazione della
creatività, dell’espressione autentica, dalla sua origine con le classi
sacerdotali, e vi ritorna. Anche Rimbaud, malgrado tutta la sua passione per la
libertà e il meraviglioso, finisce per sviluppare una concezione del poeta come
nuovo prete o sciamano, come nuovo mediatore della comunicazione. Ma la
realizzazione della poesia implica la diretta attività creatrice di tutti, e
dunque non può tollerare una tale mediazione. “Si tratta di possedere
effettivamente la comunità del dialogo ed il gioco con il tempo che sono stati
rappresentati dall’opera poetico-artistica” (Guy Debord, La società
dello spettacolo).
* * *
“Divide et impera” può
essere considerata come la tattica essenziale del sistema sociale che ci domina,
ma solo se si è compreso che si applica non soltanto alla separazione tra
individui, ma altrettanto a quella tra gli aspetti diversi della vita
quotidiana. Questa forzata separazione ha trovato la sua realizzazione
nello spettacolo, l’incarnazione della vita apparente. Lo spettacolo
prende la verità di questa società, cioè la sua falsità e la sua separazione, e
la presenta come reale, come la realtà, una vita da contemplare da spettatori
passivi che non hanno alcuna vera vita propria per loro. “Lo spettacolo non è un
insieme d’immagini, ma un rapporto sociale tra persone, mediato da immagini”
(Debord). Ma a dispetto di tutte le immagini di soddisfazione che presenta, il
capitalismo moderno non può nascondere il fatto di esaudire i veri desideri
umani. Laddove la povertà del consumo passivo (di merci o di cultura) diviene
sempre più evidente, lo spettacolo offre una grande gamma di attività culturali
che danno l’illusione della “partecipazione”: happening, gruppi
d’incontro, letture aperte a tutti, be-in, festival multimediali — qualunque
cosa riesca a catturare la radicalità appassionata, la poesia sempre più diffusa
della rivolta e incanalarla in “soluzioni costruttive” o in opposizioni
parcellari, che rafforzano il sistema che credono di superare. “L’ultima
speranza dei dirigenti è di fare di ciascuno l’organizzatore della propria
passività” (Raoul Vaneigem, Trattato del saper vivere).
Come nel caso dello
spettacolo in generale, la comunicazione di un poema è unilaterale. Lo
spettatore o il lettore passivo si vedono presentare un’immagine di ciò che è
stato vissuto dal poeta. Una lettura pubblica non risponde che apparentemente a
questa critica. Essa democratizza il ruolo del poeta, condivide l’accesso al
vertice di un rapporto gerarchico, ma non lo supera.
Naturalmente, un certo
grado di comunicazione esiste, ma è una comunicazione isolata, non legata
direttamente alle attività quotidiane reali delle persone coinvolte. Nella misura in cui le
nostre attività sono, nell’insieme, soggette a costrizioni ed alienate, è
normale che la creatività poetica (se non è cosciente del progetto che supera la
separazione ed anche la poesia letteraria) tenda, per difendersi, a ritirarsi
dalla vita quotidiana. Accetta un dominio isolato in cui il suo gioco parziale
può giocarsi con una consolante illusione di completezza. “La poesia diventa
raramente un poema. La maggior parte delle opere d’arte tradiscono la poesia.
(...) Nel migliore dei casi, la creatività dell’artista si imprigiona, si
rinchiude attendendo la sua ora in un’opera che non ha detto la sua ultima
parola, ma per quanto l’autore l’attenda a lungo, quest’ultima parola
— quella
che precede la comunicazione perfetta — non sarà mai pronunciata finché la
rivolta della creatività non avrà condotto l’arte alla sua realizzazione”
(Vaneigem).
La poesia che sa che
la sua realizzazione passa per il proprio superamento non abbandona mai la vita
quotidiana, giacché essa è in sé stessa il progetto di trasformazione
ininterrotta della vita quotidiana.
* * *
La necessità della
totale distruzione del potere gerarchico e dell’economia mercantile resta
intatta. Il movimento operaio rivoluzionario tradizionale non è riuscito a
compiere la trasformazione del mondo. Tuttavia nei suoi momenti più avanzati
(Russia 1905, Kronstadt 1921, Spagna 1936, Ungheria 1956) ha delineato la forma
che assumerà la rivoluzione prossima ventura: il potere assoluto dei consigli
operai. Questa forma di organizzazione anti-gerarchica comincia dalla democrazia
diretta dell’assemblea popolare che si federa internazionalmente per mezzo di
delegati responsabili verso la base ed immediatamente revocabili. In questo modo
evita la possibilità della comparsa di una nuova classe dirigente di burocrati o
di specialisti.
Il “partito
d’avanguardia” di tipo leninista, tanto generalmente esaltato oggi, è stato una
delle cause maggiori del fallimento del movimento operaio classico.
Scientemente o no, costituendosi come un potere separato e indipendente, prepara
la strada per il proprio potere “rivoluzionario” sul popolo, come nei
regimi capitalisti di Stato della Russia, della Cina, di Cuba, ecc. Ogni
organizzazione che mira alla distruzione della società di classe deve cominciare
rifiutando di imitare questo esempio di “successo” rivoluzionario.
Un’organizzazione rivoluzionaria deve abolire al suo interno i rapporti
mercantili e la gerarchia. Deve realizzare la fusione diretta della teoria
critica e dell’attività pratica, per impedire ogni pietrificazione in
ideologia. Proprio come i consigli domineranno e trasformeranno tutti gli
aspetti della vita liberata, l’organizzazione rivoluzionaria deve esprimere la
critica di tutti gli aspetti della vita alienata attuale. Nel momento
rivoluzionario della dissoluzione della separazione sociale, essa deve
dissolversi in quanto potere separato.
L’ultima rivoluzione
della preistoria umana realizzerà l’unità del razionale e del passionale;
l’unità del lavoro e del gioco nella libera costruzione della vita quotidiana - il gioco della soddisfazione dei desideri di tutti, la poesia che “deve essere
fatta da tutti e non da uno solo” (Lautréamont).
KEN KNABB
Ottobre 1970
Ottobre 1970
[Tratto dal sito Bureau of Public Secrets]
Nessun commento:
Posta un commento