Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

29 settembre 2010

Che fare?

«Le Réveil Communiste» (1927)


Dino Erba, Ottobre 1917 – Wall Street 1929. La Sinistra comunista italiana tra bolscevismo e radicalismo: la tendenza di Michelangelo Pappalardi, Colibrì, Milano, 2005.

All’inizio degli anni Venti, sorsero tendenze comuniste radicali che, prima, criticarono, poi cercarono di contrastare, le scelte del movimento comunista internazionale, trascinato dal riflusso della rivoluzione d’Ottobre e sempre più sottomesso al governo sovietico. Fin dai suoi primi passi, si distinse la Sinistra comunista italiana. I suoi militanti, costretti all’esilio, ebbero  occasione di conoscere altre voci critiche; da questo confronto, nel 1927, nacque in Francia il gruppo animato da Michele Pappalardi, che ebbe come riferimenti la Sinistra tedesco-olandese (in particolare il gruppo di Karl Korsch) e la Sinistra russa di Gavril Mjasnikov.
L’attività del gruppo si esaurì nel giro di pochi anni, dal 1927 al 1931, durante i quali pubblicò dapprima «Le Réveil Communiste» e, in seguito, «L’Ouvrier Communiste». Furono, quelli, anni decisivi, in cui l’onda lunga dell’Ottobre russo si andava esaurendo, rivelandosi impotente ad affrontare una crisi di profonda portata come il «crollo di Wall Street», con tutte le implicazioni che la precedettero e la accompagnarono: fascismo, keynesismo e guerra; le cui conseguenze, nello scontro di classe, sono oggi di impellente attualità.
Nella nuova edizione del libro [Quaderni di Pagine marxiste, 2010] non sono presenti due articoli apparsi nella prima. Si tratta di articoli che presentano un notevole interesse, motivo per cui abbiamo ritenuto opportuno renderli pubblici attraverso Internet.
Il primo articolo, Che fare? («Le Réveil Communiste», a. I, n. 1, novembre 1927) ha un carattere programmatico; la critica all’esperienza dell’Internazionale comunista e dei partiti a essa affiliati, aiuta a capire l’impostazione complessiva dell’organizzazione politica animata da Pappalardi: i Gruppi d’Avanguardia Comunista.
Il secondo articolo, Abbasso le assicurazioni sociali! («L’Ouvrier Communiste», a. II, n. 11, agosto 1930) affronta una questione contingente, ma di notevole importanza per i successivi sviluppi: la legge sulle assicurazioni sociali, premessa di quella politica borghese che diverrà nota come Welfare State.
[D.E.].

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Premessa

Che fare?, pubblicato sul primo numero de «Le Réveil Communiste», affronta le questioni dell’unità proletaria e delle sue implicazioni sul piano organizzativo, individuandone i presupposti in un coerente processo di maturazione rivoluzionaria. Ovviamente, il punto di confronto è costituito dagli allora recenti avvenimenti russi.
A questo proposito, è interessante sottolineare come le posizioni dei Gruppi d’Avanguardia Comunista, si distinguano nettamente da quanto veniva allora sostenuto non solo dai trotskisti, ma anche dalla Sinistra comunista italiana (1). Il saggio capovolge l’interpretazione di quest’ultima, che attribuiva l’involuzione russa all’arretramento del movimento rivoluzionario internazionale, e sostiene che la degenerazione era nata nella stessa Russia, con l’abbandono del comunismo di guerra a favore della NEP (Nuova Politica Economica).

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Che fare?

Quando si vuole esporre la verità, bisogna dirla tutta
oppure non dire nulla. Bisogna dirla in modo corretto,
senza misteri, senza reticenze, senza equivocare sulla
sua importanza. Perché, più un errore è grossolano, più
breve e diretto è il cammino che conduce alla verità;
al contrario, l’errore raffinato ci può allontanare
in eterno  dalla verità, perché con maggior difficoltà
ci convinceremmo  che è un errore. Chi sostiene di poter
fornire  agli altri la verità, con la copertura di ogni sorta
di trucchi e travisamenti,  potrà solo essere il magnaccia
della verità, mai il suo amante.
(Lessing)

Nel decimo anniversario della grande rivoluzione russa, gigantesco fenomeno storico e sociale, inserito nel grande movimento internazionale del proletariato, scatenato dalla guerra mondiale, dopo un secolo di movimenti operai, a 63 anni dalla fondazione delle Prima Internazionale, a 48 anni dalla fondazione della Seconda Internazionale e solo 8 anni dopo la fondazione della Terza Internazionale, in un momento in cui la storia del movimento di classe è tanto ricca di esperienze negative e positive, in cui, tuttavia, gli esiti di questo grande periodo storico non sono del tutto favorevoli alla classe operaia, che si trova a dibattersi nei soliti frangenti, se non peggiori, il problema della reale unità di tutte le forze veramente rivoluzionarie non è assolutamente risolto. Al contrario, si presenta oggi in tutta la sua gravità.
La Prima Internazionale (dato lo spirito assolutamente rivoluzionario dei suoi dirigenti) ebbe fine all’inizio della fase del grande sviluppo capitalistico verso il monopolismo e l’imperialismo economico, anche a causa di tendenze liberal-borghesi e anarco-liberali, presenti in essa, che ne accelerarono lo scioglimento.
Questo fu in realtà il primo tentativo di unità che non ebbe successo. E non poteva averlo, considerato il successivo sviluppo delle forze economiche e politiche della borghesia, considerando anche la grande varietà, non tanto di tendenze sociali, quanto delle ideologie che queste tendenze rappresentavano in seno alla Prima Internazionale. Dal punto di vista storico, la Prima Internazionale sarebbe dovuta servire ai rivoluzionari comunisti come esempio negativo, per quanto riguarda le soluzioni adottate per giungere a uno sbocco unitario. Ed è curioso osservare invece, come quasi tutti i tatticisti del movimento rivoluzionario abbiano preso tali soluzioni come punto d’appoggio, per le loro elaborazioni politiche. Forse nessuno di loro ha applicato nel suo significato profondo e reale la parola d’ordine lanciata da Marx nel famoso indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori: “Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!”.
Fino a oggi, si è cercato di dare a questo problema, che è essenzialmente dinamico, soluzioni artificiose e sbrigative che, naturalmente, hanno causato scottanti delusioni. Questa parola d’ordine, lanciata da oltre mezzo secolo, non ha assolutamente perso nulla della sua importanza, perché è sempre sul terreno dell’unità che il proletariato ha ottenuto i suoi maggiori successi, pur combattendo, come classe, da solo.
La Prima Internazionale si sciolse dopo i primi movimenti rivoluzionari di grande ampiezza del proletariato. Nella lunga fase di sviluppo capitalistico, con la sua evoluzione dalle primitive forme concorrenziali alle più avanzate forme monopolistiche, si costituì la Seconda Internazionale, organismo il quale, come i partiti che ne facevano parte, rispondeva alla particolare fase di sviluppo delle aristocrazie operaie e di addormentamento politico e rivoluzionario di gran parte delle masse più sfruttate, il cui movimento fu circoscritto entro limiti sindacali ed elettorali. Anche in seno alla Seconda Internazionale, l’unità ideologica fu fittizia, poiché abbracciava i più disparati elementi. La sua apparente ortodossia marxista e internazionalista era contraddetta dalla prassi politica delle diverse sezioni e dalla lotta delle correnti veramente rivoluzionarie contro la maggioranza sedicente ortodossa.
A questo punto, si deve riconoscere che la Seconda Internazionale, in quanto allora esprimeva le condizioni e la psicologia delle masse operaie, nella ristrettezza del suo orizzonte politico, non poteva assolutamente essere sensibile alla totalità del grande processo storico in cui il proletariato avrebbe realizzato, con la propria liberazione, la liberazione di tutta la società. E, sotto questo profilo, il Revisionismo si presentava come un’ideologia che corrispondeva perfettamente alla fase di sviluppo economico del capitalismo e come conseguente piattaforma politica dell’aristocrazia operaia segnava la rottura formale degli opportunisti con la tradizione rivoluzionaria. L’ortodossia formale presentava le prospettive rivoluzionarie come qualcosa di molto lontano, che non meritava di essere mischiato con l’attualità, mentre la sinistra rivoluzionaria, anche nel periodo di crescita capitalistica, si rendeva conto della grande importanza dei problemi della rivoluzione, benché non fossero attuali. Essa considerava il complessivo sviluppo del movimento di classe del proletariato come la premessa per la vittoria rivoluzionaria del proletariato stesso, come una germinazione, attraverso l’esperienza della lotta delle classi, delle forze necessarie per quel grande assalto finale che Marx, alla fine della Miseria della filosofia, prospetta in termini inesorabili.
Ma se la Seconda Internazionale era l’espressione storicamente logica dell’epoca della crescita del capitalismo, se essa, dal punto di vista proletario, non poteva che fallire con lo schiudersi della fase rivoluzionaria, se era lontana dal complessivo processo dialettico della lotta delle classi, ne consegue che essa rappresentava un’esperienza e il suo fallimento comportava il fallimento completo di un metodo. Questa esperienza si manifestava nella germinazione di nuove correnti della sinistra, che reagivano contro la politica opportunista dei dirigenti, negando giustamente il suo presunto contenuto classista. La grande crisi del capitalismo, apertasi nel 1914 con lo scoppio della Grande Guerra, infranse definitivamente l’unità delle correnti che si dichiaravano marxiste, creando così le premesse per un nuovo sviluppo del movimento politico della classe operaia. Ma, se l’esperienza della Seconda Internazionale si traduceva, grazie ai veri rivoluzionari, nella negazione stessa dei suoi metodi, evidentemente a queste nuove formazioni politiche decisamente proletarie, come anche alla classe operaia, è mancata una completa esperienza della lotta rivoluzionaria, con tutte le sue complicazioni e sorprese, è mancata una visione completa di tutti i problemi tattici e di tutte le soluzioni politiche.
La questione dello Stato in relazione al proletariato, considerata e analizzata per la prima volta da Lenin in Stato e rivoluzione in modo assolutamente soddisfacente sotto il profilo teorico, resta ancora in attesa di una definitiva soluzione pratica. Sotto questo aspetto, la Comune di Parigi aveva fornito uno riferimento molto importante, ma la sua breve durata non poteva certo rappresentare, per questo problema, un’esperienza completa e una soluzione totale. La Rivoluzione russa e la conseguente esperienza statalista del proletariato russo ci hanno offerto un quadro in cui non mancano le sorprese; questa esperienza, sia positiva sia negativa, sarà più che sufficiente per orientare la nostra azione futura, indicando le misure e le soluzioni circa la questione statale. Il processo di nascita di una nuova Internazionale, che a Zimmerwald si tentò di sollecitare, anche prima della grande Rivoluzione russa, ebbe una conclusione prematura allorché, sull’onda di un grande movimento storico inizialmente proletario, nel 1919 si volle forzare la storia del movimento rivoluzionario. La dichiarazione pregiudiziale del rappresentante dello Spartacusbund(2) al momento della fondazione della Terza Internazionale appare oggi, di fronte al declino dell’Internazionale Comunista, come già affetta dal suo peccato originale, in tutta la sua gravità. Ed è deplorevole che quel rappresentante abbia poi ceduto all’entusiasmo del momento, rinunciando a obbedire coerentemente alla fredda logica della complessiva esperienza storica. E abbiamo pagato assai caro questo peccato originale, con un crollo in cui tutti si sono reciprocamente trascinati. In questo modo nel 1919, anche nel pensiero del grande tattico Lenin, l’unità formale è prevalsa sull’unità sostanziale. Bisogna riconoscerlo: le formazioni politiche che hanno costituito la nuova Internazionale non erano ancora giunte a una completa maturazione ideologica e tattica.
Ora, che abbiamo mostrato il vizio d’origine, costituzionale, della Terza Internazionale, vediamo quali sono i fatti che hanno determinato la sua degenerazione, oggi ormai completa. I presupposti sono la costituzione unilaterale dell’Internazionale, in cui la Rivoluzione russa, attraverso i suoi dirigenti, ha svolto un ruolo eccessivo. Non dobbiamo mai dimenticare che questa prematura soluzione del problema dell’unità politica fra le correnti rivoluzionarie, dal momento che esprimeva il livello di maturazione del proletariato mondiale, comportava in modo assoluto il ruolo egemone del movimento proletario russo e, di conseguenza, dei suoi fattori materiali, nella nuova Internazionale. Come fattori che hanno determinato la degenerazione del Comintern possiamo allora vedere da un lato il progressivo arretramento della Rivoluzione russa su posizioni sempre più di destra e dall’altro la mancanza di forze, nelle restanti sezioni della Terza Internazionale, in grado di opporsi alla crescente influenza di destra, prodotta dall’arretramento del movimento russo. Questa insufficiente maturità politica, che si manifestò al momento della fusione tra le correnti rivoluzionarie a livello internazionale nel 1919, si rivelò in seguito fatale per lo sviluppo di un vero partito comunista mondiale, dal momento che rendeva impossibile rigenerare il Comintern dal suo interno. Questa debolezza è stata aggravata dal ruolo preponderante dei russi, il quale ha impedito che l’esperienza rivoluzionaria seguisse un corso naturale, grazie allo sviluppo di movimenti nei differenti Paesi. Infine, essa viene sempre più rafforzata dal ruolo dispotico del movimento russo, che è un ostacolo conservatore e reazionario contro l’inevitabile formazione di nuove avanguardie politiche, frutto indistruttibile dell’esperienza della classe operaia.
L’influenza politica del PCR sulla Terza Internazionale si manifestò in modo sempre più evidente man mano che la Rivoluzione russa, passando dal comunismo di guerra alla NEP, andava verso la completa liquidazione delle direttive originarie, idealizzando la NEP. La NEP, nella sua essenza, segna un arresto e anche un arretramento nella marcia della Rivoluzione russa, ma questo arretramento non era considerato come una misura definitiva né come un abbandono completo del comunismo, che viene definito comunismo di guerra. A questo punto delle nostre considerazioni sulle cause della degenerazione del Comintern, siamo tenuti a sottolineare la differenza che ci separa su questa questione, non solo dalle correnti centriste, ma anche da quelle correnti, particolarmente diffuse tra i perronisti italiani (dal nome del suo ispiratore intellettuale)(3), che dicendosi di sinistra e bordighisti pretendono, seguendo l’interpretazione ufficiale, di svuotare completamente del suo contenuto rivoluzionario il grandioso tentativo del comunismo di guerra, presentandolo come una banale necessità transitoria! Quando, a partire da questa premessa, si affronta la questione della NEP, si finisce inevitabilmente per idealizzarla, dal momento che la NEP viene vista come l’unica possibile soluzione positiva, sul piano economico, della Rivoluzione russa. Il tentativo attuato dal comunismo di guerra non fu una necessità transitoria, al contrario, lo fu la NEP. E non fu il ristagno del movimento rivoluzionario mondiale a causare questo ristagno, che si suole chiamare nuova politica economica. Per presentare la NEP come una necessità immanente della Rivoluzione russa, viene addotta una giustificazione che contiene nelle premesse la sua idealizzazione. Per questo motivo, non possiamo condividere l’opinione centrista dei nostri perronisti. L’idealizzazione della NEP si presenta fin dall’inizio come una prima espressione ideologica di una classe o di più strati sociali che non sono la classe operaia e, di conseguenza, essa indica un significativo progresso di nuovi strati sociali nell’apparato statale, il quale, a causa della sua burocratizzazione e a causa del regime interno del PCR, è andato staccandosi sempre più dalla classe operaia. (Riguardo i particolari aspetti della degenerazione dell’apparato statale, il punto di riferimento è la critica svolta da Trotsky nel suo Nuovo corso (4), tenendo presenti le considerazioni di Marx sulla Comune, commentate da Lenin in Stato e rivoluzione). Non si tratta ora di esaminare le questioni inerenti lo Stato e la Rivoluzione russa, poiché non possiamo soffermarci sulla complicata questione della degenerazione dell’apparato statale. Ci limitiamo a ricordare questi due fattori essenziali riguardanti la Neo-NEP e l’ipertrofica burocratizzazione, secondo la logica proletaria, dell’apparato statale. A margine, annotiamo che l’esito di questa esperienza statalista del proletariato russo dimostra che la questione dello Stato non ha trovato nella rivoluzione russa una soluzione definitiva e completa. Il proletariato ha il diritto e il dovere di meditare e di discutere questa fondamentale questione, che imprime un carattere originale al suo ruolo storico. Questa discussione in seno alla classe operaia non deve assolutamente indurci a posizioni socialdemocratiche, né si deve scorgere nelle nostre precedenti riflessioni una negazione della dittatura del proletariato. Al contrario, dobbiamo mettere a punto e tutelare contro ogni forma di degenerazione questa forma di governo proletario, che non è e non dovrà mai essere un governo democratico, né un governo socialdemocratico, che poi è la stessa cosa, e neppure un governo il quale sia frutto di un’alleanza di due o più classi, ma dev’essere un governo in cui da un lato l’egemonia della classe operaia sia assoluta e dall’altro l’apparato statale, assolutamente coeso con il proletariato, non debba presentare caratteristiche di rigidità e tendenze a divenire un organismo permanente e sempre più totalitario. Al contrario, lo Stato deve presentare la tendenza a divenire sempre meno rigido e più duttile, salvo acquisire poi, con il grande sviluppo rivoluzionario sull’attuale Internazionale, la tendenza a limitare sempre di più i suoi poteri e, infine, sparire.
L’esperienza russa ci presenta una degenerazione tipica di questa linea di fondo della dittatura proletaria. La burocratizzazione dell’apparato statale, il suo assoluto distacco dalla classe operaia, le manifestazioni ideologiche non proletarie in seno a questo stesso apparato denotano come in Russia la dittatura del proletariato non sia più una realtà nel Paese della più grande rivoluzione della classe operaia, ma una questione di pura forma, sulla quale si scontrano le illusioni di tutte le opposizioni russe. Particolarmente significativo è l’atteggiamento del trotskismo che, se al momento del suo passaggio all’opposizione aveva svolto una critica della situazione russa toccando in profondità la realtà della dittatura proletaria in Unione Sovietica, oggi si appoggia disperatamente a questo lato formale di tale dittatura, assumendolo come fattore fondamentale di tutte le sue posizioni critiche e di tutte le sue ritirate strategiche. Questa posizione, che è una permanente contraddizione tra le premesse critiche e l’atteggiamento pratico, è condivisa in Germania dai maslowiani(5) e in Francia dai giraudisti(6), di cui i perronisti sono oggi l’appendice italiana. Giustificazione di questa sublime incoerenza sarebbe la disciplina!
La progressiva scomparsa della dittatura proletaria in Russia, come elemento reale, dato il “peccato originale”, ha via via provocato nel Comintern quel processo di precoce degenerazione, passato alla storia sotto il nome di bolscevizzazione. Questo difetto d’origine ha fatto sì che al destino della dittatura del proletariato si saldassero strettamente le sorti del Comintern, la cui scomparsa è il corrispettivo della reale sparizione della dittatura del proletariato. Nel nostro ultimo manifesto, diffuso per denunciare le dimostrazioni semi-fasciste che i mostriciattoli della bolscevizzazione inscenano tra i comunisti italiani e tra i cantori dell’ospitalità offerta dalla borghesia belga(7), abbiamo definito il Comintern un organismo in liquidazione, condensando in questa sintetica espressione il nostro pensiero al riguardo. Ora, avendo più spazio a disposizione, possiamo esprimerci in modo più ampio, spiegando che la liquidazione del Comintern è un fatto compiuto. Non ci soffermiamo oltre sulla bolscevizzazione, sia come manifestazione di degenerazione ideologica e tattica (ossia, revisionismo di fatto delle posizioni dialettiche del marxismo operato dal bukarinismo(8), di conseguenza, false posizioni sul terreno tattico: il problema dell’unità e le gravi deviazioni sulla questione della guerra), sia come manifestazione di degenerazione organica (le cellule, passaggio alla politica di massa, attraverso la quale i partiti comunisti diventano veicolo per elementi politicamente semi-coscienti o del tutto incoscienti, dando spazio al dispotismo e all’idiozia burocratica(9)), ma ci riserviamo di analizzare nei dettagli questo tipico processo di degenerazione, già d’altronde esaminato nelle sue linee di fondo nella nostra “Piattaforma della Sinistra”(10) e in altri articoli. Per ora, ci limitiamo a sottolineare come alla visione formalista del problema della dittatura del proletariato corrisponda, per le correnti d’opposizione prima citate, una visione altrettanto formale del problema del Comintern. Stalinisti e Bukarinisti, affossatori della Rivoluzione russa, approfittano per parte loro di questa conservazione della visione formale della rivoluzione proletaria al fine di conservare parimenti la Terza Internazionale come pura forma (dal punto di vista proletario). Non è tanto sulla base dell’espulsione dal Comintern di Trotsky e degli altri membri del Comitato Centrale, che noi giudichiamo come esclusivamente formale la sopravvivenza dell’Internazionale Comunista; noi traiamo queste conclusioni dallo sviluppo di tutta la nostra linea critica. La sparizione formale del Comintern seguirà alla sparizione formale della dittatura del proletariato in Russia? La risposta a questa domanda è contenuta nelle nostre premesse, di conseguenza non è altro che un’illazione. Ma non è questo il punto più spinoso della questione, dal momento che un’evidente liquidazione della pura forma statale sedicente proletaria, ma in realtà nepman-kulakista, spazzerà via tutte le illusioni e creerà una base del tutto nuova, per un nuovo sviluppo del movimento rivoluzionario a livello internazionale. Il punto più grave della questione consiste invece nella possibile sopravvivenza, con una durata indefinita, di questo fantasma o falsificazione della dittatura del proletariato, cui corrisponderà il perdurare di una malsana suggestione presso gli strati proletari politicamente più avanzati e la loro demoralizzazione e corruzione ideologica e politica. Con questo orientamento, il nostro giudizio deve colpire aspramente tutti quegli esponenti dell’opposizione che, formalizzando la questione, contribuiscono abbondantemente a mantenere un simile stato d’animo tra le avanguardie rivoluzionarie e in tutta la classe operaia
Opporre alla falsa interpretazione neo-leninista della questione dello Stato e alla sua formalizzazione da parte dei finti oppositori la vera soluzione marxista, svelare l’ipocrisia di una forma di governo che in Russia non corrisponde più all’egemonia del proletariato, rimettere la questione della rivoluzione mondiale sulla sua base naturale, opporre alla disciplina formale di un organismo come il Comintern, fin d’ora liquidato dal punto di vista rivoluzionario, la vera disciplina comunista, ecco il fondamentale dovere di ogni cosciente operaio comunista.
Che un organismo, ormai ridotto a un fantasma per la reale dinamica delle forze proletarie, si dissolva anche formalmente, ecco una cosa che non provocherà alcun rimpianto per i veri comunisti. Non dobbiamo operarne alcun salvataggio formale, anzi, dobbiamo demolirlo. Ciò che dobbiamo salvare, sono gli strati rivoluzionari ancora suscettibili di essere strappati alla corruzione, la sostanza della dottrina marxista e i risultati preziosi dell’esperienza rivoluzionaria del proletariato. Quest’attività degli elementi comunisti più coscienti, se seguirà una linea rigorosamente marxista e fermamente guidata dall’insieme delle esperienze rivoluzionarie, non dovrà e non potrà ripetere gli errori del passato. L’unità formale ha ormai compiuto il suo funesto ciclo di disastri. La storia del movimento operaio ne è colma. Tanto più, quanto più si è voluto sacrificare la reale dinamica rivoluzionaria alla tradizione unitaria del movimento politico. È la storia del PSI, in quegli anni che la borghesia ha definito rossi(11) e che il proletariato italiano non dimenticherà mai. Tanto più grave quando la follia unitaria ha rimpiazzato la spontaneità del processo rivoluzionario con un ibrido miscuglio di formazioni politiche incoerenti. È la storia del Partito Comunista Tedesco, che, generato dalla grande esperienza della guerra mondiale, dalla originaria impostazione politica decisamente rivoluzionaria dello Spartacusbund, al congresso di Halle(12) fu trasformato in un organismo anacronistico, in cui gli elementi veramente rivoluzionari furono assorbiti, disorientati e dispersi nella marea di militanti del Partito Indipendente. E così, l’unità formale ha preparato la disfatta rivoluzionaria del 1923(13). Di fronte a comunisti che, come Graziadei(14) in Italia e Souvarine(15) in Francia, per sostenere la loro passione per l’unità formale hanno scovato argomenti formidabili nei grandi successi elettorali, siamo costretti a dichiarare che per questi esponenti della destra le prospettive rivoluzionarie sono subordinate a prospettive dettate da compiti secondari o addirittura a deleterie metamorfosi dell’azione rivoluzionaria del proletariato.
Quindi, nelle nuove formazioni politiche d’avanguardia del proletariato, nessuna unità formale, e nessuna organizzazione internazionale, prima di aver sviluppato fino in fondo una linea di sinistra a livello internazionale. Nessun ritorno al passato, che vuol dire cadere in posizioni ormai del tutto liquidate. Ogni aggregazione politica rivoluzionaria, che nasce in opposizione alla demolizione dello spirito rivoluzionario causata dalla bolscevizzazione, ha il dovere di non fare alcuna concessione ideologica al raggruppamento che riunisce nel suo processo di formazione. Bisogna evitare accordi prematuri, poiché le preoccupazioni organizzative possono condurre a una nuova unità formale. L’unità delle sinistre a livello internazionale deve diventare un mezzo per l’azione e anche a prezzo di errori, per i raggruppamenti che tendono all’unità reale delle loro forze politiche.
La nostra tesi è impregnata di passivismo?
Non lo è assolutamente, per il semplice fatto che esige un’azione critica delle avanguardie coscienti contro la degenerazione e la corruzione dell’ideologia e dell’azione rivoluzionarie; e allo stesso tempo esige un grande sviluppo dell’azione da parte dei gruppi rivoluzionari, a stretto contatto con le masse operaie. Richiede un gigantesco lavoro di preparazione per la nuova e prossima prova rivoluzionaria. Contiene in se stessa tutto un programma, in cui la volontà delle élite proletarie se da un lato non pretende di dominare il corso del processo storico dall’altro acquista potenza quando armonizza il suo sforzo con l’insieme delle esperienze rivoluzionarie e si dinamizza tenendosi a contatto con la sintesi delle forze o, molto meglio, con le differenti espressioni della sola forza rivoluzionaria della nostra epoca storica, il proletariato industriale.
Da questa sintesi tra la volontà rivoluzionaria e la realtà, non quella contingente ed effimera (che è solo una forma transitoria della realtà), ma la realtà dialettica e sostanziale del movimento proletario, sgorgano quelle sole forze che determinano la vittoria della classe.
Su questo binario è tracciata la linea di condotta delle élite rivoluzionarie e delle aggregazioni politiche che la seguiranno o che, dopo essersene allontanate per un abbaglio passeggero, la riprenderanno, finendo per incontrarsi sul terreno dell’azione quando suonerà l’ora delle estreme responsabilità. Ed è proprio questa linea d’azione, che ricerca l’unità reale contro l’unità formale, che noi ci sforzeremo di seguire senza esitare e senza barcamenarci, fino al momento in cui, dalla nostra esperienza di gruppi, passeremo a un’esperienza superiore, quella di un nuovo organismo internazionale.

«Le Réveil Communiste», a. I, n. 1, novembre 1927

Note:
(1) Riguardo alle posizioni della Sinistra italiana, cfr. La crisi del 1926 nel partito e nell’Internazionale, Quaderni del Programma Comunista, Milano, 1980.
(2) Alla fondazione della Terza Internazionale (Mosca, marzo 1919), lo Spartakusbund, ossia il Partito Comunista Tedesco, era rappresentato da Hugo Eberlein (1887-1940 o 1944), che, avendo un mandato vincolato contro la fondazione, si pronunciò duramente contro di essa. Tuttavia, al momento del voto, sotto la pressione degli altri delegati, si astenne. Cfr. Ossip K. Flechtheim, Il partito comunista tedesco (Kpd) nel periodo della repubblica di Weimar, Jaca Book, Milano, 1970, pp. 155-156.
(3) Il riferimento è a Ottorino Perrone (1897-1957), esponente della sinistra del PCd'I.
(4) Il testo di Trotsky è del 1923. In Italia, è stato pubblicato per la prima volta nel 1965, dalla casa editrice Samonà e Savelli di Roma.
(5) Seguaci di Arkadij Maslow (1891-1941), dirigente della KPD ed esponente della sinistra con Ruth Fischer (Elfriede Eisler, 1895-1961). Entrambi espulsi nel 1926, parteciparono alla fondazione del Leninbund, che abbandonarono poco tempo dopo, nel tentativo di dar vita ad altri gruppi di opposizione.
(6) Con la definizione di giraudisti si indica la tendenza di sinistra del PCF sostenuta da Suzanne Girault. Nel 1926, la Girault costituì, con Albert Treint (1889-1971), segretario nel 1922, il gruppo Unité Léniniste, che pubblicava l’omonimo giornale. Entrambi furono espulsi nel 1928, in quanto «capi della frazione trotskista».
(7) Probabilmente si tratta di un attacco, più astioso che polemico, a Perrone che, nell’agosto 1927, aveva trovato asilo politico in Belgio. Il manifesto, cui si riferisce l’articolo, è quello diffuso in occasione della costituzione dei Gruppi di Azione Comunista, avvenuta nel luglio 1927.
(8) In quegli anni, Nikolai Bucharin era considerato l’astro emergente della teoria marxista, sia in URSS, sia nell’Internazionale, della quale Bucharin era segretario dal 1926. Di conseguenza, era il bersaglio privilegiato delle opposizioni, riguardo alle principali questioni allora dibattute, come la NEP, il fronte unico con la socialdemocrazia e con i movimenti di liberazione nazionale, il concetto di stabilizzazione capitalistica.
(9) Con la bolscevizzazione, i partiti comunisti adottarono la struttura organizzativa basata sulle cellule di fabbrica, a scapito delle sezioni territoriali. Le cellule avrebbero dovuto dare maggior voce agli operai, che, in realtà, si ritrovarono isolati nella propria fabbrica, avendo come tramite con l’esterno il funzionario di partito, che «portava la linea». Di conseguenza, le cellule limitarono l’orizzonte politico, favorendo, da un lato, il corporativismo e, dall’altro, il burocratismo, come giustamente osservò la Sinistra comunista italiana. Contestualmente, i partiti comunisti svilupparono le cosiddette organizzazioni di massa, per organizzare particolari strati sociali, come i contadini, le donne, i giovani, gli intellettuali e così via. Come osserva l’articolo, questi organismi favorirono solo l’annacquamento delle posizioni del partito e, spesso, non furono altro che creazioni fittizie, cui aderivano quasi esclusivamente i militanti comunisti.
(10)  Al V Congresso del PCF (Lille, 20-26 giugno 1926), gli esponenti della Sinistra italiana presentarono una propria «Piattaforma» in cui venivano riprese e ribadite le tesi avanzate, pochi mesi prima, al Congresso di Lione (gennaio 1926). Cfr. Plateforme de la gauche. Projet de thèses présenté par un groupe de “gauchistes” (bordiguistes) à l’occasion du Ve Congrès du Parti Communiste Français, Imprimerie speciale de la Librairie du Travail, Paris, 1926.
(11) Il cosiddetto «biennio rosso» (1919-21), caratterizzato dalle agitazioni sociali suscitate dalla difficile situazione del dopoguerra, e dalle aspettative accese dall’Ottobre russo.
(12) Al Congresso di Halle (dicembre 1920), fu sancita l’unificazione, sostenuta da Mosca, tra il Partito Comunista Tedesco e la sinistra dell’USPD.
(13) Nell’ottobre 1923, il Partito Comunista Tedesco tentò una fallimentare azione rivoluzionaria, che accese violente polemiche. L’esito fu il definitivo appiattimento del partito sulle direttive di Mosca.
(14)  Antonio Graziadei (1873-1953), esponente e parlamentare socialista, a Livorno (1921) aderì al PCd’I. Professore di economia presso le Università di Pavia, Milano e Roma, in Prezzo e sovrapprezzo nell’economia capitalistica (Bocca, Torino, 1924) criticò la teoria del valore di Marx. Bordiga replicò con La teoria del plusvalore di Carlo Marx base viva e vitale del comunismo, «L’Ordine Nuovo», a. III, nn. 3-4, 5 e 6, ora in Amadeo Bordiga, Economia marxista ed economia controrivoluzionaria, Iskra, Milano, 1976.
(15)  Boris Souvarine (1895-1984) fondatore e dirigente del PCF, ne fu espulso nel 1924. Svolse studi storico-sociali di grande rilievo, tra cui Staline, la prima storia critica del partito bolscevico e della Russia sovietica. Pubblicata in Francia nel 1935, l’opera è stata via via aggiornata alla luce dei successivi avvenimenti. In Italia, il libro è stato pubblicato da Adelphi, nel 1983, sulla base della nuova edizione rivista dall’Autore, Staline. Aperçu historique du bolchévisme, Champ Libre, Paris, 1977.




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