Les Mauvais Jours Finiront interrompe (temporaneamente?) le pubblicazioni. Resta comunque on-line affinché rimangano accessibili i documenti pubblicati. L'Autore considera il lavoro di cernita, editazione, elaborazione dei materiali sin qui svolto, come propedeutico alla nuova esperienza – per molti versi affatto diversa – alla quale prende parte, quella del gruppo informale / rivista "Il Lato Cattivo". (Gennaio 2012)
(blog)

«(...) la rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare avanti misure che creino una situazione irreversìbile. Bruciare le navi, tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo, l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla dinamica dell'autogenesi creativa.»

(«NonostanteMilano»)

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«Nel corso dei quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una differente prospettiva (...): il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare, spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione «politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione

(Karl Nesic, L'appel du vide, 2003).

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«È la situazione in cui il proletariato si trova, a innescarne l’azione: la coscienza non precede l’atto; si manifesta solo come coscienza dell’atto stesso.»

(Gilles Dauvé, Le Roman de nos origines, 1983)

12 marzo 2009

Prospettive sui consigli, la gestione operaia e la sinistra comunista tedesca

di Nashua (1974)*


La costituzione della classe in Consigli dimostra che essa si organizza su obiettivi propri, ma non dice niente circa la natura di questi obiettivi, né sulle divisioni che possono esistere all'interno  della classe stessa. Tutti i problemi della rivoluzione tedesca ruotarono attorno a questo fatto, che determinò tutte le sue fluttuazioni.

Nella misura in cui la frazione più intelligente degli ufficiali comprese che, per salvare ciò che considerava l'essenziale, era necessario accordare la pace, e a partire dal momento in cui la socialdemocrazia aderì alla pace, la maggior parte del movimento rifluì. Ma, fin dall'inizio, la rivoluzione tedesca fu qualcosa di più di un semplice movimento per la pace: in effetti, se i primi Consigli furono formati da soldati, esisteva già da diversi anni nelle fabbriche la cosiddetta organizzazione degli "uomini di fiducia", vale a dire una rete di delegati operai, coordinati di fabbrica in fabbrica, che lottavano contro il supersfruttamento dovuto alla guerra, su posizioni assai più “classiste” ed “economiche” dei Consigli dei soldati. Il movimento dei Consigli dei soldati si coordinò con questa rete, e apparve un'organizzazione di Consigli di operai e soldati, basata principalmente sui Consigli di fabbrica, in tutta la Germania,. D'altra parte, la pace determinò, in Germania, una situazione economica assolutamente disastrosa, oltretutto aggravata dalla politica della Francia e delle altre potenze vincitrici. Al di là problema della pace, la rivoluzione tedesca si articolò dunque anche su una serie di rivendicazioni proletarie che culminarono in scioperi ed insurrezioni. Ogni volta fu lo stesso meccanismo a mettersi in moto. Quando il capitale si mostrava incapace di soddisfare le rivendicazioni elementari dei proletari, i rivoluzionari - gli elementi più radicali – si ritrovavano alla testa del movimento; ma, laddove una parte di queste rivendicazioni venivano soddisfatte, il movimento rifluiva. Malgrado dunque la presenza di minoranze radicali un po' ovunque, esso non fu mai capace di unificarsi in una prospettiva nazionale e internazionale, tanto più che la Germania era ancora precariamente unificata (l'unificazione del 1871 aveva lasciato sussistere dinastie locali in Baviera, in Prussia etc., e questa situazione si era protratta fino al 1918). Si poté assistette ad esplosioni e a sconfitte segmentate, regione per regione, che erano d'altronde determinate dall’azione della classe dominante, senza dubbio la più intelligente del mondo.

I rivoluzionari analizzarono queste esperienze; e si può dire che conobbero tutte le forme possibili di controrivoluzione, il ché costituisce la straordinaria ricchezza della Sinistra comunista tedesca. In particolare, essi furono i primi a comprendere come la crisi economica, fino ad allora considerata dai rivoluzionari un segno precursore della rivoluzione, potesse essere un'arma manipolata dalla controrivoluzione. Per esempio, la borghesia tedesca seppe utilizzare le possibilità residue di aggravare o ridurre l'ampiezza della crisi economica, al fine di separare differenti strati all'interno del proletariato, e in particolare per determinare una scissioneradicale tra gli occupati e i disoccupati. Fece schiacciare il movimento dei disoccupati (che non potevano trovare soluzioni pratiche alla loro situazione se non attraverso un esito rivoluzionario) dagli operai organizzati - talvolta nei sindacati, ma anche nei Consigli operai -, che avevano, loro, almeno un lavoro e un salario. In generale, la rivoluzione tedesca, al contrario di quella russa, è la sola a essere davvero istruttiva per la comprensione della rivoluzione moderna. Ormai se ne può conoscere la storia attraverso gli studi e i documenti che cominciano ad apparire. Ma l'essenziale è vedere quel che ne è restato, ed estrapolare ciò che in essa può ancora essere importante per noi.

Uno degli aspetti più notevoli è che la rivoluzione tedesca fu fatta sulla parola d'ordine: "Usciamo dai sindacati!". Mentre nessuna frazione del proletariato si era resa autonomo rispetto ai sindacati e alla socialdemocrazia prima della guerra, le organizzazioni dell’ultrasinistra raggrupparono ora centinaia di migliaia e persino milioni di lavoratori su posizioni rivoluzionarie. Organizzazioni politiche, quali il KAPD(1), furono in alcuni momenti strutture di massa più potenti dello stesso Partito Comunista ufficiale, legato alla Terza Internazionale.

Da una parte, i sindacati si erano completamente integrati alla macchina bellica, come d'altronde era avvenuto negli altri Paesi, seppure in gradi diversi. Luddendorff doveva rendere loro omaggio dichiarando che giammai lo sforzo bellico sarebbe stato possibile senza la collaborazione dei sindacati e del Partito Socialdemocratico. Dall'altra, i comunisti di sinistra non raccomandavano di uscire dai sindacati per formarne altri. Questa parola d'ordine corrispondeva ad un rifiuto totale delle forme sindacali di organizzazione, e si accompagnava alla creazione pratica da parte del proletariato di organismi assai differenti: le "Unioni" controllate dalla base. Una delle acquisizioni di questo periodo è del resto il rigetto della separazione tra organizzazioni politiche ed economiche (partito/sindacato). All'inizio esistevano parallelamente il KAPD e l'AAU(2), che raggruppava le Unioni operaie nelle imprese. Ben presto, questa dualità fu respinta a favore di una forma di organizzazione “unitaria”, ove non c'era più alcuna distinzione tra l'organo-partito politico e l'organo-lotta economica. La nascita di questo tipo di organizzazioni (che si coordinavano nell'AAU-E(3)) non era il frutto della volontà o della propaganda. Quando il proletariato si trova di fronte a compiti rivoluzionari, questa separazione cade da sé. Il solo fatto che ci si possa porre il problema di una differenza tra organo politico (che difende la prospettiva di lungo termine e che lotta per il potere) e organo economico (che lotta per degli obiettivi limitati) prova che lo stadio in cui si trova il proletariato non è rivoluzionario. Del resto, la rivoluzione comunista include per definizione la distruzione dell'economia e della politica, e dunque dell'economico e del politico, come domini specializzati e separati.

Gruppi come il KAPD fecero fin dall'inizio un'analisi profondamente corretta della Russia e del ciclo della rivoluzione mondiale. Bisogna dire che furono ugualmente i soli a sostenere militarmente ed efficacemente, con insurrezioni, attacchi a convogli militari etc., la rivoluzione russa, malgrado la loro severa critica dell'orientamento dei bolscevichi e dell'Internazionale Comunista. L'evoluzione di questi gruppi illustra molto bene il problema delle organizzazioni rivoluzionarie. Tali organizzazioni scomparvero infatti molto rapidamente, man mano che la rivoluzione veniva sconfitta e che il proletariato rifluiva verso posizioni disperate o difensive (cioè puramente riformiste, volte all’integrazione alla società capitalista). Le nuove difficoltà le fecero implodere su quasi tutti i punti, con le reazioni abituali: terrorismo generato dalla disperazione, attivismo e così via. Non dimentichiamo che la rivoluzione tedesca fu schiacciata dalla socialdemocrazia: l'intera storia tedesca tra le due guerre, compresa la nascita del fascismo, non si comprende se non in relazione a questo annientamento. Tutta l'evoluzione del fascismo non ha senso se non la si lega alla rivoluzione tedesca, giacché esso fu in gran parte l'esecutore testamentario della rivoluzione. I rivoluzionari e le frazioni più radicali della classe operaia (in particolare i disoccupati) erano stati battuti, ma la Repubblica di Weimar (1919-1933), inizialmente creata e animata dalla socialdemocrazia e dai sindacati, nondimeno era stata incapace di mettere ordine nell'economia, di soddisfare le rivendicazioni dei disoccupati e di unificare il capitale nazionale tedesco: solo il fascismo poté dare lavoro a tutti, recuperare l'aspirazione alla "comunità" apportandovi una soluzione (alla sua maniera) e disciplinare tutti i gruppi sociali raccogliendoli intorno agli interessi di un capitale nazionale veramente unificato. Il fascismo soddisfò, in forma mistificata, le rivendicazioni materiali e ideologiche della rivoluzione del 1919, che la socialdemocrazia aveva schiacciato, ma le cui aspirazioni non poteva soddisfare durevolmente, essendo incapace di unificare politicamente la Germania. Di fronte a questa situazione, dall'inizio degli anni Venti, i rivoluzionari furono a poco a poco ridotti allo stato di setta, e solo quelli che accettarono la prospettiva di una controrivoluzione di lunga durata furono in grado di resistere teoricamente alla controrivoluzione. é vero, d'altra parte, che alcuni membri del KAPD - assai poco numerosi - divennero fascisti,  per lo più in odio alla socialdemocrazia.

Nella rivoluzione tedesca, le minoranze radicali colsero il nocciolo del problema rivoluzionario, ma l'insieme della classe rimase prigioniera di un atteggiamento rivendicativo. La sinistra tedesca è al fondo l'espressione teorica di quel che dei rivoluzionari - sovente operai senza formazione teorica pregressa - avevano vissuto. Questa espressione teorica deriva al contempo dall’esperienza e dalla sconfitta della rivoluzione più significativa dell'epoca moderna, da un lato, e dai limiti della situazione tedesca, dall’altro. Si può riscontrare questa doppia eredità nei gruppi che sopravvissero, generalmente attorno a uno o due emigrati. I soli ad aver avuto una certa rilevanza sono la sinistra comunista olandese (GIK-H(4)) e Paul Mattick, attraverso una serie riviste pubblicate negli Stati Uniti (“International Council Correspondence”, “Living Marxism”, “New Essays”). Bisogna qui distinguere tra i testi contemporanei alla rivoluzione e quelli posteriori. I primi sono assai ricchi, poiché sono il prodotto di un’esperienza concreta. Molto spesso gli stessi che giungevano a queste "scoperte" teoriche, emerse nella lotta, non vi erano preparati. Per esempio, la critica della rivoluzione russa fu fatta a seguito di una quantità di esperienze concrete, di rapporti con delegati dell'Internazionale Comunista, di misure pratiche prese dalla Russia e dall'Internazionale etc.

Numericamente molto deboli, i gruppi sopravvissuti non hanno esercitato la propria influenza su alcuna lotta importante; malgrado contatti periodici con alcuni operai, sono rimasti per l'essenziale in uno stato di profondo isolamento. Ma, cosi come la Sinistra comunista italiana, grazie a una rete di relazioni poco numerose, ma complesse ed estese, hanno potuto giocare un ruolo teorico assolutamente fondamentale. Nei gruppi e nelle tendenze (anche autonome) che sono esistiti negli anni successivi (ad esempio Socialisme ou Barbarie in Francia), si ritrova generalmente traccia di uno o due esponenti della Sinistra tedesca. Vi è una continuità tra questa, la Sinistra italiana, e l'insieme delle sinistre comuniste.

Se le qualità della sinistra tedesca risaltano alla lettura dei suoi testi, non è inutile insistere sui suoi limiti. Il principale problema al quale tutti i rivoluzionari furono posti di fronte, dopo la nascita del fascismo, fu il crollo della prospettiva rivoluzionaria classica. La totalità delle organizzazioni create dal proletariato, alle quali esso partecipava attivamente, passarono alla controrivoluzione. Lungi dall'esserne la sola forza, esse ne costituivano però la chiave di volta politica. La socialdemocrazia tedesca non era evidentemente la sola forza ad opporsi alla rivoluzione: la lotta contro il proletariato era assicurata in primo luogo dall'esercito, dal corpo degli ufficiali che dirigevano i Corpi franchi, e, soprattutto, dal capitale. Ma la socialdemocrazia e le organizzazioni create dal proletariato nel periodo precedente furono la forza politica che riuscì a organizzare gli elementi controrivoluzionari contro il proletariato radicale. D'altra parte, il fascismo italiano e il nazismo rappresentavano per il pensiero rivoluzionario classico uno sconvolgimento senza precedenti. Un’organizzazione chiaramente controrivoluzionaria si dotava di una base di massa, e quel che oggigiorno parrebbe una grande banalità era assolutamente conturbante per i rivoluzionari di allora. La rivoluzione russa, poi lo stalinismo, erano anch'essi una novità di non poco conto, e lo sono ancora, in certo senso. Siccome a poco a poco il proletariato veniva distrutto come forza che, in quanto classe, era stata portatrice di un progetto differente da quello di tutte le altre, i gruppi rivoluzionari si ritrovavano completamente isolati. Importante è osservare che i soli a preservare certe verità teoriche furono quelli che non ricercarono un successo immediato all’interno della classe operaia. Al contrario, i trozkisti, che vedevano senza posa i segni precursori della rivoluzione, e volevano conservare un controllo su alcune frazioni di classe e restare nel gioco politico, furono di fatto portati ad abbandonare la quasi totalità delle loro precedenti posizioni rivoluzionarie.

Di fronte al crollo di ogni prospettiva rivoluzionaria, la sinistra comunista fu costretta a dare una spiegazione a questa sconfitta e a interrogarsi sulle possibili soluzioni. L'elaborazione della teoria rivoluzionaria si trovò separata dal movimento reale della classe, non solamente perché quest'ultima non faceva nulla di sovversivo, ma anche perché i rivoluzionari non fondavano più la propria prospettiva su una riapparizione del proletariato come forza rivoluzionaria, legata alla crisi del capitale, ma cercava delle "soluzioni". Una delle forme attraverso le quali i rivoluzionari riuscirono a conservare la "fede" nella rivoluzione, se così si può dire, è stata una metafisica del proletariato. Questo è vero per ogni periodo controrivoluzionario: è talmente difficile salvaguardare un minimo di prospettiva comunista in un tale periodo, che ci si fabbrica dei surrogati, dei mezzi per resistere, per "tenere duro". Il problema sta nel grado di deformazione che questo atteggiamento - comprensibile - introduce nella teoria rivoluzionaria. La sinistra comunista tedesca fu condotta a sviluppare l'idea di un proletariato "puro", contenente in sé e per sé la verità rivoluzionaria, e a spiegare la sconfitta della rivoluzione con le falsificazioni, le pressioni e la violenza esercitate sul proletariato per sviarlo dai suoi compiti. Si propugnava la democrazia proletaria lottando contro la burocrazia, come se si trattasse di un elemento pernicioso che impediva al proletariato di esprimersi. Si conservava l'idea che, al fondo, il proletariato autentico sarebbe sempre rivoluzionario, se non fosse manipolato e mistificato. La preoccupazione per la democrazia proletaria conduceva a inventare ricette che permettessero all'autenticità rivoluzionaria del proletariato di manifestarsi. In questa concezione, il Consiglio operaio gioca il ruolo di panacea universale. Non lo si concepisce più come una forma di organizzazione specifica espressione di una lotta specifica, bensì come una forma buona in sé, che permette alla realtà del proletariato di esprimersi. I rivoluzionari debbono dunque dare la caccia ai burocrati e ai mistificatori (si poteva vedere questa concezione applicata, ad esempio, da Socialisme ou Barbarie, anche se in verità più nel suo funzionamento interno che nei suoi testi).

Poiché in Russia si era assistito alla ricostituzione di un potere di classe, si ricercava una visione del socialismo che impedisse questa deformazione. D'altra parte, siccome il potere della classe dominante era evidentemente legato alla gestione del capitale e delle forze produttive in generale, se ne traeva la conclusione che si sarebbe potuto evitare questa degenerazione, se il proletariato avesse preso lui stesso in mano la gestione dell'economia. é difficile delineare la critica di questa teoria, perché, attraverso di essa, la sinistra tedesca e i gruppi che ne sono stati influenzati (in particolare Socialisme ou Barbarie) hanno esposto un gran numero di verità teoriche importanti. Ma nella misura in cui queste posizioni erano elaborate in un periodo di controrivoluzione, certi punti essenziali facevano totalmente difetto. Il maggiore limite di questa evoluzione, che si nota molto chiaramente nelle lettere indirizzate da Pannekoek a Socialisme ou Barbarie, è l'idea che occorra prima di tutto evitare di fare violenza al proletariato: si arriva a temere che agendo, lottando per qualsivoglia obiettivo, i rivoluzionari acquistino un potere sul proletariato e distruggano la sua supposta spontaneità rivoluzionaria. Si giungerà al punto di interrogarsi sull’opportunità di indire o meno uno sciopero senza un'assemblea generale preliminare in cui la maggioranza dei lavoratori si sia pronunciata a favore; è tuttavia evidente che nessuno sciopero serio è mai stato lanciato dopo simili discussioni.

Il problema della natura del comunismo e dell'abolizione dell'economia mercantile, era stato trattato dalla Sinistra tedesca in uno dei suoi testi fondamentali, scritto intorno al 1930, che verte appunto sui Principi fondamentali della produzione e della distribuzione comunista; il punto centrale di questa problematica, però, non è più la questione del salariato e della merce, bensì la questione della gestione. Si costruisce uno schema teorico in cui una federazione di Consigli operai gestisce tutto, come se il comunismo fosse la generalizzazione di assemblee generali democratiche che discutono e deliberano su tutto.

E' vero che il termine Consiglio operaio include realtà diverse. In Russia, nel 1905, il Soviet di Pietroburgo era un organismo locale eletto da delegati di quartiere, cui partecipavano peraltro soprattutto operai, per la semplice ragione che erano stati essi a dare origine al movimento. Si videro riapparire i Soviet nella rivoluzione del 1917, laddove funzionavano come organizzazioni di lotta e si costituivano su base locale. Questi Soviet diedero vita ad un doppio potere. Siccome i bolscevichi erano i soli a delineare delle prospettive, ne presero il controllo e, successivamente, estesero il proprio potere all’intera società. Parallelamente a queste organizzazioni locali, si costituirono - soprattutto nel 1917 - dei “Comitati di fabbrica”, coordinati tra loro a partire dall’organizzazione degli operai all’interno delle fabbriche (occorre tuttavia ricordare che un periodo rivoluzionario non conosce legittimità in senso tradizionale, e non sa esattamente “chi è chi” né “chi fa cosa”: dunque una decisione presa da questo organismo era applicata senza formalismi anche da altri organi, che tuttavia non ne facevano parte: bisogna essere dei giuristi per domandarsi quali siano esattamente le regole formali di funzionamento di una rivoluzione). Esisteva una differenza reale tra questi Comitati - necessariamente più proletari e assai più interessati tanto alle questioni economiche quanto a quelle riguardanti le condizioni di lavoro - e i Soviet locali. Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, i Soviet locali divennero la cinghia di trasmissione del potere bolscevico, mentre i Comitati di fabbrica continuarono a esistere e restarono un polo di opposizione e di lotta - e talora di accordo – rispetto  al potere di Stato. Sopravvissero per diversi anni e del resto giocarono un ruolo determinante nello sciopero di Pietrogrado, che precedette l'insurrezione di Kronstadt. In Russia le organizzazioni di fabbrica continuarono a sussistere fino al 1930. Nel 1927-'28, si svolse un aspro conflitto contro la reintroduzione della gerarchia nei salari operai. Fin dai primi anni della rivoluzione, erano stati imposti il "comando di uno solo" e il potere dei manager, ma lo Stato aveva dovuto sempre recedere sulla questione della gerarchia salariale: le organizzazioni di fabbrica ebbero ancora la forza di battersi vigorosamente contro la sua reintroduzione nel 1927-'28. Ma la natura propria della rivoluzione russa, i compiti specifici che doveva affrontare, con un proletariato industriale decisamente minoritario (meno del 10% della popolazione), fecero sì che il meccanismo politico poggiasse per l'essenziale sui Soviet locali. Al contrario, nella rivoluzione tedesca, la struttura sociale del Paese (e non la volontà, la coscienza degli operai, o la propaganda di una qualsiasi corrente) fece sì che  il movimento, scatenato inizialmente dai Consigli dei soldati - per delle ragioni storiche precise, e prima di tutto per l'incapacità della Germania di vincere la guerra - tutta l'organizzazione fu costruita in seguito attorno ai Consigli di fabbrica, dando al movimento un carattere assai più proletario.

L’elemento essenziale di ciò che i rivoluzionari intendono quando parlano di Consigli operai è questo: i Consigli non sono organi rappresentativi, non mirano a rappresentare il proletariato all'interno di un potere o altrove, ma non fanno che realizzare i suoi compiti. é l'autorganizzazione della classe allorché é costretta ad agire. La sua stessa composizione la pone al centro di tutti i problemi produttivi, lavorativi, salariali eccetera. E poiché la classe è condotta ad organizzarsi in modo autonomo, ciò implica per definizione l'esistenza di una crisi politica, nel quadro della quale i Consigli determinano l’esistenza di un dualismo di poteri (Consigli versus Stato). In senso rivoluzionario, il Consiglio operaio è dunque un organismo di contropotere nel quale la totalità degli aspetti della vita e della società sono considerati in modo unitario. Interviene su tutto senza curarsi delle delimitazioni tra domini e sfere giuridici, politici, economici etc. Non è un organo rappresentativo, sia per il suo modo di funzionamento sia per la sua composizione.

In generale, le forme organizzative sono interamente determinate dalla situazione concreta e dalla struttura della classe. Per esempio, nel Maggio '68, in Francia, non vi è stata traccia di Consigli operai; e la forma di organizzazione dispiegata dal movimento non è stata assolutamente il prodotto di alcuna propaganda, ma è stata il risultato dei fatti: esistevano in parecchie fabbriche piccole minoranze che volevano lottare, la cui determinazione e il cui relativo isolamento di fronte alla maggioranza dei lavoratori controllati dai sindacati le hanno condotte a raggrupparsi sotto forma di "Comitati di azione". Questa struttura organizzativa rispondeva alla realtà del momento. Certuni hanno certamente fatto propaganda per i Consigli operai: è questo il genere di propaganda perfettamente astratto e ideologico. Se per sventura vi fosse stata una struttura formalmente corrispondente ai Consigli operai, si sarebbe vista una schiacciante maggioranza controllata dalla CGT paralizzare totalmente la minoranza che, al contrario, agiva. é vero che i rivoluzionari tentano sempre di estendere il movimento, lottando per la formazione dei Consigli. Ma ci si deve ben rendere conto che il Consiglio è la forma di un movimento: farne un'entità astratta o una panacea può condurre a porsi all'esterno del movimento invece che svilupparlo.

Bisogna anche distinguere tra il Consiglio operaio in senso rivoluzionario e certe formule propagandistiche che gli somigliano o ne sono una caricatura, come la parola d'ordine trozkista del “controllo operaio”. Senza soffermarci qui sui dettagli di questa parola d'ordine nella storia del trozkismo, si può ricordare che Lenin non desiderava - e ciò si può comprendere - la partenza e l'espropriazione di massa dei borghesi. I bolscevichi volevano la continuazione (provvisoria) di uno sviluppo capitalista, sotto il controllo di un potere politico realizzato dalle organizzazioni di fabbrica e rinnovato da esse. Non si tratta qui della correttezza o meno di questa impostazione rispetto alle condizioni della Russia del 1917-'18, che era effettivamente un paese arretrato. Ma in ogni caso, per i bolscevichi, questa idea era legata alla necessità assoluta di favorire lo sviluppo capitalista in Russia. Nel mentre attendevano la rivoluzione europea, e l'aiutavano materialmente (con la propaganda, le armi eccetera), essi progettavano una sorta di capitalismo controllato dal potere statale rivoluzionario, basato sui comitati di fabbrica: soluzione molto provvisoria, certamente. Questo equilibrio non poteva che essere di breve durata e sfociare o nel capitalismo puro e semplice oppure in una comunizzazione in collegamento con il resto del mondo: sappiamo come è andata a finire. Per contro, l'idea del controllo operaio, propugnata attualmente dai trozkisti, è totalmente e fondamentalmente controrivoluzionaria. Da un lato, si tratta della tesi della transizione tra un capitalismo iper-sviluppato e il comunismo, laddove non vi è alcuna necessità di un periodo di transizione che non sarebbe né"capitalista" né "comunista", ma soltanto di una trasformazione comunista dei rapporti sociali (che certamente non si realizza in un giorno, ma che implica che fin dall'inizio si prendano delle misure comuniste irreversibili). Dall’altro lato, il controllo operaio si presenta concretamente come l'azione di comitati di fabbrica in ogni impresa, che spulciano i bilanci, controllano il padrone, sorvegliano contemporaneamente la produzione e le attività commerciali dell'azienda: è dunque l'idea che questo controllo costituisca per i lavoratori una prima esperienza e una scuola di gestione, grazie alla quale impareranno ad amministrare. Questa tesi è decisamente controrivoluzionaria, in quanto il controllo operaio non può insegnare ai lavoratori altro che a gestire il capitale. è del resto esattamente quel che essi fanno in casi simili. Le scuole sindacali non servono che a formare amministratori del capitale a partire dalla classe operaia (cfr. l'attuale "cogestione" tedesca). Si presuppone una sorta di economia eterna, le cui leggi sarebbero pressappoco identiche sotto il capitalismo e sotto il comunismo: i lavoratori avrebbero dunque da apprendere le regole dell'amministrazione e dell'economia. Da sola, questa rivendicazione significa l'abbandono totale della comprensione del contenuto del comunismo. In diversi Paesi (Francia, Italia, Gran Bretagna etc.), lo slogan del "controllo operaio" conosce oggi una nuova stagione negli ambienti sinistrorsi e anche in certe tendenze dei partiti socialisti: si mescolano autogestione, gestione operaia e controllo operaio, in una confusione totale e senza alcun collegamento con la teoria rivoluzionaria e il comunismo. Queste correnti sono, per contro, direttamente legate allo sforzo del capitale volto al proprio rinnovamento, come mostra il caso Lip in Francia (1973), dove si è visto un militante cristiano, che rappresentava gli operai, accordarsi con un padrone membro del PSU.

Si potrebbe quasi dire che attualmente, a livello mondiale, una gran parte della produzione sia già autogestita dalla classe operaia. A effettuare i loro compiti (prendere un pezzo, metterlo su di una macchina etc.) sono gli operai. La stretta applicazione delle norme e l'interdizione di ogni iniziativa ai lavoratori sarebbero fonte di un’estesa disorganizzazione della produzione. é evidente che, in una società comunista, il processo materiale della produzione è realizzato da coloro che lavorano, dai produttori, il che implica uno sconvolgimento grandioso. Se i lavoratori non sono sottomessi a un'autorità esterna che concepisce per loro quel che fabbricano; se organizzano essi stessi il processo produttivo immediato (quel che Marx chiama "lavoro concreto"), questo solo fatto implica una trasformazione colossale (orari, organizzazione del lavoro, distruzione delle catene di montaggio e di tutti i meccanismi che mirano a controllare il lavoro per accrescerne la produttività). Ma il problema reale non sta li. Non si tratta per i proletari di rivendicare l’”ideazione” di una produzione di cui assicurano oggi solo l’”esecuzione”. La vera questione è quella del quadro nel quale si svolgono tanto l’ideazione quanto la esecuzione: la finalità della produzione, la quantità effettiva dei beni prodotti, la loro natura... Determinante non è il processo materiale della produzione, che non pone particolari problemi: come si è visto in caso di guerra, di catastrofe, di grave crisi, persino di rivoluzione, i lavoratori prendono in mano l'apparato produttivo e lo fanno funzionare. Il vero problema è al livello dell'economia: è l'economia in quanto tale, considerata come totalità, che si tratta di distruggere. Nella società capitalista, è la logica della merce a imporsi e a dominare su tutto: cosa sarà prodotto, come etc.. La totalità dell'economia è determinata dalle condizioni di produzione, che appartengono al capitale. La corrente autogestionaria, nata recentemente come reazione al movimento rivoluzionario, fornisce delle soluzioni al capitale via via che si presentano delle difficoltà. Nel migliore dei casi, la sua soluzione è sinonimo di autogestione del capitale. L'esempio della Lip è clamoroso: i compiti precedentemente svolti dal padrone divengono quelli degli operai. Oltre al processo materiale della produzione, gli operai s'incaricano dell'amministrazione. Fanno anche il lavoro dei padroni, oltre al proprio. Ma il problema sta nell'esistenza dell'economia e della merce, che devono essere distrutte. Tutti i problemi che la gestione può porre sono completamente differenti nella società non mercantile. è per questo che il controllo operaio è un'assurdità: non insegna e non può insegnare nulla, se non la gestione capitalista, quali che siano le intenzioni degli operai che la esercitano. Gli operai non possono apprendere niente su quel che sarebbe la gestione della produzione in una società comunista, controllando un padrone capitalista: verificando le somme versate alle assicurazioni, alla previdenza sociale, ai fornitori etc., s'iniziano solo alla gestione di un'azienda, cioè di una somma di valori mercantili in relazione con altri. Il comunismo ha esattamente come obiettivo, e anche come compito immediato, la distruzione di questi meccanismi.

L'autogestione è la forma suprema del capitalismo. Si assiste attualmente alla distruzione della borghesia tradizionale da parte del capitale. Salvo che in Paesi come la Russia, è lo stesso sviluppo del capitale a liquidarla. Se non si colpiscono le basi dell'economia capitalista, si ha un'economia organizzata in imprese: unità che riuniscono ciascuna una certa quantità di capitale fisso e di forza-lavoro. Queste ultime sono organizzate in una maniera specifica, dovuta alla necessità di estrarre plusvalore. Si presuppone così la separazione tra lavoratori manuali, intellettuali, ingegneri, amministratori etc.. L'autogestione li riunisce senza eliminare le separazioni che li dividono e li oppongono gli uni agli altri. Se questa stratificazione non è distrutta preventivamente, riappare necessariamente, che la produzione sia autogestita o meno. Ciascuno lotta secondo la propria specificità, si organizza all'interno della propria categoria come in un racket per proteggere i propri interessi particolari. Può essere che, in una prima fase, i lavoratori manuali prevalgano, ma se vi è in seguito penuria di quadri perché le scuole non ne formano abbastanza, occorrerà aumentare i salari dei quadri per ottenerne. Si autogestisce dunque il capitale. L'autogestione equivale a conservare le categorie del capitale e a controllarle dall'interno (democrazia d'impresa), invece che dall'esterno (potere dittatoriale della direzione).

Marx ha dimostrato da lungo tempo che la borghesia, il capitalismo, lo scambio non sono prodotti della malignità umana o della volontà di una minoranza che cerca di fare la bella vita a spese degli altri, ma il risultato di rapporti di produzione reali, essi stessi frutto di una situazione obiettiva. La merce ha costituito un progresso e la proprietà privata è stata il modo di sviluppo dell'umanità nel corso di vari millenni. Le società che non le hanno conosciute sono spesso restate in una miseria aggravata dal divario e dal disequilibrio nei confronti del mondo mercantile e capitalista. La funzione del capitalista e dell'amministratore non sono né un'aberrazione né il prodotto del male: non si possono togliere conservando il resto. Se non se ne distruggono le basi, essi hanno una funzione reale, che bisogna adempiere in un modo o in un altro. L'autogestione fa semplicemente svolgere alla collettività le funzioni prima garantite da uno strato separato. L'autogestione rappresenta il culmine del sogno, o dell'incubo, capitalista: é il trionfo del capitale!

Allorché il capitale ebbe riunito in uno stesso luogo un gran numero di operai, che fino ad allora avevano tessuto a domicilio, affidando loro gli stessi telai che prima utilizzavano in casa, e in seguito ebbe scoperto che si poteva aumentare la loro produttività scomponendone i gesti; che essi potevano tanto meno battersi contro i padroni quanto meno erano qualificati, venne fabbricata una macchina che includeva nella sua stessa struttura la produzione di valore mercantile e la riduzione degli uomini a strumenti di questa valorizzazione. Il capitale non esiste nella testa della gente, è presente nella struttura delle abitazioni, degli appartamenti etc. Tutte le strutture sociali sono inscritte nella materia. Il fatto che noi viviamo in famiglie più o meno ristrette è inscritto nei caseggiati. Il capitale è presente nella struttura stessa della macchina. Il successo dell'autogestione implicherebbe che si è riusciti a creare una macchina che include nella sua stessa struttura lo sfruttamento, la disumanizzazione e la separazione di coloro che lavorano, e a persuaderli che non vi sarebbe altra soluzione; e che vi si è riusciti così bene che ora si può dire loro: "adesso autogestitevi!". Ciò presuppone che, quando si dà ai lavoratori questa libertà illusoria, essi non abbiano alcun desiderio di distruggere la macchina o di mettersi a lavorare diversamente. L'autogestione generalizzata significherebbe dunque un'accettazione generalizzata del capitalismo. Implicherebbe cioè il fatto che la totalità dei valori del capitale si sia così ben materializzata ovunque da poter lasciare che la gente autogestisca la società.

La rilevanza della Sinistra comunista italiana sta per l'appunto nell'aver largamente chiarito tale questione. In questo senso, essa rappresenta l’esatto opposto della Sinistra comunista tedesca. Si tratta di un movimento teorico che preesisteva, almeno in parte, al movimento rivoluzionario, e che disponeva di un corpo dottrinario solido e relativamente stabile (è d'altra parte in ciò che i loro rapporti sono interessanti, soprattutto quando pervengono alle stesse conclusioni). La Sinistra italiana ha affermato e colto dei punti essenziali che quella tedesca non aveva compreso. Ma, così come la sinistra tedesca non ha potuto preservare la sua comprensione se non mantenendo una sorta di metafisica del proletariato, la Sinistra italiana l'ha conservata mischiandovi una metafisica del partito e della teoria. Si ha talvolta l'impressione che la teoria esista del tutto indipendentemente dal movimento pratico della classe. Ci si può domandare se il principale apporto della Sinistra italiana non sia di aver conservato certi punti essenziali della concezione di Marx, e innanzitutto la comprensione totalmente corretta del Capitale, a cominciare dal Libro I: definizione del capitale e definizione del comunismo. Essa ha mantenuto la visione del comunismo come abolizione della merce e del salariato, mentre la Sinistra tedesca risulta poco chiara al riguardo.

In fin dei conti, il problema che ci si pone oggi, di fronte all'esperienza della rivoluzione tedesca e alle diverse correnti della sinistra comunista che hanno resistito alla degenerazione della Terza Internazionale, è la questione del rapporto tra il comunismo e il proletariato. Quegli eventi dimostrano, in effetti, che esiste incontestabilmente all'interno del proletariato una tendenza comunista: non una tendenza ideologica, ma un movimento pratico verso il comunismo. La realtà della sua situazione conduce il proletariato a sviluppare una pratica e delle prospettive comuniste. Ne è la riprova il fatto che esso alimenta delle organizzazioni rivoluzionarie più o meno importanti, che di fatto scompaiono in periodo di controrivoluzione, per riapparire poi. Ne è la dimostrazione la stessa pratica del proletariato in periodo rivoluzionario. Ciò vale sia per la rivoluzione russa sia per quella tedesca: non dimentichiamo in effetti, , al di là dei suoi limiti, la straordinaria ricchezza della rivoluzione russa. Tuttavia, il meno che si possa dire del rapporto tra proletariato e comunismo è che è complesso. Non esiste un nesso univoco (in un solo senso) tra sviluppo capitalista, crisi e assalto del proletariato contro il capitale. Il proletariato è stato preso e si è lasciato irretire dal capitale, per esempio nel corso della rivoluzione tedesca: a livello della classe, considerata nel suo insieme, i proletari volevano la pace, desideravano vivere decentemente, ma non volevano il comunismo. Essi d'altronde non lo percepivano nemmeno: solo una debole minoranza ne era capace. Il proletariato non esiste allo stato di entità osservabile e descrivibile come la maggior parte dei fatti sociali. Il proletariato è un rapporto con il capitale. é il rapporto più importante nel quadro stesso del capitale. Il proletariato è un rapporto del capitale con sé stesso. Esiste dunque necessariamente un legame tra la costituzione del proletariato in classe, cioè in categoria che si oppone alla società con obiettivi suoi propri, e la sua esistenza all'interno del capitale.

Per approcciare questo problema, è di vitale importanza avere ben assimilato bene e, al contempo, criticato l'apporto delle Sinistre tedesca e italiana. Per esempio, sulla questione del comunismo, i punti di vista di Bordiga e di Socialisme ou Barbarie sono diametralmente opposti. Prendiamo come esempio Le Contenu du socialisme di Chaulieu, peraltro strettamente legato alla sua concezione del capitalismo e alle sue teorie economiche. In questo testo, Chaulieu è per il mantenimento del salariato. Con l'aiuto soprattutto di alcuni sociologi industriali, egli giunge ad una visione assai profonda della realtà capitalista e della società moderna; ma perde totalmente di vista la dinamica del capitale, e la sua visione è quella di un sociologo e non di un marxista - d’altra parte, nel contesto stesso di questa visione sociologica, egli va molto lontano. Propone il capitalismo, ma senza i suoi lati cattivi. Non concepisce assolutamente una società senza salario e senza economia. Si pronuncia dunque per il salariato e per l’eguaglianza di salari: é il sogno del capitale realizzato.

Il problema sorge dal fatto che il capitale dovette svilupparsi a partire da una società non capitalista. Ma dal momento in cui esso domina assolutamente tutto, dalla nascita alla morte, la questione cambia. Nel capitalismo d'inizio secolo, la formazione del lavoratore qualificato veniva acquisita in modo relativamente individuale: era dunque normale che la si pagasse, in seguito, con un salario superiore a quello dell'operaio non qualificato. Ma se il capitale domina anche le condizioni di formazione della forza-lavoro, perché dovrebbe pagare un salario differente? Gli basta mantenere il lavoro. Le forze-lavoro riprodotte in modo differente dovevano essere remunerate diversamente. Se il capitale organizza l'istruzione dei bambini e la formazione delle differenti forze-lavoro, non ha che da mantenere tutti allo stesso prezzo. L'eguaglianza dei salari è inclusa nella logica del capitale: solo il sottosviluppo del capitale vi si oppone.

Siccome il capitalismo è incontrollabile, le soluzioni di tipo autogestionario, come tante altre, vogliono un capitalismo pianificato. Chaulieu inventa uno schema di "fabbrica del piano" autogestita, che poggia su di una visione assolutamente totalitaria. Immagina che si voterà per determinare gli investimenti, i salari, la parte riservata ai consumi etc., con l'aiuto di modelli matematici resi accessibili a tutti (tra cui le matrici di Leontieff). Tutti i problemi che riguardano oggi unicamente la classe dominante, domineranno dunque la totalità della società, nella prospettiva di una democrazia generalizzata. Le difficoltà del capitale saranno le difficoltà di tutti, e non più di una minoranza di gestori.

Se l'insieme dei costi di formazione della forza-lavoro sono coperti dalla società, Chaulieu giunge alla conclusione che in queste condizioni la differenza di formazione tra un operaio specializzato e un neurochirurgo comporterà solo una differenza salariale di uno a due. Egli suppone dunque che l'attività umana abbia un prezzo, e che si paragoni il valore rispettivo delle differenti forme di lavoro, remunerando le forze-lavoro. La forza-lavoro è dunque ancora una merce. é esattamente il contrario della prospettiva di Marx. é vero che l'elaborazione di questa teoria negli anni Cinquanta costituiva un tentativo considerevole per uscire dall'immobilismo: prodotto originale della Sinistra tedesca, Socialisme ou Barbarie ha saputo porre i problemi operai e dell'organizzazione del lavoro ben prima che diventassero di moda. Ma li ha posti ignorando l'analisi di Marx.

Qui, ancora, si vede come rivoluzione e controrivoluzione siano intrecciate: esse rispondono alle stesse questioni in modi opposti. Capitale e proletariato si sforzano entrambi di risolvere le contraddizioni del salariato. Ma, oggi, la tesi della gestione operaia fa solo il gioco del capitale. E viene ripresa, sotto mille varianti, da coloro che hanno bisogno di modernizzare la loro ideologia per poter partecipare alla direzione politica del capitale. Poiché la crisi della società è visibile a occhio nudo, tutti coloro che ricercano un potere qualunque sono e saranno obbligati a riprendere, in un modo o in un altro, le posizioni autogestionarie.

Note:

* Il presente testo è la trascrizione di una relazione (registrata col magnetofono), fatta nel corso di una discussione organizzata tra un compagno francese e alcuni compagni messicani, cileni e colombiani, nel 1974, poi pubblicata nella "Petite bibliothèque bleue”, Editions de l'oubli, Paris, 1974. L'autore "ufficiale" è Nashua, pseudonimo di certo Pierre Guillaume. Questi, come Mussolini, fu per qualche tempo un rivoluzionario. Alla fine degli anni '70 divenne portavoce – insieme a Faurisson e Thion - della corrente negazionista, mediocre ancella ideologica della corrente della destra "revisionista" e fascista. Oggi,  questo personaggio è un partigiano dell'ultradestra antisemitica. Durante questi ultimi anni, Guillaume è stato compagno di "pensiero" del fascista Maurice Bardèche, fondatore della rivista "Occident"

(1) KAPD - Kommunistische Arbeiter Partei Deutschlands: Partito Operaio Comunista di Germania.

(2) AAU - Allgemeine Arbeiter Union: Unione Generale Operaia.

(3) AAUE - Allgemeine Arbeiter Union - Einheitsorganisation: Unione Generale Operaia-Organizzazione unitaria.

(4) GIK-H - Gruppe Internationaler Kommunisten - Holland: Gruppo dei Comunisti Internazionali-Olanda.

[Il presente testo è stato tratto da http://www.left-dis.nl/; revisione a cura di Faber]

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