[Estratto dall'intervista a Riccardo d'Este raccolta da Emira Cevro-Vukovic, nell'ambito dell'inchiesta Vivere a sinistra. Vita quotidiana e impegno politico nell’Italia degli anni ’70, Arcana editrice, Roma, 1976. È possibile leggere l'intervista in versione integrale qui].
Alla domanda: «Ti consideri un uomo di sinistra?» Riccardo risponde: «Se comprendo bene la tua domanda devo rispondere di no, poiché per "sinistra" si intende un comportamento ed un'ideologia particolari, separate e separanti: insomma una "politica". Per conto mio cerco di essere un rivoluzionario, riuscendovi talora. E la rivoluzione sociale, comunista, non ha nulla da spartire con la politica, anzi ne sarà, e lo è già nel suo scavare quotidiano, la negazione, in quanto superamento radicale ed abolizione del pensiero morto accumulato; e la politica è comunque pensiero del potere, presente o auspicato, ed è perciò pensiero (nonché pratica) amministrante, coazione alla sopravvivenza. Qual è l'obiettivo politico anche dei sedicenti rivoluzionari ? La presa del potere da parte di una classe particolare, quella operaia, magari gestita da un partito che pretende di parlare in suo nome. Ebbene, il progetto realmente rivoluzionario, comunista è la distruzione di ogni potere, la riappropriazione da parte degli uomini della propria umanità, della propria vita ora asservite al capitale e svuotate di senso reale. Così come l'obiettivo del movimento reale che tende al comunismo è la realizzazione della Gemeinwesen marxiana (il concetto cioè di essenza della comunità umana che tempo addietro tentammo di tradurre con Comontismo) attraverso la soppressione del mondo diviso in classi, il che comporta anche, ed è evidente, l'auto-negazione del proletariato in quanto classe particolare. Oggi chi si muove teoricamente e praticamente per la rivoluzione mondiale è la classe universale, la classe umana; che non può che essere nemica della politica e dei suoi maneggi. Le definizioni "sinistra" (anche "ultra"), "centro", "destra" e così via rappresentano solo le forme spettacolari che si danno i vari rackets alla ricerca del proprio potere. E nel gioco della perpetuazione del sistema di dominio capitalista è importante che vi siano continue false contrapposizioni, falsi scontri per celare sotto le cortine fumose delle ideologie il senso del vero scontro: tra umanità e capitale. Le lotte politiche sono esemplari in questo senso. Sono lotte tra rackets, come dicevo, che non mettono minimamente in discussione la natura stessa del racket, né potrebbero farlo poiché combattere contro ogni forma di rackettizzazione significa combattere il cuore stesso del sistema sul terreno sociale ed all'interno di ciascuno di noi, per far esplodere il bisogno di socialità, di vita, di comunismo, ciò che è realmente irrecuperabile dal capitale. Insomma, sia pure schematicamente, spero di averti spiegato perché non mi considero di "sinistra", né appartenente a qualsiasi parrocchia politica, i cui aderenti uniscono in sé l'adesione alla Weltanschauung proposta dai ministri del culto e la repressione dei propri bisogni essenziali, che sacrificano sull'altare del potere, da gestire o da conquistare. I militanti di sinistra, per quanto li riguarda, sono i nuovi conformisti che, illudendosi di vivere per un ipotetico (ma mai raggiungibile) futuro migliore, in realtà esprimono continuità con il passato, ricollegandosi oggettivamente, e spesso soggettivamente, alla morale ed ai comportamenti cristiani e, più in generale, religiosi. È fin troppo ovvio che questo tipo di morale è ad uso e consumo dei militanti, poiché gli dèi (in questo caso le organizzazioni burocratiche) ed i loro sacerdoti hanno la sola morale che gli confà: quella del potere. Per me la lotta contro il potere, anche nelle sue forme più sottili, più interiorizzate, è l'unica strada per conquistare la gioia reale di vivere, di amare, di giocare. Non è facile, poiché spesso la lotta per la sopravvivenza ti inaridisce e ti ottunde. Spesso il passato che pure ritieni di avere superato e liquidato ti risalta addosso con suoi rigurgiti castranti. Spesso risulta estremamente difficile scollarsi dai ruoli che i rapporti sociali t'impongono e che tutti sembrano richiederti. È essenziale comunque gettare tutta la propria passione nella continua ricerca di una condotta che spacchi l'esistente, di una condotta che ti permetta di giocare con i ruoli e su di essi (contro di essi) senza mai accettarne la corazza. Non ci si può identificare in null'altro che non sia il nostro processo di negazione (del valore in processo, cioè del capitale). Non sempre ci riesco, ma il mio sforzo massimo e quotidiano è proprio per giocare sui ruoli, sapendo alla peggio subire, ma mai accettando l'esistente e le sue imposizioni.»
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