[Titolo originale: Critica della scienza e della tecnologia nei movimenti dagli anni '70 a oggi, a cura del Centro di Iniziativa "Luca Rossi" di Milano, relazione tenuta durante
un incontro con alcuni partecipanti ai Comitati No Tav della Val Susa svoltosi a Rovereto il 15 dicembre 2005. Tratto da Guerra Sociale]
Questo testo deve intendersi come uno «scalettone»,
forse utile per discutere, ma comunque privo di ogni pretesa di esaustività. È
suddiviso in tre parti: nella prima, a partire da tre «date chiave», vengono
proposti taluni elementi di riflessione; nella seconda si dà conto di «alcune
esperienze di critica della scienza e della tecnologia prodotte dal movimento,
in Italia, dall’inizio degli anni Settanta a oggi» (attraverso l’enumerazione
di opuscoli, libri e riviste); la terza parte, infine, vede la sintetica
presentazione di «due contributi teorici: Bordiga e Cesarano», che lo scrivente
considera di primaria importanza. Alla vaga astrattezza della «conclusione»
hanno, nel frattempo, posto rimedio le concretezze valsusine. Il limite
principale di questa relazione (dimenticanze a parte), a mio parere, sta nel
considerare pressoché esclusivamente la «produzione scritta», che delle
esperienze di movimento costituisce solo un elemento (e non sempre il più
significativo). Ma carenze di conoscenza e di tempo mi hanno impedito di fare
altrimenti. Impareremo vivendo.
1. Tre date
chiave
1828 — Il medico bostoniano Jacob Bingelow introduce l’uso moderno della parola tecnologia, definendola come «il complesso […] dei principî, dei processi e delle terminologie dei principali mestieri, soprattutto di quelli che comportano applicazioni della scienza e che possiamo definire utili, perché tornano a vantaggio della comunità, oltre a garantire una remunerazione a coloro che vi si dedicano».
1828 — Il medico bostoniano Jacob Bingelow introduce l’uso moderno della parola tecnologia, definendola come «il complesso […] dei principî, dei processi e delle terminologie dei principali mestieri, soprattutto di quelli che comportano applicazioni della scienza e che possiamo definire utili, perché tornano a vantaggio della comunità, oltre a garantire una remunerazione a coloro che vi si dedicano».
«Vantaggio della comunità» e «remunerazione a coloro
che vi si dedicano». Qui sta il punto! Come ha rilevato David F. Noble: «La
tecnologia moderna che si ispira alla scienza è stata caratterizzata fin
dall’inizio dagli imperativi sovrani delle manifatture: l’utilità e il profitto.
Fin dalla nascita, la tecnologia moderna
non è stata nulla di più e nulla di meno che la trasformazione della scienza in
uno strumento di accumulazione del capitale» (Progettare l’America. La scienza, la tecnologia e la nascita del
capitalismo monopolistico, trad. it. Einaudi, Torino, 1987).
E viceversa, come ha sostenuto Edward Palmer Thompson
(Customs in Common. Studies in
Traditional Popular Culture, Merlin, London, 1991) facendo infuriare gli
economisti ortodossi, l’idea che le
nuove tecnologie creino nuovi lavori e aumentino la ricchezza sociale, come teoria ovunque applicabile, è una
sciocchezza mai dimostrata: se qualcosa di simile è accaduto (ma a quali
costi!, e a partire da ben precisi assetti di potere economico, politico e
militare) nei Paesi culla del capitalismo, l’esperienza di gran parte del mondo
restante è di segno diametralmente opposto. La potenza del capitale ha
distrutto le società tradizionali del cosiddetto Terzo Mondo senza permettere
alla loro popolazione l’accesso al mondo industriale. Aggiunto a una
squilibrata crescita demografica, questo impatto ha sottoposto a un brutale
spossessamento una gran parte dell’umanità, gettandola nella più totale
miseria. Miseria che è sempre socialmente prodotta, non mai frutto di
una naturale scarsità o di un insufficiente sviluppo delle forze produttive.
Perché, come ha dimostrato l’antropologo americano
Marshall Sahlins (L’economia dell’età
della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitive, trad. it.
Bompiani, Milano, 1980), la scarsità,
lungi dall’essere statuto delle società di cacciatori-raccoglitori del
Paleolitico o delle società tradizionali basate sul «modo di produzione
domestico», è semmai l’assioma – e il
destino – del sistema capitalista, dove l’insufficienza dei mezzi rispetto ai
fini è assunta come punto di partenza di ogni attività economica e dove, fuori
del regno delle idee, gli uomini e le donne vengono violentemente separati dai loro mezzi di sussistenza e
impoveriti, affinché non possano fare
altro, se vogliono sopravvivere, che trasformarsi in proletari.
[Merita di notarsi che gli Autori sopraccitati sono tutti e tre strettamente legati al movimento di critica della civiltà capitalista manifestatosi negli ultimi quarant’anni: David F.Noble (cui si deve, fra l’altro, La questione tecnologica, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1993) fu «bruciato» al MIT e alla Smithsonian Institution, venendo poi giubilato dall’amministrazione dell’Harvey Mudd College di Claremont (California) in quanto «anti-technology», mentre Lorna Marsden, presidente della York University di Toronto, lo definì «anti-science» e «anti-intellectual» prima di licenziarlo.
[Merita di notarsi che gli Autori sopraccitati sono tutti e tre strettamente legati al movimento di critica della civiltà capitalista manifestatosi negli ultimi quarant’anni: David F.Noble (cui si deve, fra l’altro, La questione tecnologica, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1993) fu «bruciato» al MIT e alla Smithsonian Institution, venendo poi giubilato dall’amministrazione dell’Harvey Mudd College di Claremont (California) in quanto «anti-technology», mentre Lorna Marsden, presidente della York University di Toronto, lo definì «anti-science» e «anti-intellectual» prima di licenziarlo.
Edward P.Thompson (1924-1993) fonda nel 1952 la rivista «Past and
Present», attraverso la quale vuol far udire la voce delle classi lavoratrici e
farne conoscere la storia, oscurata da più di tre secoli di ruggiti imperiali
(«Io cerco di riscattare dall’enorme condiscendenza dei posteri il calzettaio
povero, il cimatore luddista, il tessitore a mano “antidiluviano”, l’artigiano
e operaio specializzato “utopista” e perfino il seguace deluso di Joanna
Southcott», scriverà nella prefazione all’indimenticabile Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, libro mai
più ripubblicato in Italia dopo l’edizione del 1969). Uscito dal Partito
Comunista di Gran Bretagna dopo i «fatti d’Ungheria» del ’56, con il Manifesto di maggio partecipò alla
nascita della New Left. Nominato professore di storia all’Università di Warwick
nel 1965, Thompson abbandona definitivamente l’insegnamento nel 1971, in solidarietà con
il movimento studentesco e per protesta contro le amministrazioni
universitarie. Dopo aver criticato strenuamente i governi laburisti del 1964-70
e del 1974-79, negli anni Ottanta si spende senza risparmio contro il
thatcherismo e nel movimento antimilitarista. L’allievo più conosciuto di E.P.
Thompson, Peter Linebaugh, è autore (insieme con Marcus Rediker) di The Many-Headed Hydra (trad. it. I ribelli dell’Atlantico. Marinai e
rinnegati: la storia perduta di un’utopia libertaria, Feltrinelli, Milano,
2005). Questo libro celebra l’Idra dalle molteplici teste, capaci di rinascere
una volta tagliate, simbolo del popolo dei diseredati (marinai, schiavi,
soldati, plebaglia, ma anche gruppi organizzati come i pirati e gli affiliati a
sètte religiose radicali), e la contrappone a Ercole, simbolo di Ordine e
Progresso, l’eroe della classe dominante britannica nei secoli che vanno dal
regno di Elisabetta I all’ascesa al trono di Vittoria.
Infine, l’eminente antropologo statunitense Marshall Sahlins (nato nel 1930)
partecipò al movement negli anni
Sessanta e alle lotte contro la guerra del Vietnam, prima di trascorrere due
anni a Parigi, dove ebbe modo di vivere il Maggio ’68.]
1930 — Negli Stati Uniti, l’approvazione della Legge sulle Piante (Plant Act) sconvolge la distinzione tra vivente e inanimato prima unanimemente riconosciuta (in base alla quale solo l’inanimato poteva essere oggetto di un brevetto), sostituendole una nuova opposizione: quella tra i prodotti della natura (inanimato + vivente vegetale o animale) e l’attività dell’uomo.
1930 — Negli Stati Uniti, l’approvazione della Legge sulle Piante (Plant Act) sconvolge la distinzione tra vivente e inanimato prima unanimemente riconosciuta (in base alla quale solo l’inanimato poteva essere oggetto di un brevetto), sostituendole una nuova opposizione: quella tra i prodotti della natura (inanimato + vivente vegetale o animale) e l’attività dell’uomo.
Sulla base di questa distinzione, il vivente può d’ora
in poi essere scomposto in vivente naturale e vivente artificiale: basta un
intervento umano attivo sulla struttura del vivente perché esso prenda de jure, lo statuto di «vivente artificiale» e, pertanto, lo
statuto di «cosa» o «bene». Situandosi «fuori della natura», l’uomo-capitale
può rendersene giuridicamente signore.
Il Plant Act
pone così la premesse giuridiche per la capitalizzazione
del settore agro-alimentare e, più in generale, del vivente (che sfocerà
infine, all’inizio degli anni Settanta, nell’ingegneria genetica e nelle
biotecnologie).
Il «brevetto della vita» e la connessa vicenda degli
accordi sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPs) dimostrano, ancora una
volta, come avesse ragione quel napoletano il quale, una cinquantina d’anni or
sono, scriveva che la pretesa alla proprietà intellettuale è, fra tutte, la più
infame.
«La veduta della natura che si acquisisce sotto la
signoria della proprietà privata e del denaro, è l’effettuale dispregio, la
pratica svalutazione della natura, che certo esiste nella religione ebraica, ma
esiste solo come vanteria. In questo senso Thomas Müntzer dichiara
insopportabile “che tutte le creature siano state rese proprietà, i pesci
nell’acqua, gli uccelli nell’aria, i vegetali sulla terra – anche la creatura
dovrebbe diventar libera”» (Sulla
questione ebraica di Karl Marx, nella traduzione di Luciano Parinetto). La vecchia rappresentazione predatoria e
signoresca della natura, in cui l’uomo dominato dal valore che si
autovalorizza entro un processo di crescente autonomizzazione compensa la sua
reale impotenza sociale nel dominio
fantasmatico della natura, questa
vecchia rappresentazione compensatoria vuole ora diventare performance, realtà prodotta,
addirittura l’unica realtà validata dai protocolli di adeguatezza alla
Modernità, così come la declina il totalitarismo del Capitale Senile.
1973 — Le disgrazie non giungono mai sole: inaugurazione della centrale atomica autofertilizzante Phœnix a Marcoule (Francia) e produzione di un ibrido di grano e segala.
1973 — Le disgrazie non giungono mai sole: inaugurazione della centrale atomica autofertilizzante Phœnix a Marcoule (Francia) e produzione di un ibrido di grano e segala.
La vicenda del nucleare è paradigmatica: sotto il dominio reale del Capitale Totale
non si può distinguere un uso civile «buono» delle tecnologie di punta da un
loro uso militare «cattivo», una ricerca «buona» da un impiego «cattivo», un
uso «controllato» e «pubblico» da uno «privato». È un continuum di comando, business, servitù e demenza.
Ciò viene riconosciuto, benché (ovviamente) in modo
più neutro e con parole più sobrie, anche da analisti e sociologi della
scienza: «In effetti queste discipline [l’Autore sta parlando dell’Artificial Intelligence e dell’Artificial Life] – la cui difficile
collocazione nell’area scientifica o in quella tecnologica testimonia la
costituzione di un continuum fra scienza e tecnologia che costituisce uno degli
eventi originali del XX secolo – non hanno come finalità dichiarata la sola
conoscenza dei fenomeni legati all’intelligenza o alla vita. Esse, in verità,
mirano esplicitamente alla “riproduzione” del proprio oggetto di indagine e, si
badi bene, non nella sola e classica accezione della “riproducibilità” di
ipotesi sullo stato del mondo, ma esattamente nel senso di una ricostruzione dell’oggetto naturale sulla
base di qualche suo modello» (Massimo Negrotti, L’organismo si fonde con la macchina; la vita artificiale, in Atlante del Novecento, Utet, Torino, 2000, vol. II).
A chi assegnare la palma della demenza nel campo delle
clonazioni? A Francis Fukuyama (un
oscuro funzionario del dipartimento di Stato USA «lanciato» nel 1988 sul
palcoscenico del «pensiero unico» a opera della Fondazione Olin: prodotti
chimici), con la sua tesi su di una «post-umanità»
in cui realizzare per via biotecnologica «ciò che gli specialisti
dell’ingegneria sociale non sono stati in grado di fare»? Oppure al biologo
evoluzionista britannico Richard Dawkins, il quale a proposito dell’ibridazione
uomo-scimpanzé ha scritto che «il mondo che verrebbe tanto sconvolto da un
evento così secondario, come un’ibridazione, è veramente un mondo specista, dominato
dalla mente discontinua»? [Ultimora:
entra in corsa e guadagna subito le posizioni di testa Giuseppe Stalin, che a
metà degli anni Venti «finanziò un piano segreto per generare in laboratorio
“un nuovo essere invincibile”», sognando «un’armata costituita da umanoidi
dotati di una forza prodigiosa e di un cervello sottosviluppato: “Poco
sensibili al dolore, resistenti e indifferenti alla qualità del cibo”. Il
Politburo del PCUS nel 1926 approvò il progetto e incaricò l’Accademia delle
Scienze di studiare come produrre “macchine da guerra viventi”» (nonché
forza-lavoro gratuita, da sfruttare nelle miniere di carbone, per lo scavo di
canali, per la costruzione di strade e ferrovie in Siberia e nelle regioni
artiche). Il progetto, che fu affidato al famoso genetista Ilia Ivanov, ottenne
l’appoggio anche dell’Istituto Pasteur di Parigi. Di fronte ai ripetuti
fallimenti, la ricerca fu bloccata all’inizio degli anni Trenta, ma
l’allevamento georgiano delle scimmie per l’ibridazione sarebbe stato
smantellato solo nel 1991. Cfr. Giampaolo Visetti, URSS, l’esercito degli uomini-scimmia, «la Repubblica », 18
dicembre 2005.]
Sono gli stessi toni deliranti, lo stesso terrorismo
modernista che si udirono alla i
Conferenza di Ginevra sugli usi pacifici dell’energia nucleare nel 1955: mirabolanti promesse circa le centrali
elettronucleari (tecnologicamente sicure, prive di effetti ambientali dannosi e
capaci di produrre uno sviluppo economico illimitato), le possibilità d’impiego
controllato delle esplosioni atomiche (per spianare montagne e costruire
canali) e una serie di benefìci in campo medico (radiologia diagnostica e
terapeutica). Lì, probabilmente, ebbe inizio l’èra della completa prostituzione
della comunicazione, della scienza e della medicina agli imperativi del capitale
e dello Stato (che negli Stati Uniti, nel trentennio ’44-74, ha comportato, fra
l’altro, centinaia di fughe radioattive intenzionali e 4 mila esperimenti di
radiazione su cavie inconsapevoli: bambini affidati a istituti assistenziali,
malati gravi, uomini di colore, carcerati e minatori).
2. Su alcune esperienze di critica della scienza e della tecnologia prodotte dal movimento, in Italia, dall’inizio degli anni Settanta a oggi
Il Sessantotto, l’«autunno caldo», la controcultura e i movimenti di liberazione delle donne producono una sferzante critica sociale del sapere tecnico-scientifico, del ruolo degli specialisti, del nesso sapere-potere. «Quel che viene contestato è il ruolo professionale, inteso come esercizio del potere legittimato dall’esclusività delle competenze tecniche e, insieme ad esso, la pretesa neutralità del sapere scientifico» (scheda sui «Movimenti nelle professioni», in Il Sessantotto, la stagione dei movimenti. 1960-1979, Edizioni Associate, Roma, 1988). Come scrive Primo Moroni nel libro L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale (2ª ed. Feltrinelli, Milano, 2005), «tra le dinamiche interne alla forma di lotta non vanno dimenticate quelle che riguardano il campo delle scienze o della scienza tout court. Qui non ci sono unicamente le innovazioni tecnologiche elaborate per controllare la conflittualità operaia, c’è anche il mondo della medicina e della psichiatria, i problemi della salute del corpo e della mente. Gli anni Settanta sono stati una critica radicale e innovativa, senza ritorno, del medico come “tecnico del capitale”, dello psichiatra come “tecnico del controllo”. Già in queste definizioni è contenuto il percorso critico che porterà alcuni “tecnici” delle istituzioni totali a mettere in discussione il proprio ruolo, seguendo un analogo percorso praticato dagli intellettuali dissidenti degli anni Sessanta».
2. Su alcune esperienze di critica della scienza e della tecnologia prodotte dal movimento, in Italia, dall’inizio degli anni Settanta a oggi
Il Sessantotto, l’«autunno caldo», la controcultura e i movimenti di liberazione delle donne producono una sferzante critica sociale del sapere tecnico-scientifico, del ruolo degli specialisti, del nesso sapere-potere. «Quel che viene contestato è il ruolo professionale, inteso come esercizio del potere legittimato dall’esclusività delle competenze tecniche e, insieme ad esso, la pretesa neutralità del sapere scientifico» (scheda sui «Movimenti nelle professioni», in Il Sessantotto, la stagione dei movimenti. 1960-1979, Edizioni Associate, Roma, 1988). Come scrive Primo Moroni nel libro L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale (2ª ed. Feltrinelli, Milano, 2005), «tra le dinamiche interne alla forma di lotta non vanno dimenticate quelle che riguardano il campo delle scienze o della scienza tout court. Qui non ci sono unicamente le innovazioni tecnologiche elaborate per controllare la conflittualità operaia, c’è anche il mondo della medicina e della psichiatria, i problemi della salute del corpo e della mente. Gli anni Settanta sono stati una critica radicale e innovativa, senza ritorno, del medico come “tecnico del capitale”, dello psichiatra come “tecnico del controllo”. Già in queste definizioni è contenuto il percorso critico che porterà alcuni “tecnici” delle istituzioni totali a mettere in discussione il proprio ruolo, seguendo un analogo percorso praticato dagli intellettuali dissidenti degli anni Sessanta».
Passeranno diversi anni prima che questo colpo venga
assorbito, l’Esperto possa reindossare i suoi paramenti sacri e il Sapere possa
cercare nuovamente di riautentificarsi come Potere Buono.
Nel ’68, Einaudi pubblica il libro L’istituzione negata. Rapporto da un
ospedale psichiatrico, a cura di Franco Basaglia (60 mila copie vendute,
tra il ’68 e il ’72). «L’impatto formidabile del lavoro di Basaglia non è
solamente dovuto al suo rendere visibili gli orrori dell’istituzione
manicomiale e l’umanità dolente dei reclusi (si sarebbe trattato in questo caso
di un semplice compito di denuncia di tipo riformista), ma dal suo andare alle
radici della funzione della psichiatria
e della figura del “folle”, del “matto”, come figure e funzioni tutte interne
alla logica di dominio del capitale» (P.Moroni). Nel 1972 compaiono i «Fogli di
informazione», a cura di Agostino Pirella e Paolo Tranchina. Partendo
dall’esperienza dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia e dal gruppo che fa capo
a Franco Basaglia, la critica del
manicomio come istituzione totale si allarga all’insieme delle istituzioni e
strutture basate sulla segregazione e l’esclusione.
Oltre all’esperienza basagliana, non si possono non
ricordare qui i nomi di Sergio Piro e Giorgio Antonucci, la diffusione in
Italia di Fare della malattia un’arma
dell’SPK [Collettivo Pazienti Socialisti dell’Università di Heidelberg] da
parte del Collettivo Editoriale Genova (Genova, s.d.), la Psicopatologia del non-vissuto quotidiano. Appunti per il
superamento della psicologia e per la realizzazione della salute di Piero
Coppo (già partecipe di «Ludd»), l’allegra brigata degli «analisti selvaggi»,
le riviste «Il piccolo Hans» e «L’Erba voglio», nonché il cospicuo utilizzo che
nel movimento, intorno alla metà degli anni Settanta, si fece di Szasz e
Goffman (autori, rispettivamente, de Il
mito della malattia mentale e di Asylum),
Foucault, Deleuze e Guattari.
Nel ’73-74 sia l’Assemblea autonoma dell’Alfa Romeo
(organo: «Senza padroni») sia l’Assemblea autonoma di Porto Marghera (organo:
«Lavoro zero», bollettino ciclostilato) producono studi e autoinchieste su comando capitalista, sfruttamento e nocività
(si veda anche Mortedison di Giovanni
Rubino e Corrado Costa, 1974). I frutti di questo filone di ricerca «operaia»
continueranno poi a comparire su riviste e pubblicazioni come
«CONTROinformazione», «Primo Maggio», Il
comando cibernetico e «Metroperaio».
E la critica passerà per mille rivoli dalla «fabbrica» al «sociale», dalla
«produzione» alla «riproduzione». A mo’ d’esempio di questi transiti, citiamo
il n. 467 di «Casabella» (marzo 1981). In questo fascicolo, dedicato al tema Condizione femminile e condizione abitativa,
le tipologie e tecnologie dello spazio domestico sono «smontate» e criticate,
alla luce degl’insegnamenti di Sigfried Giedon (L’èra della meccanizzazione, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1967),
Werner Hegemann (La Berlino di pietra. Storia della più grande città di
caserme d’affitto, trad. it. Mazzotta, Milano, 1975), Henri Lefebvre,
Michel Foucault ecc. Tra i saggi più significativi, quello delle tedesche
Barbara Duden e Gisela Bock. Quest’ultima in quegli anni animava, insieme con
Karl Heinz Roth e Angelika Ebbinghaus, la rivista «Autonomie. Materialien gegen
die Fabrikgesellschaft», molto legata al filone italiano dell’Autonomia
Operaia. Sul n. 13 di questa rivista (Neue Folge, 1983), dedicato a Imperialismus in den Metropolen. Der
technologische Angriff, va segnalato Sabotage,
una ben documentata ricerca sulle pratiche
di sabotaggio condotta sul filo del divenire dell’esperienza proletaria.
Nelle Otto tesi
per la storia militante «Primo Maggio» cercherà di trarre da queste esperienze
una visione della scienza di portata generale: «Proviamo ad assumere […] il
punto di vista operaio sulla scienza. Scienza come macchinario, quindi scienza
come “potenza ostile” alla classe, secondo la felice espressione marxiana nei Grundrisse, lavoratore intellettuale
come lavoratore produttivo, inserito nel ciclo di socializzazione del capitale
o nell’apparato di legittimazione del comando. […] In conclusione: scienza e tecnologia come una cosa sola,
materializzata in macchinario, “potenza ostile” alla classe, oggetto ambedue di
un processo parallelo di liberazione, da parte della classe e del lavoro
intellettuale, concreto o potenziale. Non appena la classe e il lavoro
intellettuale si muovono in maniera antagonista enormi processi cognitivi s’innescano
all’interno dello scontro, come prodotto dello scontro, una forza-invenzione
latente si libera e si traduce in conoscenze specifiche, nuove tecniche e nuove
scienze» («Primo Maggio, n. 11, inverno 1977-78).
All’inizio del 1974 Giulio Alfredo Maccacaro,
direttore dell’Istituto di Biometria dell’Università di Milano, assume la
direzione di «Sapere», mensile di divulgazione scientifica fondato nel 1935 da
Carlo Hoepli.
[Maccacaro, ex partigiano della Brigata Barni, attiva
nell’Oltrepò pavese, fin dall’inizio degli anni Cinquanta si era impegnato in
coraggiose e spesso solitarie battaglie contro le baronie medico-universitarie
(Toglie il respiro il nitrile nei corridoi, / mentre marciano in divisa baroni
plebei: / vanno in processione col camice, il regolo, i quiz / la superbia,
l’ignoranza e la routine) e in difesa delle loro vittime, come quei bambini
ricoverati nella clinica pediatrica dell’università di Pisa, costretti a
ingoiare colture di germi «noti come capaci di accompagnarsi a episodi acuti di
gastroenterite», nel 1953; o quei neonati costretti a respirare gas nervino
alla Clinica del lavoro di Milano, oppure a convivere per tutta la vita con
eczemi causati volontariamente, sempre all’Università di Milano, alla clinica
dermatologica. Per non parlare del «caso Sirtori», direttore generale
dell’Istituto Gaslini di Genova, che aveva somministrato a due bambini di 3 e 2
anni e a un ragazzino di 8, affetti da epatite virale, l’azotriopina, un
farmaco che invece di curare la malattia ne potenziava gli effetti, così da
riuscire a fotografare il virus.
Nei primi anni Settanta Giulio Maccacaro avvia una sua
inchiesta sulle vittime del talidomide, il «sedativo maledetto» responsabile di
migliaia di casi di focomelia in Europa. E scopre che il farmaco era stato
commercializzato in Italia da almeno sei industrie, causando come minimo un
centinaio di focomelici, nessuno dei quali risarcito. Pochi mesi prima, il 18
ottobre 1970, aveva pubblicato sulla rivista «L’Astrolabio», in collaborazione
con Renato Boeri, Elvio Fachinelli e Giovanni Jervis, una controperizia
sull’autopsia di Giuseppe Pinelli, arrivando a una conclusione tanto
argomentata nei dettagli quanto semplice: «Suicidio impossibile» (Giampiero
Borrella, Un uomo da non dimenticare.
Giulio Maccacaro, http://www.mobydick.it/giorno/maccar.html). Infine, a
metà degli anni Settanta, segue con passione la vicenda dei militanti della RAF
incarcerati e sottoposti alla «tortura dell’isolamento», collaborando alla
redazione del libro 1975, tortura in RFT
(Collettivo editoriale 10/16, Milano, 1975), e il disastro ambientale di
Seveso:
«Data: 10 luglio 1976; luogo: Seveso e altri comuni
della Brianza; colpevole: ICMESA di Meda; mandante: HOFFMANN - LA ROCHE di Basilea; complici:
governanti e amministratori italiani di vario livello (centrale, regionale,
locale); arma: organizzazione scientifica di produzioni tossiche; reato:
lesioni e danni di varia natura e gravità; vittime: lavoratori, popolazione,
ambiente. […] Un po’ per ignoranza, un po’ per cercare di evitare che le donne
incinte della zona ricorressero all’aborto terapeutico per molto tempo la
scienza ufficiale cercò di minimizzare i danni da diossina. Ci fu addirittura
un cretino, tal Trabucchi professore all’università di Milano, che si offrì di
mangiare l’insalata di Seveso per dimostrare che non faceva danno. […] Intanto la Hoffmann organizzava
congressi su congressi dove potevi chiedere qualunque cosa, anche l’odalisca in
camera, purché accettassi acriticamente e diffondessi le tesi tranquillizzanti
della multinazionale. Risultato: giornali scientifici considerati seri come
“The Lancet” pubblicarono soffietti a favore della tesi dell’innocuità della
diossina; in Svizzera nessun giornale parlò mai del disastro di Seveso» (da
«Sapere», n. 796, novembre-dicembre 1976, editoriale di Giulio Maccacaro). Si
veda anche il volume Gli erbicidi: usi
civili e bellici. Il Viet Nam, i Veterani USA, Seveso. Effetti Tardivi
sull’Uomo e l’Ambiente, a cura di Luigi Bisanti, Coneditor, Milano, 1985,
che contiene gli atti di un convegno promosso e organizzato dal Comitato
Italia-Vietnam di Milano. Inoltre: Attualità
del pensiero e dell’opera di G.A. Maccacaro, a cura del Centro per la
salute «Giulio A. Maccacaro» di Castellanza, Milano, 1988.]
Per caratterizzare lo spirito che dovrà animare la
nuova serie della rivista, Maccacaro scrive: «L’iniziativa si concentra su un
solo tema: scienza e potere. Il potere costituito dal capitale e il
potere rivendicato dal lavoro. La scienza come fattore di moltiplicazione del
primo e come fattore di liberazione del secondo: dunque non opera di
divulgazione della scienza ma opera scientifica, cioè fondata sull’analisi
dell’esperienza delle masse, di propaganda delle sue contraddizioni, come la
percepiscono dall’interno gli operatori del settore, ma soprattutto come la
vivono, oggettivamente e soggettivamente, quelli che, “esterni”, dal settore
vengono lavorati. Far parlare chi di scienza muore e chi, sapendolo o no, di
scienza fa morire. Riscoprire il primato politico della lotta dei primi che sola
si può porre come momento unificante per la liberazione dei secondi».
«Fare scienza» significa sempre lavorare «per» o
«contro» l’uomo: sulla base di quest’impostazione critica «Sapere» si occupa di
crisi energetica ed ecologia, del cancro da lavoro, della diossina a Seveso e
delle varie nocività industriali, di demografia, di informatica e
organizzazione del lavoro, di alimenti industriali, genetica, psichiatria,
psicologia e studio dell’intelligenza, del rapporto fra medicina, economia e
potere.
Sulla scorta di quest’esperienza, nel 1976 nascono
«Medicina democratica», movimento di lotta per la salute, in collegamento con
varie realtà sociali e di fabbrica dell’Italia settentrionale, a partire dal
CdF della Montedison di Castellanza, e «Geologia democratica», emanazione di un
organismo costituitosi a Milano a dieci anni dalla «catastrofe costruita» del
Vajont (la definizione è di Tina Merlin), che affronta criticamente questioni
quali l’approvvigionamento idrico, l’inquinamento, la fame, le alluvioni, il
dissesto idrogeologico e la difesa del suolo.
Dopo la morte di Maccacaro, avvenuta il 16 gennaio
1977, all’età di 53 anni, il gruppo redazionale della rivista «Sapere» viene
velatamente accusato dal PCI di «fiancheggiare» la lotta armata e sostituito con
uno più «morbido» e «responsabile». Gli elementi più vicini all’ispirazione di
Maccacaro daranno in seguito vita alla rivista «SE. Scienza/esperienza»,
diretta da Giovanni Cesareo.
Nel marzo 1974, sotto la direzione di Dario Paccino
(che l’anno precedente aveva pubblicato un importante libro presso Einaudi, L’imbroglio ecologico), inizia ad
apparire «Rosso Vivo», foglio mensile di lotta ecologica (redazione milanese:
Ettore Tibaldi). Nell’articolo di apertura del n. 0 si legge: «Il mondo del
padrone va in rovina, e allora ecco l’imbroglio
ecologico: il tentativo di far credere che siamo tutti sulla stessa barca.
[…] Questo mondo Nero Morto, è il suo
mondo […] il nostro mondo, la società libera dallo sfruttamento, dalla servitù
del lavoro nasce dalle rovine di questo […] diamogli la spallata finale. Questo
è quello che intendiamo dicendo Rosso
Vivo. Perché ci interessa la vita e non vogliamo che acqua, cielo, terra,
cervelli siano inquinati e avvelenati dal padrone […] fino a oggi abbiamo
lasciato giocare su questo terreno solo il padrone. È stato uno sbaglio […]
crediamo che sempre più questo è un terreno reale di scontro […] Per questo
abbiamo fatto un giornale […] che deve nascere dal movimento reale».
Dal 1974 al 1986 la rivista di Paccino, che grossomodo
fa politicamente riferimento a Via dei Volsci, tratterà di salute,
alimentazione, suolo e territorio, questione urbana, nucleare e risorse
energetiche, carceri e manicomi, lavoro, sottosviluppo ed emigrazione,
minoranze, guerra.
Verso la metà degli anni Settanta, come portato
diretto all’interno dell’editoria ufficiale dell’elaborazione di movimento,
vanno segnalate almeno quattro iniziative: le collane “Scienza e politica” (a
cura di Marcello Cini e Giulio A.Maccacaro) e “Medicina e potere” (a cura dello
stesso Maccacaro) presso Feltrinelli, la collana “Salute e società” (anch’essa
sotto la direzione editoriale di Maccacaro) per ETAS/Kompass
e, presso Bompiani, la collana “La scienza critica” (a cura di Gian Battista
Zorzoli).
In apertura
della collana “Scienza e politica” si legge: «In ogni caso importava nascondere
l’intreccio tra scienza e profitto:
negare che la scienza sia strumento modulabile per il potere della classe
dominante, arma teleguidabile del comando imperialista. Ma Vietnam, rivoluzione
culturale cinese, maggio francese, autunno caldo italiano hanno scoperto
quell’intreccio, rovesciata questa negazione. Così come il rifiuto della delega e la domanda di partecipazione, l’affermazione
della soggettività operaia e la lotta all’organizzazione capitalistica del
lavoro hanno posto le premesse per una critica
di massa del feticcio scientista». Fra i testi apparsi in questa collana va
ricordato almeno L’ape e l’architetto,
che nel 1972 aprì in Italia il dibattito sulla «non neutralità della scienza». [Il PCI cercò di squalificarne gli
Autori – Marcello Cini, Giovanni Ciccotti, Michelangelo de Maria e Giovanni
Jona-Lasinio – definendoli «epistemologi della domenica»; e fu a proposito di
questo libro che Giorgio Bocca incluse il fisico Marcello Cini fra i «cattivi
maestri» che avrebbero avviato una generazione verso il «terrorismo» (Bocca non
usò le virgolette). Al riguardo, si veda l’autobiografia di Marcello Cini, Dialoghi di un cattivo maestro, Bollati
Boringhieri, Torino, 2001.]
Questi temi vengono ripresi nella presentazione al
libro che inaugura nel 1975 la collana “La scienza critica” (La spirale delle alte energie. Aspetti
politici e logica di sviluppo della fisica delle particelle elementari, di
Angelo Baracca e Silvio Bergia): «Tra i frutti essenziali della recente
“rivoluzione culturale” studentesca c’è la consapevolezza della non neutralità
della scienza».
Infine l’ipotesi di lavoro che “Medicina e potere” si
propone di verificare e approfondire è che «la medicina – come la scienza – sia un modo del potere: che, anzi,
nella conversione e gestione scientifica di dottrine e pratiche, contenuti e
messaggi, enti e funzioni, ruoli e istituti, divenga propriamente potere,
sostanza e forma del suo esercizio».
Nel febbraio
1976 compare il primo numero dei «Quaderni di controinformazione alimentare»,
pubblicati dalla CLESAV, la cooperativa libraria e editoriale della Facoltà di
Agraria di Milano. La rivista, che già nel nome rimanda all’esperienza
pratico-teorica della controinformazione,
tratta estesamente dell’industria
alimentare, denuncia l’uso di additivi e la presenza di contaminanti,
affronta la questione della costruzione di un movimento di consumatori,
pubblica documentazioni e inchieste su singoli cibi, ospita dibattiti sulla
macrobiotica, schede su erboristeria ecc.
Oltre ai «Quaderni di controinformazione alimentare» la CLESAV ha pubblicato
«Coordinamento agricoltura» (1975-1977) e importanti testi critici
sull’industria agro-alimentare, la questione dei monopolî delle sementi, il
ciclo capitalista della fame, l’apartheid.
Su questi temi va ricordata anche un’esperienza come
quella dei «Quaderni d’Ontignano», editi dalla Libreria Editrice Fiorentina
(quella che aveva pubblicato Lettera a
una professoressa della Scuola di Barbiana, L’obbedienza non è più una virtù di don Milani e i testi della
Comunità dell’Isolotto). Fra i titoli più significativi dei «Quaderni
d’Ontignano» segnaliamo: I miti
dell’agricoltura industriale, di F.M.Lappè e J. Collins; Wovoka, la proposta rivoluzionaria dei nativi
americani; La rivoluzione del filo di
paglia, di Masanobu Fukuoka.
«El Salvanèl
el vegnirìa a eser en folet dispetos che l’abita su per le nose montagne. Nà
volta i lo conoseva tuti… ancòi, i mateloti no i sa gnanca chi che l’è! El
Salvanèl l’ha sempre defendù le val, i boschi e tuti i scròzi ’ndo che ’l vive.
Bòm come ’l pam con chi che ’l zuga con lu, dispetos e anca catìf quan’ ché
l’om el vol far el furbo, e darghe da entender che l’è el parom del mondo,
quan’ che ’l prova a profitarsene de lu, de la so casa, de la so bontà. Da ’sto
folet, l’om l’ha ’mparà tùt quel che serve per poder viver sui monti, a provar
rispèt per la tera ’ndo che se vive»: così recita l’incipit di una delle
riviste («El Salvanèl», n. 1, gennaio
2005) che mi donaste la sera del «Van der Lubbe».
Proviamo ora a mettere in costellazione el Salvanèl roveretano del 2005 con i Kabouters amsterdamesi del ’69: «Van
Duijn, uno dei teorici del Provotariato, dopo lo scioglimento del movimento, si
è ritirato su un’isola remota dei Paesi Bassi, in una fattoria di coltivazioni
biodinamiche. Qui ha ascoltato rapito i racconti di un contadino che non usa le
macchine a motore per i lavori agricoli, non volendo spaventare gli gnomi,
senza il cui aiuto i prodotti della terra non crescono bene. La cosa colpisce
la fertile fantasia di Van Duijn, che vede nello gnomo il simbolo perfetto con
cui sostituire la bicicletta bianca dei Provos.
[…]
«Perché gli gnomi? Perché sono creature attive,
inafferrabili, dotate di poteri magici, maliziose e amiche della natura e degli
animali. Secondo Paracelso, gli
gnomi sorvegliano i tesori della terra, “affinché non vengano trovati tutti lo
stesso giorno, siano distribuiti a poco a poco, non a qualche persona
solamente, ma a tutte”. (Una spiccata attenzione ecologista ed egualitaria,
quella che qui dimostra il buon Filippo Teofrasto Bombasto. E non a caso.
Infatti Paracelso, oltre a socializzare liberamente i suoi saperi come “medico
dei poveri” e a battersi per tutta la vita contro la iatrocrazia accademica e
ignorantissima, fu un “fiancheggiatore” dei movimenti rivoluzionari del
“pover’uomo comune” che scossero l’Europa centrale nel primo ventennio del
Cinquecento passando poi alla storia col nome di Guerra dei contadini.)
«Gli gnomi hanno inoltre la capacità di spostarsi
attraverso la terra senza impedimenti, come fanno i pesci nell’acqua e gli
uccelli nel cielo. Grandi riciclatori (una loro attività classica è quella di
risuolare le scarpe) e molto generosi (chi è che fabbrica i giocattoli per
Babbo Natale?), gli gnomi sono i guardiani della Pentola dell’Oro (una
conoscenza occulta). Parlano la lingua degli animali, gironzolano intorno alle
amanite, spipazzando sereni e facendo un check-in quotidiano alla natura.
Inoltre, c’è una leggenda che ha a che fare con loro e che riguarda proprio
Amsterdam: si narra che nel 1300
in città vivessero dei piccoli esseri che erano tenuti
in condizione di schiavitù dagli uomini. Un giorno si ribellarono e
scomparirono, lasciando gli uomini nei guai. Da allora gli abitanti del borgo di
Amsterdam impararono che tutti devono avere pari dignità di cittadini e pari
diritti.
«Dalla sua esperienza nella fattoria di Loverendale,
Van Duijn ricava De boodschap van een
wijze Kabouter (Il Messaggio da uno Gnomo Saggio). Questo libro, uscito nel
settembre del ’69 e destinato a conoscere un grosso successo in Olanda, espone
un progetto di riconciliazione tra
natura e cultura, unica via d’uscita da una società nevrotica, capitalista e
tecnocratica. Le preoccupazioni ecologiste abbozzate dal movimento Provo
vengono riprese e approfondite da Van Duijn, che ha trovato ispirazione nei
testi del fondatore dell’Antroposofia, Rudolf Steiner, di Domela Nieuwenhuis,
di Erich Fromm e soprattutto in quelli di Kropotkin. Quest’ultimo aveva
elaborato una visione della natura in contrasto con la filosofia capitalista e
con quella marxista, entrambe basate sul culto dell’Homo faber, il dominatore della natura. A differenza di Marx, che
vedeva nella centralizzazione e concentrazione di grandi masse operaie nelle
metropoli un’esperienza che, per quanto traumatica, avrebbe favorito la presa
di coscienza rivoluzionaria, prima tappa verso la conquista del potere da parte
del proletariato, l’anarchico russo propugnava il decentramento e la creazione
di piccole officine collegate a orti e giardini. Egli non vedeva evoluzione e
rivoluzione come due movimenti antitetici, ma come fattori complementari. Van
Duijn, per parte sua, dichiara che la rivoluzione ecologica deve partire dalla
città e lancia una campagna per far diventare Amsterdam “Città degli Gnomi”. Il
primo passo sarà quello di trasformare la città in una grande fattoria
biodinamica, con tanto di pecore che pascolano sui tetti delle case, per
riprendere contatto con la natura. Come sempre in anticipo sui tempi, da Amsterdam
viene lanciata la parola d’ordine di smantellare le industrie nocive e inutili
e frenare la crescita economica (in precedenza, solo Amadeo Bordiga aveva avuto
il coraggio di affermare, già negli anni Cinquanta, simili “eresie”)» (Matteo
Guarnaccia, Gioco magia anarchia:
Amsterdam negli anni Sessanta, Cox 18 BOOKS, Milano, 2005).
El Salvanèl e i Kabouters: non siamo qui di fronte a
uno di quei dialoghi sotterranei che accomunano nel movimento i vivi, i morti e i nascituri, come s’è visto nella
Libera Repubblica di Venaus? E sentite cos’altro affermavano gli Gnomi batavi:
«L’amanita della nuova società trarrà il suo nutrimento dalla linfa del tronco
che sta marcendo, finché l’avrà consumato tutto. La vecchia società svanirà
davanti ai nostri occhi, dopo che l’avremo consumata completamente. Ovunque
spunteranno le amanite della nuova società. Anelli fatati di Città degli Gnomi
si confedereranno in una rete mondiale: il Libero Stato di Orange» (Orange come
presa in giro della casa regnante olandese e dei razzisti sudafricani).
[Altre iniziative editoriali e pubblicazioni che è opportuno citare:]
«Senza tregua» e «Rosso Vivo» pubblicano un numero
speciale Contro la produzione di morte
(23 settembre 1976).
Nel 1977 il Collettivo Controinformazione Scienza
(Brescia) pubblica Kapitale e/o scienza.
Per un dibattito di base non specialistico sul Kapitale, la scienza, la
tecnologia, la nocività e altre cose di cui sentiamo spesso parlare ma di cui
non si parla quasi mai, Calusca Edizioni, Milano.
Agli inizi del 1978 «Rosso» individua quattro settori
d’intervento e dibattito: fra questi vi è la lotta allo «Stato nucleare ed alla
produzione di morte».
All’inizio del 1978, a Milano, esce il n. 0 di AAM, come
strumento di coordinamento fra le esperienze alternative in materia di
agricoltura, alimentazione, medicina. Analoga funzione svolge «Kontatto».
«Re nudo», Stampa Alternativa, Arcana Edizioni, «Riza
psicosomatica» pubblicano una ingente quantità di materiali su comunitarismo,
modi di vita alternativi, agricoltura biologica, riciclaggio, alimentazione,
medicine «altre» ecc.
Nel 1979 iniziano ad apparire i quaderni di scienze,
storia e società «Testi & Contesti», cui collaborano scienziati e
ricercatori come Angelo Baracca, Elisabetta Donini, Anna Lorini, Stefano Ruffo
ecc. La rivista, edita da Clup-Clued,
vuole approfondire quei percorsi che a partire dagli anni Sessanta avevano
progressivamente messo in luce come «non solo il potere dominante condizionava
e condiziona l’uso del prodotto ma gli stessi metodi, i criteri epistemologici
e culturali che sono alla base dei risultati della ricerca erano condizionati
dai gruppi di potere».
Lo stesso anno le Edizioni Filorosso pubblicano La scienza operaia contro lo Stato nucleare,
un testo in cui sono raccolti una serie di scritti apparsi su «Rosso» (n.
novembre 1977; n. 22-23, gennaio 1978 e n. 29-30, maggio 1978), «Senza tregua»
(n. speciale, 1978), «I Volsci» (n. 2, marzo 1978 e n. 6, ottobre 1978), «La Voce Operaia » (n.
309, marzo 1978) e «Il rosso vince sull’esperto» (n. speciale, 1977).
Le Edizioni Anarchismo pubblicano: L’inquinamento, a cura di La Hormiga (1977); Vroutsch, La radioattività e i suoi nemici (1979);
Michèle Duval, Grandezza e decadenza dei
seguaci dell’amianto (1979) e Pierleone Porcu, Contro la tecnologia nucleare, dal dissenso alla lotta insurrezionale
(1986).
Il Centro di Documentazione di Pistoia, oltre a dare
conto puntualmente da più di trent’anni, tramite il suo bollettino, delle
produzioni culturali e critiche del movimento, nella collana «Altrascienza»,
pubblica una serie di testi su armi chimiche, nucleare, pesticidi,
ambientalismo, imballaggi, agricoltura educata / agricoltura avvelenata,
rischio alluvioni e difesa dei fiumi, effetto serra ecc.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, in modo tra
loro indipendente, «Anarchismo», l’Accademia dei Testardi e La Fiaccola fanno conoscere
in Italia l’elaborazione dell’«Encyclopédie
des Nuisances» (Enciclopedia delle nocività), una dozzina d’anni prima che
Bollati Boringhieri la «scoprisse» (come avrebbe poi «scoperto» la rivista
«Tiqqun»).
Parafrasando Shakespeare l’«Encyclopédie des
Nuisances» così riassumeva i proprî intenti: «Vi sono certo più nocività sulla terra e nel cielo di quante ne potrà
mai recensire un’enciclopedia. Ma si può cominciare da una qualsiasi di esse,
se si prosegue consequenzialmente, per fare apparire contemporaneamente la loro
unità, che non è detta da nessuno, e l’aspetto particolare che si può
combattere». «Dopo più di due secoli, e nonostante essa pretenda, nella sua
modestia, di essere ancora ben lontana dall’aver dispensato tutti i suoi
benefìci, è evidentemente giunto il momento di giudicare dai fatti la
produzione mercantile: ha in effetti trasformato il mondo abbastanza perché si
possa valutare che cosa ci ha portato, e non ancora abbastanza perché non ci si
possa più ricordare di che cosa ci ha privato. […] La nostra aspirazione è mostrare concretamente come la società di
classe contenga (nasconda e rimuova)
la possibilità del suo superamento, e come la sua lotta contro questa minaccia
la porti ai peggiori eccessi in fatto di nocività; […] mostrare come
ciascuna delle specializzazioni professionali che compongono l’attività sociale
consentita arrechi il suo contributo alla degradazione generale delle
condizioni di esistenza; […] mostrare la produzione delle nocività nel suo
insieme come sviluppo autoritario la cui arbitrarietà è l’immagine capovolta e
da incubo della libertà possibile nella nostra epoca. Contemporaneamente, si
tratta d’indicare, là dove sono individuabili, le vie di superamento della presente paralisi storica, che le classi
proprietarie sognano di rendere irreversibile riempiendola di protesi».
All’inizio degli anni Novanta vanno ricordate almeno
queste esperienze:
– «Ludd 2000. Le mille ragioni della distruzione»,
Quadrimestrale di analisi e documentazione sulle nuove tecniche del potere post-industriale
(supplemento ad «Anarchismo»);
– il libro La
mal’aria. Aids e società capitalista neomoderna, a cura del Gruppo T4/T8,
Calusca City Lights, Milano, 1992;
– la proposta editoriale di Quattrocentoquindici
(1992): da Il tempo dell’Aids di
Michel Bounan a Medicina maledetta e
assassina ai titoli successivi (Il
nemico è l’uomo, di Bertrand Louart: «Marx dice che le rivoluzioni sono la
locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto
del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d'emergenza da
parte del genere umano in viaggio su questo treno»; Free Internet: una bella trovata; OGM: Ordine Genetico Mondiale, di Christian Fons ecc.);
– All’attacco della civiltà tecnologica, a
cura degli Amici di Ned Ludd, Gratis, Firenze, 1993;
– la traduzione, nel 1993, presso Nautilus, di Treni ad alta nocività. Perché il Treno ad
Alta Velocità è un danno individuale ed un flagello collettivo, pubblicato
in Francia due anni prima dall’Alleanza per l’Opposizione a Tutte le Nocività;
– infine, una serie
di esperienze legate al movimento della «Pantera» e ai suoi lasciti,
soprattutto a Roma: Assalti Teorici, Avanzi
di scienza. Scuola, università, tecnologia e capitale, Calusca Edizioni,
Padova, 1994; Biotecnologie. Le frontiere
nello sfruttamento della natura, a cura del Collettivo di Fisica e
Filosofia, Roma, Università degli Studi «La Sapienza », s.d. [ma 1997]; L.A.S.E.R., Scienza Spa. Scienziati, tecnici e conflitti,
DeriveApprodi, Roma, 2002.
Sulle esperienze attuali e/o del più recente passato –
dall’edizione autoprodotta delle Osservazioni
sulla agricoltura geneticamente modificata e la degradazione delle specie
alla traduzione italiana di «Los Amigos de Ludd - Bollettino d’informazione
anti-industriale», dalle «Crestomazie acratiche» all’attività del Comitato per la Difesa della Salute nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio (Operai,
carne da macello. La lotta contro l’amianto a Sesto S.Giovanni), da
Scanzano al No Tav – è qui superfluo dilungarsi: ne sapete più voi dello
scrivente.
3. Due contributi teorici: Bordiga e Cesarano
Amadeo Bordiga
Gli argomenti trattati da Bordiga su fogli come «Il programma comunista» o «Battaglia comunista» erano affatto inattuali negli anni del secondo dopoguerra, ma sono oggi al centro del dibattito sul futuro del Pianeta. Bordiga cercò di definire su basi materialistiche i rapporti tra riproduzione/evoluzione della specie ed economia produttiva; si occupò dei guasti della civiltà urbana, del peso della sovrappopolazione sulla crosta terrestre, dell’innaturalità delle catastrofi cosiddette «naturali» (testi successivamente raccolti in Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale. 1951-1953); parlò di agricoltura (Mai la merce sfamerà l’uomo) e ambiente; soprattutto intraprese, in anticipo di lustri, la sistematica demolizione del mito della «produttività», cui contrappose la diminuzione del tempo di lavoro. (Su questi temi si veda l’introduzione redazionale a Murdering the Dead. Amadeo Bordiga on Capitalism and Other Disasters, Antagonism Press,London , 2001.)
3. Due contributi teorici: Bordiga e Cesarano
Amadeo Bordiga
Gli argomenti trattati da Bordiga su fogli come «Il programma comunista» o «Battaglia comunista» erano affatto inattuali negli anni del secondo dopoguerra, ma sono oggi al centro del dibattito sul futuro del Pianeta. Bordiga cercò di definire su basi materialistiche i rapporti tra riproduzione/evoluzione della specie ed economia produttiva; si occupò dei guasti della civiltà urbana, del peso della sovrappopolazione sulla crosta terrestre, dell’innaturalità delle catastrofi cosiddette «naturali» (testi successivamente raccolti in Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale. 1951-1953); parlò di agricoltura (Mai la merce sfamerà l’uomo) e ambiente; soprattutto intraprese, in anticipo di lustri, la sistematica demolizione del mito della «produttività», cui contrappose la diminuzione del tempo di lavoro. (Su questi temi si veda l’introduzione redazionale a Murdering the Dead. Amadeo Bordiga on Capitalism and Other Disasters, Antagonism Press,
Tre brani valgano per tutti:
a) «La
Tecnica […]
pretende di essere un valore assoluto,
al di fuori di ogni «partita doppia» […]. Ebbene, mai il ciarlatanismo, il
corbellamento del proprio simile, il gabellamento più sfrontato delle menzogne,
hanno attinto così alto livello, come in questa epoca in cui siamo
“scientificamente” governati giusta i canoni della “tecnica”. […] Non vi è potente fregnaccia che la tecnica
moderna non sia lì pronta ad avallare, e rivestire di plastiche verginali,
quando ciò risponde alla pressione irresistibile del capitale e ai suoi
sinistri appetiti» (Politica e
«costruzione», 1952).
a) «
Bordiga scrisse queste parole nell’epoca d’oro della Big Science, quando la ricerca scientifica aveva assunto dimensioni e forme industriali,
con megaprogetti – in primis il
Progetto Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica, comprendente
«un complesso di laboratori grande quanto l’intera industria automobilistica
degli Stati Uniti» (Bertrand Goldschmidt, cit. in Richard Rhodes, L’invenzione della bomba atomica, trad.
it. Rizzoli, Milano, 2005) –, pianificazione di lungo periodo, forte sostegno
da parte degli Stati nazionali (nascita nel secondo dopoguerra dei primi enti
governativi per la ricerca, come la Commissione per l’Energia Atomica statunitense) e
sinergie fra industrie, università e fondazioni private (come la Ford e la Rockefeller ). Come non
pensare che il ciarlatanismo e la fregnaccia attingano vertici inauditi, ora
che, dopo le crisi e le ristrutturazioni degli anni Ottanta e Novanta, «il
mondo della ricerca deve rivolgersi a istituzioni di credito, banche, organizzazioni
internazionali che trasformano la scoperta scientifica in un’operazione
finanziaria e imprenditoriale» (L.A.S.E.R., Scienza
Spa, cit.), ora che i titoli tecnologici girano vorticosamente in Borsa,
nei circuiti del fittizio per antonomasia, là dove «il denaro passa velocemente
di mano in mano, prima di scomparire non si sa dove»? (Battuta che circolava a
Wall Street, quand’era ancora lecito fare dell’ironia.)
b) In un testo del 1958 Bordiga sfotte la «soggezione reverenziale per i “valori” capitalistici di libertà, civiltà, tecnica, scienza, potenza produttiva – termini tutti che noi, con Marx originario e uscito dal getto incandescente della fornace rivoluzionaria, non vogliamo ereditare, ma spazzare via con odio e disprezzo inesausti» (Le lotte di classi e di Stati nel mondo dei popoli non bianchi, storico campo vitale per la critica rivoluzionaria marxista).
c) E in Proprietà e capitale, distruggendo il concetto di proprietà (anche di sé e del proprio corpo: «pura scempiaggine») e con ciò «tutta la ideologia borghese di potere e di sovranità giuridico-politica propria dei democratici», Bordiga cita Marx: «Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla, migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive» (Il Capitale, III, p. 887).
Giorgio Cesarano
Nei primi anni Settanta, la consapevolezza che la catastrofe del capitale minaccia realmente la sopravvivenza dell’umanità e del Pianeta e la scommessa (all’insegna della parola d’ordine la vita contro la morte) sulla vitalità della specie che ha dato buona prova di sé nel ciclo di lotte allora appena conclusosi, sono tratti che accomunano le posizioni, pur diversificate, di tutta la corrente radicale (La véritable scission dell’I.S., Camatte, Cesarano). In particolare è di quest’ultimo che si vuole qui parlare.
b) In un testo del 1958 Bordiga sfotte la «soggezione reverenziale per i “valori” capitalistici di libertà, civiltà, tecnica, scienza, potenza produttiva – termini tutti che noi, con Marx originario e uscito dal getto incandescente della fornace rivoluzionaria, non vogliamo ereditare, ma spazzare via con odio e disprezzo inesausti» (Le lotte di classi e di Stati nel mondo dei popoli non bianchi, storico campo vitale per la critica rivoluzionaria marxista).
c) E in Proprietà e capitale, distruggendo il concetto di proprietà (anche di sé e del proprio corpo: «pura scempiaggine») e con ciò «tutta la ideologia borghese di potere e di sovranità giuridico-politica propria dei democratici», Bordiga cita Marx: «Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla, migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive» (Il Capitale, III, p. 887).
Giorgio Cesarano
Nei primi anni Settanta, la consapevolezza che la catastrofe del capitale minaccia realmente la sopravvivenza dell’umanità e del Pianeta e la scommessa (all’insegna della parola d’ordine la vita contro la morte) sulla vitalità della specie che ha dato buona prova di sé nel ciclo di lotte allora appena conclusosi, sono tratti che accomunano le posizioni, pur diversificate, di tutta la corrente radicale (La véritable scission dell’I.S., Camatte, Cesarano). In particolare è di quest’ultimo che si vuole qui parlare.
Il 1973 è l’anno dello «shock petrolifero», delle
domeniche senz’auto, dell’austerità, dell’affacciarsi di prospettive di
«crescita zero». Giorgio Cesarano pubblica Apocalisse
e rivoluzione: i tempi delle contraddizioni capitalistiche si stanno
facendo stretti, ed è necessario che la dialettica rivoluzionaria incalzi il
processo catastrofico in cui il capitale si scontra con i limiti termodinamici
della biosfera. La nuova giovinezza che il capitale si è accordata dopo la Seconda Guerra
mondiale è stata possibile solo sulla base di una negazione sistematica delle
necessità ecologiche; gli squilibri sono ormai tali e tanti che anche i
difensori del sistema avvertono la necessità di introdurre dei correttivi e
giocano la carta dell’«autocritica».
Secondo Cesarano tutte
le contraddizioni si assommano per disegnare la prospettiva dello scontro
ultimativo che oppone la specie umana al capitale, giunto a colonizzare non
solo l’estensione fisica del Pianeta ma la stessa interiorità dei suoi schiavi.
La corporeità vivente è chiamata a insorgere contro il pericolo di
annichilamento cui la espone la potenza autonomizzatasi e indementita del
capitale e a superare i limiti di tutte le rivoluzioni «storiche».
In Apocalisse e
rivoluzione sono delineati «i termini essenziali di una critica della “politica” che mentre
individuava nella “politica” le strutture reificate dell’ideologia, introduceva
a un ampliamento dell’ottica radicale diretto ad aprire il campo della critica
a una dimensione totale dello scontro
in atto, definito come il processo della rivoluzione
“biologica”. Si trattava […] di uno scritto d’occasione, sollecitato dal
“Rapporto del M.I.T.” (I limiti dello
sviluppo, Mondadori), in cui le scienze più “nuove” del capitale
anticipavano mistificatoriamente la partitura di quella crisi energetica che
poco più tardi avrebbe occupato la “scena della storia”».
E l’anno dopo (1974) nel Manuale di sopravvivenza Cesarano scrive: «È tempo di vedere il movimento reale come il concreto avanzare della
specie, e dell’individuo, verso l’affermazione dell’essere, al di là di ogni
coazione a distruggersi. È tempo
soprattutto di conoscere nella propria presenza la presenza materiale e
“storica” del possibile. La rivoluzione
parte dal corpo: dalla corporeità del desiderio che si conosce come
materialmente possibile».
Questa prospettiva approda a una Critica dell’utopia capitale, inconclusa a causa del suicidio
dell’Autore, avvenuto nel luglio 1975. In questo ponderoso testo Cesarano
sviluppa l’analisi del dominio del
capitale nella fabbrica della persona,
attraverso la mortificazione e lo sfruttamento del corpo organico, l’alienazione linguistica, l’introiezione delle
regole valoristiche e scambiste, la conformazione di tutti i livelli
dell’esperienza agli imperativi del lavoro, del consumo, della
rappresentazione, fino al punto che le donne e gli uomini vivi incarnano l’astrazione morta
dell’essere-capitale e colgono il reale e il loro stesso esserci solo
attraverso quest’astrazione: siamo al tentativo finale del capitale di
realizzare l’antropomorfosi e al dispiegamento della sua mortifera essenza.
Per contro si ha il processo dialettico di
costituzione della Gemeinwesen (comunità, essere comune dell’uomo), accesso degli uomini all’autogenesi creativa, inveramento delle
loro potenzialità come esseri viventi e sociali, infine armonizzati
nell’universo naturante. «Mentre tutto l’esistente non è che un deserto
dominato dal capitale, la passione “muta” dei corpi si appresta a esplodere,
affermandosi come “totalità naturante”, battendo in breccia i progetti
cibernetici o di clonazione – che chiuderebbero per sempre la partita –, e
rivelandone il carattere utopistico» (Francesco «Kuki» Santini, Apocalisse e sopravvivenza).
Ma invece dell’autogenesi
creativa abbiamo avuto l’autodistruzione delle soggettività rivoluzionarie,
il riflusso, la sconfitta, il pentimento di molti e un imperio del capitale che
non esita a propagandare e a materiare le ideologie più reazionarie e
decrepite.
4. Conclusione
«Quando un grave pericolo è alle porte le vie di mezzo portano alla morte,» recita un proverbio tedesco. Occorre praticare il «punto di vista della totalità», operare un «rovesciamento di prospettiva» tanto teorico che pratico. Ogni prospettiva e ogni lotta che non coinvolga la società nella sua totalità, restando parcellizzata e settoriale, finisce per essere recuperata dallo Stato delle Cose e inserita nella combinatoria del capitale.
4. Conclusione
«Quando un grave pericolo è alle porte le vie di mezzo portano alla morte,» recita un proverbio tedesco. Occorre praticare il «punto di vista della totalità», operare un «rovesciamento di prospettiva» tanto teorico che pratico. Ogni prospettiva e ogni lotta che non coinvolga la società nella sua totalità, restando parcellizzata e settoriale, finisce per essere recuperata dallo Stato delle Cose e inserita nella combinatoria del capitale.
La «iatrogenesi dell’in-salute», la Mucca Pazza e il pollo
alla diossina, Seveso e Bophal, l’inquinamento elettromagnetico e la miriade di
nocività vecchie e nuove, i 1200 morti sul lavoro all’anno, la Rivoluzione verde
degli anni Cinquanta e l’odierna «pirateria dei semi», Chernobyl, Tokaimura e
Los Alamos, lo «spettro della clonazione umana e l’ombra di Frankenstein», le
guerre («etniche» o «umanitarie», di «bassa intensità» o high-tech: tutte le
guerre, esclusa la
Guerra Sociale ), la rottura accelerata degli equilibri
climatici e il saccheggio delle risorse naturali, lo sprofondare di aree sempre
più vaste del Pianeta in crisi annichilenti sono altrettanti capitoli del Romanzo del Diavolo in corpo:
l’insaziabile fame di plusvalore del capitale e le sue mastodontiche
contraddizioni.
E allora? «Mirabile coincidenza: per salvare quel poco
di esistenza umana che la cancrena della produzione mercantile non ha ancora
disastrosamente conquistato […] serve una rivoluzione sociale; perché la
rivoluzione sociale resti possibile, occorre difendere ciò a partire dal quale
una vita libera dovrà essere costruita, e da dove solo si può ancora
concepirla, e giudicare tutto il resto» («Encyclopédie des Nuisances»).
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